Addio alla classe media: così lavoro a basso costo e robot hanno svuotato il motore della società
Il declino di una fetta fondamentale per lo sviluppo economico e culturale: trent’anni fa, messi tutti insieme, i redditi delle classi medie valevano quattro volte quelli dei ricchi. Oggi, meno di tre volte.
Le mezze stagioni non sono più quelle di una volta. Ma neanche le classi medie ed è, politicamente, socialmente ed economicamente, una svolta epocale. Dietro l’avanzata del sovranismo di questi anni – dalla Brexit a Trump ai populismi europei – c’è il collasso di quella che l’Ocse (l’organizzazione che raccoglie i paesi ricchi) definisce “lo zoccolo duro della democrazia e dello sviluppo economico”. Un lungo rapporto appena uscito sulla “Struggling middle class”, la classe media in affanno, sottolinea come l’impatto contemporaneo di globalizzazione, automazione, crescita delle ineguaglianzeabbia azzoppato lo slancio dinamico degli strati sociali che, per la loro proiezione sul futuro, l’investimento – in chiave di autopromozione – su educazione e cultura, il desiderio di salire la scala sociale, la costante ricerca di opportunità sono stati storicamente le leve di accumulazione di capitale umano ed economico. “Lo sviluppo – dice il rapporto – è maggiore dove la classe media è più forte”. Invece, i lavoratori cinesi da una parte, i robot e i software dall’altra sono le due braccia della tenaglia che ha progressivamente strizzato le classi medie dei paesi ricchi: un fenomeno che balza agli occhi nei paesi anglosassoni, meno in quelli scandinavi, ma che è evidente anche dove le classi medie erano più radicate, come in Europa.
Fra i vari criteri possibili, l’Ocse sceglie il reddito per definire la classe media. Si prende la scala dei redditi di un paese, si tira una riga a metà, in modo che metà delle persone stia sopra e metà sotto la riga. E’ il reddito mediano: in Italia (dati 2016) 29.305 euro per una famiglia di 4 persone. Chi guadagna almeno tre quarti fino a non più del doppio di quella cifra è classe media. Per l’Italia significa un reddito disponibile annuo, per quella famiglia, fra 21.979 e 58.610 euro. Ma, in questa forbice, ci sono sempre meno persone. Prendete i baby boomers, che stanno andando in pensione in questi anni: quando avevano vent’anni, fra il 1965 e il 1980, quasi il 70 per cento di loro si poteva definire classe media. Oggi, nei paesi Ocse, solo il 60 per cento dei Millennials può fare altrettanto. E’ una lenta inarrestabile emorragia, al centro della scala sociale, che assume spesso il carattere di una brusca, rovinosa caduta: il rapporto riferisce che una persona su sette, fra quelle che si collocano al centro della scala dei redditi dei paesi industrializzati (non fanno, cioè, parte né del 20 per cento più povero, né del 20 per cento più ricco) si ritrova in fondo, nel 20 per cento più povero, nel giro di quattro anni. Questo è, naturalmente, più frequente per chi sta appena sopra il livello minimo della classe media: c’è una probabilità su cinque che rifluisca nelle classi inferiori di reddito entro quattro anni.
Nei paesi industrializzati, le classi medie rappresentavano quasi due terzi della popolazione (64 per cento) a metà degli anni ’80, a conclusione del lungo boom del dopoguerra. Trent’anni dopo, sono solo il 61 per cento e sono, relativamente, più povere rispetto ai ricchi e agli straricchi dei loro paesi. Trent’anni fa, messi tutti insieme, i redditi delle classi medie valevano quattro volte quelli dei ricchi. Oggi, meno di tre volte.
Non basta, ormai, lavorare in due in famiglia per mantenere serenamente lo stesso tenore di vita e spingere i figli un po’ più in su nella scala sociale. Di generazione in generazione il 40 per cento delle differenze di reddito che esistevano fra i padri si riproduce fra i figli. La rabbia sociale che trova espressione, trasversalmente, un po’ in tutti i paesi, nella rivolta contro partiti storici e classi dirigenti si alimenta con il rancore di strati sociali che si scoprono bloccati, sentono il terreno franare sotto i piedi, rivendicano uno status che, anno dopo anno, stanno perdendo. I dati, dice l’Ocse, danno loro ragione.
Maurizio Ricci, Repubblica, 13 IV 2019
Addio alla classe media: così lavoro a basso costo e robot hanno svuotato il motore della società
Il declino di una fetta fondamentale per lo sviluppo economico e culturale: trent’anni fa, messi tutti insieme, i redditi delle classi medie valevano quattro volte quelli dei ricchi. Oggi, meno di tre volte.
Le mezze stagioni non sono più quelle di una volta. Ma neanche le classi medie ed è, politicamente, socialmente ed economicamente, una svolta epocale. Dietro l’avanzata del sovranismo di questi anni – dalla Brexit a Trump ai populismi europei – c’è il collasso di quella che l’Ocse (l’organizzazione che raccoglie i paesi ricchi) definisce “lo zoccolo duro della democrazia e dello sviluppo economico”. Un lungo rapporto appena uscito sulla “Struggling middle class”, la classe media in affanno, sottolinea come l’impatto contemporaneo di globalizzazione, automazione, crescita delle ineguaglianze abbia azzoppato lo slancio dinamico degli strati sociali che, per la loro proiezione sul futuro, l’investimento – in chiave di autopromozione – su educazione e cultura, il desiderio di salire la scala sociale, la costante ricerca di opportunità sono stati storicamente le leve di accumulazione di capitale umano ed economico. “Lo sviluppo – dice il rapporto – è maggiore dove la classe media è più forte”. Invece, i lavoratori cinesi da una parte, i robot e i software dall’altra sono le due braccia della tenaglia che ha progressivamente strizzato le classi medie dei paesi ricchi: un fenomeno che balza agli occhi nei paesi anglosassoni, meno in quelli scandinavi, ma che è evidente anche dove le classi medie erano più radicate, come in Europa.
Fra i vari criteri possibili, l’Ocse sceglie il reddito per definire la classe media. Si prende la scala dei redditi di un paese, si tira una riga a metà, in modo che metà delle persone stia sopra e metà sotto la riga. E’ il reddito mediano: in Italia (dati 2016) 29.305 euro per una famiglia di 4 persone. Chi guadagna almeno tre quarti fino a non più del doppio di quella cifra è classe media. Per l’Italia significa un reddito disponibile annuo, per quella famiglia, fra 21.979 e 58.610 euro. Ma, in questa forbice, ci sono sempre meno persone. Prendete i baby boomers, che stanno andando in pensione in questi anni: quando avevano vent’anni, fra il 1965 e il 1980, quasi il 70 per cento di loro si poteva definire classe media. Oggi, nei paesi Ocse, solo il 60 per cento dei Millennials può fare altrettanto. E’ una lenta inarrestabile emorragia, al centro della scala sociale, che assume spesso il carattere di una brusca, rovinosa caduta: il rapporto riferisce che una persona su sette, fra quelle che si collocano al centro della scala dei redditi dei paesi industrializzati (non fanno, cioè, parte né del 20 per cento più povero, né del 20 per cento più ricco) si ritrova in fondo, nel 20 per cento più povero, nel giro di quattro anni. Questo è, naturalmente, più frequente per chi sta appena sopra il livello minimo della classe media: c’è una probabilità su cinque che rifluisca nelle classi inferiori di reddito entro quattro anni.
Nei paesi industrializzati, le classi medie rappresentavano quasi due terzi della popolazione (64 per cento) a metà degli anni ’80, a conclusione del lungo boom del dopoguerra. Trent’anni dopo, sono solo il 61 per cento e sono, relativamente, più povere rispetto ai ricchi e agli straricchi dei loro paesi. Trent’anni fa, messi tutti insieme, i redditi delle classi medie valevano quattro volte quelli dei ricchi. Oggi, meno di tre volte.
Non basta, ormai, lavorare in due in famiglia per mantenere serenamente lo stesso tenore di vita e spingere i figli un po’ più in su nella scala sociale. Di generazione in generazione il 40 per cento delle differenze di reddito che esistevano fra i padri si riproduce fra i figli. La rabbia sociale che trova espressione, trasversalmente, un po’ in tutti i paesi, nella rivolta contro partiti storici e classi dirigenti si alimenta con il rancore di strati sociali che si scoprono bloccati, sentono il terreno franare sotto i piedi, rivendicano uno status che, anno dopo anno, stanno perdendo. I dati, dice l’Ocse, danno loro ragione.