Francesca Santolini, La Stampa, 11 VI 2019
Arte e natura, un incontro sostenibile al “Radicepura Garden Festival”
Il primo evento internazionale del Mediterraneo dedicato al garden design e all’architettura del paesaggio, che ha aperto i battenti ad aprile a Giarre (Catania), è quest’anno dedicato al tema dei giardini produttivi.
La sostenibilità alla base dell’incontro tra arte e natura. E soprattutto al centro del Radicepura Garden Festival, il primo evento internazionale del Mediterraneo dedicato al garden design e all’architettura del paesaggio, che ha aperto i battenti lo scorso mese di aprile a Giarre (Catania). Un appuntamento biennale promosso dalla Fondazione Radicepura, dedicato quest’anno al tema dei Giardini produttivi, che uniscono bellezza e utilità, perché il concetto di sostenibilità è diventato cruciale anche nella progettazione e nella gestione del verde.
Ai piedi dell’Etna, il parco botanico Radicepura diventa magico, accogliendo piante mediterranee, creazioni paesaggistiche e artistiche, e ancora 14 giardini e 4 installazioni realizzate con le piante coltivate dalla famiglia Faro. Una famiglia di vivaisti da tre generazioni che, partendo con 600 mq negli anni 80, oggi vanta 600 ettari destinati alla produzione di piante, con 800 specie e oltre 5000 varietà, grazie all’attività portata avanti da Venerando Faro, alla guida dell’azienda con i figli Mario e Michele.
Ed è proprio Mario Faro, vicepresidente della Fondazione Radicepura, a raccontare il senso della manifestazione: “Abbiamo lanciato una call internazionale e sono arrivati 150 progetti, dall’Europa, dagli Stati Uniti, persino dall’India. Abbiamo dato più forza al concorso perché è dai giovani che bisogna partire per ragionare insieme sul paesaggio mediterraneo, sulla salvaguardia e la cura del nostro territorio, sulla sostenibilità. Il giardino di oggi non deve sprecare ma tener conto delle risorse limitate”.
E nell’epoca del climate change, è proprio la scarsità delle risorse, al centro del giardino di due giovani paesaggisti romani, perché ciò che è veramente primario in ogni giardino è la presenza dell’acqua. E allora, può un giardino produrre acqua?
Si chiedono e chiedono provocatoriamente ai curiosi osservatori i due architetti Ilaria Tabarani e Lorenzo Decembrini. Oggi, almeno in Occidente, avere accesso all’acqua non è difficile, ma in tempi più lontani la lotta alla siccità era una lotta quotidiana, anno dopo anno gli agricoltori seguivano l’andamento delle piogge nei mesi invernali e speravano nella clemenza delle nuvole nei mesi estivi. Tuttavia, più l’area di coltivazione era impervia, più si sviluppavano tecnologie e sperimentazione. Si comprese, per esempio, che le pietre erano utilissime per riparare le coltivazioni dal vento e proteggere il terreno umido dal sole bruciante d’agosto.
E proprio queste tecniche antiche oggi possono rispondere alle problematiche attualissime del risparmio idrico e, con questo spirito didattico, gli architetti hanno voluto ricreare quanti più esempi possibili di captazione d’acqua dall’aria, che corrispondono a tre micro giardini. La prima tecnica prende spunto dai giardini panteschi, delle strutture che riescono a mantenere al proprio interno un microclima umido e caldo anche se l’ambiente esterno è esposto ai venti ed alla forte siccità estiva.
Il giardino è composto da una stanza di pietra che sfrutta il sole che batte sulla parte esterna delle pietre. Il calore accumulato durante il giorno sulla parte esterna viene dissipato all’interno durante la sera dalle pietre stesse. Questo crea un microclima particolare che consente alle piante di non subire grandi sbalzi termici e queste, riparate dal vento, non disperdono l’umidità che finisce negli interstizi delle pietre e ritorna nel terreno. Il secondo giardino è ispirato al warkawater dell’architetto italiano Arturo Vittori. La struttura sfrutta l’escursione termica data dal giorno e la notte. Una torre fatta di materiali poveri raccoglie l’acqua dall’atmosfera, captando la condensa che si crea dallo sbalzo termico tra il giorno e la notte, nelle zone più calde del pianeta.
L’ultimo giardino trae la sua ispirazione dal tu’rat: una mezzaluna di pietra, che invece di difendersi dal vento, lo sfrutta. L’acqua è presente nell’aria, ci sono correnti più umide e correnti più secche, e dove si è identificato un particolare vento umido dominante, troviamo dei muretti a secco a forma semicircolare, bassi e numerosi. In Puglia li chiamano Tu’rat, servono a raccogliere da questi venti quanta più umidità possibile, che al sicuro tra le pietre non evapora e si accumula, finendo poi sul terreno, rendendolo più umido e fertile.
Il messaggio che gli ideatori del giardino vogliono trasmettere è fortemente divulgativo, anche il giardinaggio deve adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico, in questo caso riscoprendo l’uso di tecniche antiche di cui si è persa memoria, ma che ancora oggi continuano ad ispirare un rapporto diverso con l’ambiente.