Premessa
Federconsorzi o Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, a lungo punto di riferimento della politica agricola nazionale, è la protagonista del “primo grande crac finanziario del Dopoguerra, chiuso con un buco di 4.500 miliardi di lire, pari a circa 2,3 miliardi di euro, e 17 mila creditori” (R. Bagnoli, Corriere della Sera, 9.2.2010).
Wikipedia ricostruisce che la sua crisi finanziaria divenne irreversibile nel 1991, quindi venne commissariata e nel ’92 ammessa a concordato preventivo; procedura che è ancora in corso e non è prevedibile quando si chiuderà. Da essa è nato anche uno scandalo penale sul prezzo (inferiore di 1.100 miliardi rispetto al valore effettivo) con il quale il patrimonio sarebbe stato venduto in blocco a una società costituita ad hoc, mentre “nel frattempo sul mercato finanziario secondario di Londra vi è stato un larghissimo passaggio delle posizioni creditorie con importi veramente cospicui”. E il dubbio “che se banche internazionali così potenti si sono accanite a comprare i crediti verso la Federconsorzi avranno fondati motivi per ritenere che alla fine i riparti saranno consistenti” (R. Esposito, Spazio rurale, 11/2004).
1992
Scopo di ogni procedura è recuperare risorse da distribuire ai creditori e il primo atto di Federconsorzi in concordato è la richiesta per via giudiziaria allo Stato delle somme per la gestione degli ammassi obbligatori dal dopoguerra al 1967. In verità questo servizio era stato svolto in tutta Italia dai singoli Consorzi Agrari Provinciali ma 58 di essi avevano ceduto il credito a Federconsorzi che così ne era divenuta titolare per un importo complessivo di 463 miliardi di lire che con l’aggiunta degli interessi si porta a più di 900 miliardi.
La causa viene incardinata innanzi al Tribunale civile di Roma e, dopo la fase iniziale, assegnata alla Sezione Stralcio V bis.
2002
La Sentenza del Tribunale di Roma n. 10027/02 che dopo dieci anni definisce il giudizio, però, rigetta ogni pretesa di Federconsorzi e la condanna pure al pagamento in favore dell’Avvocatura dello Stato delle spese legali per un ammontare (mai sentito prima) di 600 milioni di lire!
La Sentenza, vergata interamente a mano, non è di agevole lettura; ma assieme ad altro, in relazione alla cessione dei crediti su cui era fondata la domanda afferma (a pagg. 11-12) che detti crediti non erano legalmente acquistabili da Federconsorzi e che comunque agli atti non risultano le date esatte di pagamento dei prezzi che a fronte di tali cessioni la stessa aveva dichiarato di aver corrisposto ai singoli Consorzi.
Sembra perciò condivisa, ed anche ampliata, la tesi del Consorzio Agrario di Catania e Messina il quale (unico fra i 58 Consorzi cedenti) era intervenuto in causa sostenendo che per il credito di sua pertinenza – circa sei miliardi di lire dei complessivi 900 rivendicati da Federconsorzi – quest’ultima non poteva vantare alcun diritto stante che accertamenti svolti sulla contabilità in archivio avevano documentalmente comprovato (il tutto è meglio spiegato nella Comparsa di intervento volontario principale) che contrariamente a quanto a suo tempo attestato nei relativi atti di cessione di credito, Federconsorzi non aveva mai corrisposto il relativo prezzo. Cosa, peraltro, in linea con il clima di estrema dipendenza, se non sottomissione, che aveva caratterizzato i rapporti di tutti i Consorzi con l’istituzione centrale. Tuttavia l’intervento viene dalla stessa Sentenza ritenuto tardivo al pari di quello del Liquidatore giudiziale di Federconsorzi e quindi entrambi dichiarati inammissibili.
Avverso questa pronuncia Federconsorzi propone appello contro la soccombenza e lo stesso fanno il Consorzio etneo e il Liquidatore giudiziale contro la declaratoria di inammissibilità dei rispettivi interventi.
2004
Si definisce il giudizio di secondo grado con la Sentenza della I Sezione della Corte d’Appello di Roma n. 5020/04 che sovverte quella del Tribunale e riconosce a Federconsorzi le somme richieste: per l’esattezza (comprensivi degli interessi al TUS maggiorato del 4,4% con capitalizzazione semestrale) 991 miliardi di lire equivalenti a 511 milioni di Euro.
La Corte ritiene che essendo i Consorzi Agrari strutture societarie private, i crediti in argomento non soggiacevano ad alcun divieto legale di cessione mentre non dice niente sull’altra questione accennata dal Tribunale e cioè se il relativo prezzo fosse stato effettivamente pagato. Anche perché l’intervento in giudizio del Consorzio etneo ove si dimostrava come ciò non fosse mai avvenuto viene confermato (a differenza di quello del Liquidatore giudiziale, aderente a Federconsorzi, che stavolta viene ammesso) essere stato tardivo.
2005
La tesi del Consorzio agrario di Catania e Messina, in apparenza innocua (in fondo se confermata avrebbe sottratto soltanto 6 dei 900 miliardi in gioco), comportava un risvolto in principio sottovalutato, e cioè: se la sua cessione di credito era nulla per non esserne mai stato corrisposto il prezzo si poteva escludere che non si fosse verificato lo stesso anche per tutti gli altri 57 Consorzi? Con la conseguenza, in ipotesi, che pure le relative cessioni erano nulle e i rimanenti 894 miliardi, o parte di essi, spettavano pro quota ai singoli Consorzi sparsi per l’Italia e non già a Federconsorzi a Roma.
Questo risvolto viene autorevolmente colto e fatto proprio, nel corso dei lavori per la modifica della Legge sui Consorzi agrari, dalla Commissione Agricoltura del Senato la quale nella seduta del 9 febbraio 2005 approva l’Emendamento 5.0.2 ove si prevede che la titolarità dei crediti relativi alla gestione degli ammassi è solo dei Consorzi agrari, che l’eventuale cessionario di tali crediti perde ogni diritto se entro 30 giorni non documenta al Ministero che a suo tempo venne effettivamente pagato il prezzo di tali cessioni e che i giudizi in corso verranno dichiarati estinti.
Se questo disegno fosse diventato legge la partita si sarebbe chiusa indipendentemente dalle sentenze. E invece subito dopo la sua approvazione in Commissione si apre una crisi che porta il Governo alle dimissioni e poi allo scioglimento anticipato delle Camere e alla fine della Legislatura. E così (si tratta, ovviamente, di una casualità) non arriva nemmeno in Aula e la parola su tutta la vicenda ritorna alla magistratura.
2007
La Sentenza della I Sezione civile della Cassazione n. 26159 del 13.12.2007 definisce, dopo averli riuniti, i ricorsi contro la decisione della Corte d’Appello avanzati dal Ministero delle Politiche Agricole, dal Consorzio Agrario etneo e dalla stessa Federconsorzi in via incidentale. E l’esito è che quest’ultima ha diritto alle somme richieste, anche se nella scelta della modalità di calcolo degli interessi la sentenza della Corte d’Appello è ritenuta carente di motivazione e quindi (solo per il calcolo degli interessi) cassata con rinvio.
Anche stavolta nessuna pronuncia su quanto denunciato dal Consorzio Agrario; il suo ricorso, infatti, è dichiarato inammissibile. Non più per la tardività dell’intervento fino ad ora eccepita (contro autorevole dottrina se non anche un pronunciamento della stessa I Sezione della Cassazione come rappresentato nella Memoria difensiva del 4.10.2007) ma per un motivo diverso, stavolta processualmente più a monte, sollevato da Federconsorzi e fatto proprio dal Collegio: non aveva assolto al principio di autosufficienza nell’esporre i precedenti fatti di causa, privando così la Corte di una completa cognizione degli stessi. E dire che occupava ben sedici pagine; una in più della sentenza impugnata!
Ma è regola che le sentenze della Cassazione al massimo si commentano ed è di poca consolazione l’opinione di un professore di diritto qui a Catania il quale, dopo che un suo ricorso subì identica declaratoria, osservò che tuttavia questo era il mezzo più saggio a disposizione di chi giudica per gestire risvolti scottanti, se non proprio l’indicibile. Fatto sta che l’imbarazzante questione sollevata dal Consorzio etneo (la mai avvenuta corresponsione del prezzo delle cessioni) non è riuscita a trovare ingresso in alcuna fase decisoria, di accoglimento o rigetto che fosse. E rimarrà perciò uno dei buchi neri a cui il formalismo giudiziario ci ha abituato anche a fronte di pronunciamenti definitivi. La fors’anche banale discrepanza, in altri termini, tra verità effettiva e verità giudiziaria.
Epilogo (2011 – 2016)
Una volta stabilito che il credito è di Federconsorzi, tutto ciò che viene dopo è letteralmente accessorio. E così il 14.10.2011 con sentenza in sede di rinvio la Corte d’Appello di Roma conferma quella di 7 anni prima nel senso che gli interessi si calcolano al TUS maggiorato del 4,4% con capitalizzazione semestrale mentre a seguire la Cassazione (del nuovo giudizio non fa più parte il Consorzio Agrario etneo) con la Sentenza 9887 del 13.5.2016 da cui siamo partiti stabilisce un criterio meno pesante per lo Stato ma che pur sempre porta all’astronomica cifra che oscilla (il calcolo è non poco complicato) da non meno di 500 milioni di Euro a un massimo di 900 e cioè tra 1.000 e 1.800 miliardi in lire.
La stampa specializzata (Agricolae, 20 maggio 2016) commenta che “la Cassazione ha deciso lì dove il Parlamento non lo aveva fatto”; ed è vero. Dopo il tentativo del 2005 di cui si è detto e il coraggioso emendamento 5.0.2 del senatore siciliano Minardo (preceduti qualche anno prima da alcune interrogazioni parlamentari sulla specifica vicenda del Consorzio etneo), non pare che si sia più osato mettere mano alla questione. E così oggi resta solo da vedere se per avventura questa montagna di liquidità (per reperirla sarà necessaria una manovra di bilancio avvertì l’Avvocatura dello Stato già durante l’udienza del 2007 in Cassazione) “finirà ad un fondo di investimenti straniero che ha comprato tempo fa i crediti di Federconsorzi per poche lire, raggiungendo così una straordinaria plusvalenza”.