Anno 2003
Le procedure andavano avanti già da un anno e la Regione siciliana stava per stipulare la convenzione per realizzarlo, ma ancora a inizio estate nessuno (o quasi) sapeva niente del megainceneritore di Paternò in provincia di Catania.
L’allarme arriva da un manifesto stampato e affisso a proprie spese dal prof. Nino Tomasello, promotore del primo Comitato civico cittadino contro l’impianto, a cui seguono quelli del Centro Studi e Cultura Valle del Simeto con l’arch. Franco Scandura, della Sezione Foscardi dei DS, dei sindacati CGIL, CISL e UIL, dell’ARCI con Turi Maurici, dell’avv. Pippo Pappalardo e poi le manifestazioni di protesta a cui darà ampio spazio Vincenzo Anicito nel periodico locale “Gazzetta rossazzurra”.
Si occupano subito della vicenda anche altri organi d’informazione tra cui “Itaca” diretto da Claudio Fava, riportando retroscena molto inquietanti. Secondo la cartografia ufficiale, infatti, l’inceneritore dovrà sorgere in un sito di particolare pregio ambientale anche se sul punto si contraddicono platealmente tre note di tre diversi funzionari del Ministero dell’Ambiente.
Anno 2004
Nonostante il voto contrario del Consiglio Comunale e 5.000 cartoline di protesta di altrettanti cittadini inviate al Presidente della Repubblica (per imbucare simbolicamente la prima giunge a Paternò Anna Giordano del WWF), una Conferenza di servizi, a Palermo e in piena estate, dà l’OK definitivo all’impianto.
La battaglia del termovalorizzatore sembra persa prima ancora d’iniziare.
Anno 2005
A febbraio la prima offensiva legale dei Comitati civici: un Atto stragiudiziale al Genio Civile, alla Regione e alle Procure di Palermo e Catania. Oltre ai rappresentanti dei Comitati lo sottoscrivono un parlamentare, Santo Liotta, e tre ex sindaci della città: Gioachino Milazzo, Alfredo Corsaro e Grazia Ligresti, appartenenti a schieramenti politici diversi e in passato anche contrapposti.
Prima dell’estate viene anche attivato un ricorso al TAR Catania (lo stesso fanno i Comuni di Paternò e Santa Maria di Licodia con gli avv. Mingiardi e Giarrusso) per il quale i Comitati si avvalgono della legittimazione giuridica di Legambiente.
In estate il TAR accoglie la domanda di sospensione proposta con i ricorsi e l’atto è provvidenziale perché da poche ore uno schieramento di ruspe aveva cominciato a spianare velocemente il terreno a Cannizzola rischiando di distruggerne per sempre le particolari caratteristiche naturali. Per fermarle si renderà necessario un esposto a Carabinieri e Vigili Urbani affinché notifichino sul luogo l’ordine di sospensione.
Sembra una vittoria ma si tratta di un provvedimento provvisorio che potrà risultare confermato o meno alla prossima udienza fissata in autunno ed è comunque soggetto ad essere impugnato subito al CGA, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana con sede a Palermo.
E infatti Sicil Power SpA – vero e proprio gigante economico aggiudicatario dell’impianto, composto da un raggruppamento d’imprese di rilievo anche internazionale – propone appello al CGA contro la sospensiva. Appello che in un primo momento, il 21 luglio, viene respinto, ma dopo una settimana è fatto oggetto di un’Ordinanza così ambigua da essere curiosamente intesa come una vittoria da entrambe le parti contrapposte.
Il resto dell’estate passa con disquisizioni legali sui giornali che tentano di capire se il CGA avesse fatto proprio o meno lo stop del Tribunale Amministrativo e per fortuna arriva presto l’autunno con la nuova udienza al TAR che conferma la sospensione dei lavori con una motivazione lunga 21 pagine.
Il provvedimento si basa sul danno grave e irreparabile per l’ambiente e sui rischi derivanti dalla devastazione di un sito di rilevanza comunitaria oltre a quelli per l’incolumità pubblica scaturenti dalla particolarità idrogeologica del suolo.
Vengono ravvisati almeno quattro motivi di illegittimità: 1) Non sono stati interpellati i Comuni confinanti; 2) Non è stata rilasciata autorizzazione alle emissioni in atmosfera; 3) Il preventivo parere del Ministero ha ritenuto l’impianto come “confinante”, e quindi all’esterno al SIC, anziché all’interno; 4) Non è stato osservato il divieto di allocazione in area instabile, alluvionale, vicinissima all’alveo del fiume Simeto, a rischio idrogeologico potenziale elevato e soggetta ad esondazione (scelta “illegittima e irresponsabile” viene testualmente definita). Sussiste inoltre, conclude il TAR, oggettiva irrazionalità nella individuazione del sito a causa della “scelta operata in funzione della proprietà o disponibilità dei suoli in capo ai privati partecipanti”.
Relatrice è la dr. Maria Stella Boscarino, giudice a latere la dr. Rosalia Messina, presidente il dr. Vincenzo Zingales. I Comitati esultano perché sembra una vittoria quasi definitiva e forse non realizzano subito che pure quest’Ordinanza può essere appellata al CGA di Palermo.
Anno 2006
A gennaio arriva puntuale quest’altro appello Sicil Power ma per un errore del postino… non viene notificato ai legali di Legambiente ma solo all’Avvocatura dello Stato. Su richiesta della stessa appellante l’udienza CGA del 13 gennaio viene quindi rinviata al 2 febbraio. C’è il sospetto, però, che il postino c’entri poco e niente.
All’udienza di rinvio del 2 febbraio, infatti, i legali di Sicilpower tirano fuori una Legge fresca di stampa (la n. 21 del 2006) approvata il 18 gennaio, pubblicata in Gazzetta il 28 dello stesso mese ed entrata in vigore il giorno successivo (cioè il 1 febbraio: giorno precedente a quest’udienza di rinvio) grazie alla quale il ricorso va trasferito al TAR Lazio di Roma che può anche modificare o revocare eventuali provvedimenti di sospensione già adottati dal TAR di provenienza.
E’ una Legge che sembra emanata ad hoc, per togliere l’affaire termovalorizzatori dai guai in cui si è cacciato con le sospensive TAR. Una Legge, peraltro, molto assonante con un precedente ricorso Sicil Power al Consiglio di Stato per regolamento di competenza e messa ai voti facendo intendere a non pochi parlamentari, grazie ad un artifizio sul titolo, che la sua operatività era limitata alla Campania (Atti parlamentari del 20 e 21 dicembre 2005 e del 17 e 18 gennaio 2006).
Al CGA non resta che rimandare il fascicolo al TAR Catania con l’ordine implicito di trasferire la causa a quello di Roma.
Nel frattempo una Nota della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania a firma degli arch. Maria Grazia Branciforti e Fulvia Caffo nega in Nulla Osta all’impianto in ragione dell’elevato valore paesaggistico dell’area. La “strada delle valanghe” – precisa – ha valenze panoramiche ed i suoi coni visivi sarebbero fortemente compromessi dalla realizzazione delle opere in progetto. Ed anche se in seguito la nota verrà annullata in via gerarchica, l’agguerrita Soprintendenza la riproporrà di nuovo.
I Comitati civici fanno anche proprio un pregevole studio dei geologi Santo Benfatto e Orazio Caruso e chiedono che nel nuovo Piano di Assetto Idrogeologico venga elevato il livello di rischio dell’area interessata all’impianto. Ma a metà febbraio il Ministero della Salute, quello delle Attività Produttive e quello dell’Ambiente concedono l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
Si deve perciò ricominciare da zero, riproponendo innanzi al TAR di Roma un ricorso che sembrava già vinto a Catania.
A Roma Sicil Power si ritrova come avversari aggiunti anche la Provincia etnea (avv. Mineo) e alcuni imprenditori della Valle del Simeto (avv. Giarrusso) ma alla prima udienza del 22 marzo si rinvia al 24 maggio perché il fascicolo non è ancora giunto da Catania dove il TAR, ritenendo illegittima la Legge che ha trasferito la competenza nella capitale, rimette la questione alla Corte Costituzionale.
Le speranze dei Comitati si riaccendono. Vedono, infatti, quello di Roma come un TAR troppo vicino al potere centrale e poi sembra impossibile che una Legge sopravvenuta possa applicarsi a una causa in corso. Inoltre, leggendo ingenuamente la normativa così com’è scritta, ritengono che il TAR Lazio, privo peraltro della documentazione di causa, non potrà che prendere atto della sospensione del processo disposta a Catania e attendere la decisione della Corte Costituzionale sulla sua competenza a decidere.
E invece il 22 maggio, due giorni prima della nuova udienza fissata per il 24, la Regione siciliana adotta un provvedimento che senza spostare da contrada Valanghe né il termovalorizzatore né l’annessa discarica rimescola la localizzazione di un paio di siti accessori e intermedi alla filiera che avrebbe portato i rifiuti a destinazione. Sembra poco ma è sufficiente per far scrivere al TAR Lazio che si tratta di un provvedimento nuovo e sostitutivo rispetto a quello sotto processo. “Sopravvenuta carenza di interesse”, quindi. Chi vuole e ne ha ancora voglia può richiedere daccapo (ma ormai non si capisce più a quale TAR) una nuova sospensione dei lavori.
E’ una catastrofe. A niente era valso lo sguardo sinceramente interessato – così è sembrato a chi scrive – che il presidente De Lise (successivamente diverrà presidente del Consiglio di Stato) aveva rivolto a una cartolina prodotta in udienza dove contrada Valanghe veniva definita una delle Perle di Sicilia. E sulla stampa i legali di Sicil Power SpA possono giustamente dirsi soddisfatti annunciando che già dall’indomani potrebbero riprendere i lavori.
Per molti, però, il Simeto è oramai diventato come il Piave. Si intensificano comizi, manifestazioni, interrogazioni parlamentari e a giugno i Comitati civici si costituiscono con Legambiente nel procedimento innanzi alla Corte Costituzionale.
A luglio una nota dei dirigenti regionali Alessandro Pellerito e Gioacchino Genchi denuncia che l’autorizzazione all’immissione dei fumi in atmosfera rilasciata a febbraio da tre Ministeri risulta illegittima e le associazioni ambientaliste con i Comitati civici dell’isola chiedono al governo nazionale, che nel frattempo è cambiato, di chiudere i cantieri degli inceneritori.
E’ in corso quella che tutti i giornali definiscono a pieno titolo La guerra dei termovalorizzatori.
Per Paternò a luglio un pool di banche finanzia con 400 milioni di Euro il progetto Sicil Power e la società, forse confidando nei tentativi di orientare l’opinione pubblica (in verità solo polemici e molto grossolani) messi in atto da un politicante di zona, comunica formalmente che il 16 novembre darà avvio alla realizzazione di termovalorizzatore e discarica.
Ma, oltre che legale, il presidio sui luoghi è oramai anche fisico con esponenti dei Comitati che vi dormono in tenda. Perciò questo preannunciato inizio dei lavori non avverrà mai e la stessa Sicil Power dichiara cautamente alla stampa che prima di fare un’altra mossa vuole attendere i pronunciamenti sui giudizi in corso.
Anni 2007 – 2009
Sebbene con sentenza n. 237 del 18 giugno 2007 la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della Legge sulla competenza sollevata dal TAR di Catania, la causa non sarà più discussa nemmeno davanti a quello del Lazio. E la questione finisce – stavolta veramente – per cessata materia del contendere.
L’Unione Europea, infatti, ritenendo che alle gare d’appalto di tutti e quattro i termovalorizzatori di Sicilia non fosse stata data la giusta pubblicità legale, impone alla Regione di rifarle. E nel nuovo Piano, mentre vengono riconfermati gli altri tre, l’impianto di Paternò… viene cancellato.
Finalmente si sono accorti che il sito era sbagliato. E risulta quasi incredibile pensare che se a luglio del 2005 le ruspe non fossero state fermate in tempo dal TAR Catania e dai Comitati civici, quello di Paternò – il più sbagliato – sarebbe stato l’unico inceneritore ad essere costruito.
Anno 2010
Ma se le cose incredibili finissero qui non saremmo in Sicilia.
A distanza di qualche anno, infatti, il Presidente della Regione in carica ritorna sul termovalorizzatore della valle del Simeto e nel corso di una seduta del Parlamento siciliano trasmessa in diretta televisiva rivela retroscena sconvolgenti. Il più grande affare di tutti i tempi che credo in Sicilia si sia mai concepito, lo qualifica. Il perno di interessi economici, politici e criminali a cui ascrivere anche il tentativo di una sua eliminazione fisica.
Chissà. In fin dei conti un suo predecessore si chiamava Mattarella, anche se in queste cose è meglio non avere certezze per partito preso.
Per quanto mi riguarda, e credo anche per Turi Asero e Nicola Giudice, i due colleghi avvocati che con me hanno condotto in prima persona questa battaglia giudiziaria, basta e avanza la certezza che le Valanghe sono ancora lì e che di una discarica con un megainceneritore a lato non si veda nemmeno l’ombra. Mentre ai giovani che di tanto in tanto vanno a ritrovare se stessi a Cannizzola, lungo il fiume Simeto, poi, conoscere il resto della storia nei dettagli non è per niente essenziale.