Antonio Fiumefreddo, Sud, 28 X 2015.
Quando chiude un giornale chiude un’idea
Qualcuno ha scritto che quando chiude un giornale chiude un’idea.
E’ proprio vero! I giornali, di carta o via etere o via rete, hanno da sempre arricchito ed anzi testimoniato il grado di democrazia di una civiltà.
La chiusura, quindi, di Antenna Sicilia impoverisce questa nostra città, già ridotta ai minimi termini.
Ma non chiude solo un’idea, bensì anche, e soprattutto, chiude una storia fatta di persone, di professionisti, di entusiasmo, di lavoro.
Il pensiero mio, come di tanti altri, in questo momento va ai lavoratori, alle loro famiglie.
Restare senza lavoro è sempre un dramma, ma quando accade a chi ha già i capelli grigi, con un mutuo da pagare, le rette dei figli da mantenere agli studi, la rata dell’auto da versare ogni mese, quel dramma diventa esistenziale e tinge quelle esistenze dello stesso colore dei loro capelli.
Non è questa la sede per esprimere giudizi circa la responsabilità di chi quell’azienda ha guidato, giacché penso che quanto sta accadendo sia una sconfitta anche per chi quell’impresa ha condotto negli anni.
Credo, invece, che quello schermo muto, e la voce fuoricampo di Maria Torrisi che annuncia la chiusura, sia l’immagine di una città colpita al cuore, che deve cominciare ad interrogarsi sulle proprie responsabilità, che deve imparare a fare proprie le sofferenze degli altri.
Il licenziamento di tanti padri di famiglia, che lavorassero nell’editoria come anche nelle fabbriche o nei cantieri, è una sconfitta di tutti, anche di chi non ha responsabilità dirette, e deve servire ad attivare una solidarietà collettiva, vera e forte; una reazione dell’orgoglio e della ragione che faccia nascere finalmente una svolta, civile e sociale prima che politica.
Non è sempre un problema degli altri, ma è anche e sempre un problema anche nostro, perché una città più povera si avvia a trasformarsi piano piano, ma ineluttabilmente, verso il deserto, da cui già scappano i nostri figli e nel quale non ci sarà posto neppure per la nostra vecchiaia.
Una città in cui il lavoro si perde apre le porte alla violenza, abdica alla manovalanza criminale, favorisce la devianza minorile, si fa sede del professionismo d’accatto, della compravendita del consenso.
Questa è diventata Catania.
Ci piace?
C’è ancora qualcuno che prova conforto a parlare del clima e della montagna?
Provino a raccontarlo a quei padri di famiglia che hanno perso tutto!
Quella voce fuori campo, della dolcissima Maria, dovrebbe risuonare dentro tutti noi ed interrogare le nostre coscienze per farci reagire.
Quello schermo muto non lascia senza parole soltanto le mie idee e la mia dignità ma ha già strappato molte famiglie ad un futuro altrimenti più sereno.
Ricordo, con immensa malinconia, quando, quindicenne, cominciai a scrivere per la terza pagina de La Sicilia, accompagnato e guidato da un uomo mite, buono e bravo, come Turi Scalia.
Ho scelto, poi, un’altra professione per la mia vita, ma avrei potuto esserci anche io oggi tra quei licenziati che hanno trascorso la loro vita nella televisione per informare, per montare la guardia al potere, per rendere la mia comunità più ricca, per rendermi migliore.
Servirà questo ennesimo dramma a svegliare Catania?
Viceversa, davvero da oggi è bene avere la consapevolezza che le campane suonano a morte per tutta la città.