Mettere nero su bianco i frutti di un’accurata indagine giornalistica non è impresa semplice, a maggior ragione se l’indagine stessa è riallacciabile ad un filone ben consolidato e “di successo” (se così si può dire, trattandosi di un testo assai amato e altrettanto odiato) inaugurato dal celebre “La Casta” di Rizzo e Stella. Il duplice rischio è quello di peccare di originalità o, peggio, risultare ridondanti.
Se poi ammettiamo che l’autore del libro in questione abbia voluto, in un certo qual senso, ampliare la gamma dei “colpevoli” in questo ormai grande caos che si chiama “Italia”, pur sapendo che la questione sarebbe stata sgradita ai più (ricordiamo che la Magistratura gode di buona reputazione, soprattutto per via di alcuni magistrati realmente votati al mestiere, di cui, forse, tutt’oggi si “sfruttano” a fini propagandistici e con troppa leggerezza i nomi) si capirà bene come l’impresa di Stefano Livadiotti non fosse semplice.
Eppure egli è riuscito a regalarci un volume di valore, offrendo un quadro esaustivo della Magistratura, che qui viene provocatoriamente definita “L’ultracasta”, quasi a voler dare l’idea di un (mal)costume, se possibile, ancora più consolidato di quello che regna nella casta dei politici. I dati cui l’autore si richiama hanno la loro matrice negli studi del professor Giuseppe De Federico, nonché nell’indagine della Cepej (la Commissione Europea per l’efficienza della Giustizia): dati (ahinoi) sconcertanti, soprattutto per ciò che concerne la durata dei processi. Vergognosamente lunghi, tanto da passare attraverso intere generazioni di accusanti e condannati. Livadiotti sostiene che il sistema della Giustizia italiana non risenta della mancanza di fondi (uguali se non addirittura superiori di quelli degli altri paesi europei) così come i magistrati ripetono, ma della sistematica attitudine a “rimandare” dei giudici, nonché del loro essere poco ligi al dovere: dimenticarsi persino di firmare la scarcerazione di un innocente, rimasto quindi dietro le sbarre per anni, è prassi assai consolidata.
Inoltre, a che pro aver timore di un possibile “errore” se poi non se ne pagano mai le conseguenze? Chi giudicherà i giudici? I giudici stessi, ovviamente. E fra colleghi, si sa, c’è sempre una certa solidarietà … In tal modo il magistrato che viene citato in apertura da Livadiotti riesce a farla franca dopo aver molestato un minore, e un altro definito “poco sano di mente” torna alle sue mansioni dopo un semplice richiamo da parte del Csm.
Gli esempi citati sono davvero tanti e ben documentati, e rimando al testo perché vale la pena conoscerli tutti, ma, a mio avviso, la parte più incisiva dell’indagine su cui imprescindibilmente occorre soffermarsi e riflettere, è quella che riguarda lo stretto rapporto fra la politica e la Magistratura. Tralasciando per un attimo il pur grave fatto per cui il Csm ha, al suo interno, precise correnti politiche che si traducono in puntuale spartizione dei posti a sedere, è questione ancor più preoccupante della “politica che entra in Magistratura”, “la Magistratura che entra in politica”. A che pro amalgamare questi due poteri aventi, almeno su carta, funzioni complementari ma distinte? La motivazione, ovviamente, è sempre la stessa: quando si taglia la torta bisogna affrettarsi a prenderne una fetta. Allora la Magistratura, adeguandosi o, addirittura, manovrando il potere, con meno scalpore dei politici ma con più furbizia, si è assicurata senza dubbio una buona fetta di quella torta di cui si diceva.
Devo però onestamente ammettere che ci sono punti in cui non mi sono trovata d’accordo con l’autore, in modo particolare non condivido il pensiero che le intercettazioni costino troppo e siano
sovra-utilizzate dai PM, così come non credo che la “carriera” in Magistratura, descritta da Livadiotti come un’isola felice, facile e piena di guadagni, sia così paradisiaca, se non altro per l’oggettiva responsabilità che essa comporta, almeno in termini deontologici.
Se volessi muovere un altro appunto sarebbe di natura stilistica: le enumerazioni, per quanto nel contesto necessarie, a volte vanno usate con parsimonia, ed infatti alcuni paragrafi non risultano di facile lettura.
Ad ogni modo, accostarsi ad un testo del genere non significa necessariamente assorbire a mo’ di spugna tutto ciò che l’autore ha documentato, significa però aprire “una nuova finestra” (critica) sulla società in cui si vive, e principiare a riflettere su temi che la televisione o i giornali ci presentano (manco a dirlo) in maniera faziosa e pilotata.
Ancora più problematico farsi un’opinione sui privilegi, anche economici, cui godono i Magistrati: nessuno potrebbe contestare che il loro ruolo sia delicato e, a volte, persino “pericoloso” … ma, data la crisi che sta attraversando il nostro Paese, siamo ancora sicuri che i compensi per i giudici non siano più alti del dovuto? Livadiotti sottolinea come essi lavorino, in media, soltanto 4 ore al giorno!
Cade a pennello l’esempio, da poco portato alla luce, dell’ex-magistrato etneo che, nonostante oggi sia nella condizione di godere pacificamente della pensione, non prova alcun rimorso per i soldi pubblici con cui viene pagata la sua scorta (il che, a quanto pare, gli consente il privilegio di passare al semaforo col rosso!).
E che dire dell’annosa questione sulla separazione delle carriere? È mai possibile che non si pervenga ad una riforma che, finalmente, metta ordine nel sistema giudicante? Perché mai un imputato debba vedere il suo accusatore ed il suo giudice entrate a braccetto in aula non è paradosso di poco conto.
Livadiotti in sostanza offre un ottimo spunto di partenza per chiunque voglia conoscere e ri- conoscere la realtà. Ciò che qui conta, infatti, non è l’assimilazione acritica dei dati, quanto una sua interpretazione nell’ambito del contesto in cui viviamo. Le caste esistono, esiste la casta dei politici, dei sindacati (si veda, sempre di Livadiotti, “L’altra casta”), esiste la casta dei manager aziendali ed esiste la casta dei giudici, trincerati da sempre dietro i cancelli di un ideale di “uguaglianza nella legge” che li rende, a volte, più uguali degli altri.
In parole povere “Magistrati, l’ultracasta” è un libro da leggere, intendendolo non soltanto dal punto di vista dell’indagine giornalistica. Ha rilevanza, al di là dei numeri e delle statistiche, la natura profonda del monito con cui l’autore vuole incitare quanti, trovandosi nel complesso mondo delle alte toghe, vedono e toccano con mano le contraddizioni del proprio ruolo: chissà che il miglioramento non sia possibile, magari tramite un greve scossone alle coscienze …
Il Libro di Stefano Livadiotti “MAGISTRATI – L’ULTRACASTA” è edito da Bompiani, 259 pagine, 17 euro.
ROSSELLA SPITALE
(recensione pubblicata in SUD, marzo 2013)