Antonio Castro, LIBERO QUOTIDIANO, 11 III 2015.
Avvocati, 5 mila professionisti pronti a mollare falcidiati dalla crisi
Anche i professionisti piangono. O meglio: anche gli avvocati non arrivano alla fine del mese. E ancora: ce ne sono tanti, tantissimi e in costante aumento, che neppure ce la fanno a pagare i contributi previdenziali minimi (circa 2mila euro l’anno), e oltre all’onta – di non riuscire a mettere insieme un reddito dignitoso – devono anche subire l’umiliazione di “autosospendersi” dall’ordine di categoria per “congelare” il contestuale pagamento dei contributi previdenziali obbligatori.
Il fiume carsico della crisi economica che ha devastato anche le professioni intellettuali (avvocati, notai, giornalisti, architetti, ecc), occhieggia a Milano, a Roma, a Genova, a Pescara. In tutta Italia – senza eccezione geografica alcuna – si moltiplicano i preoccupanti segnali di crisi. Con effetti che rischiano di riverberarsi pesantemente sul futuro sociale e previdenziale del Paese.
Entro fine marzo/inizio aprile i quasi 50mila avvocati (su 240mila totali) che non sono ancora iscritti alla cassa di previdenza di categoria dovranno decidere se pagare (3.500 euro circa per il 2014), oppure se chiedere agli ordini professionali di appartenenza di autosospendersi o cancellarsi.
«La legge 247 del 2012», spiega il presidente della Cassa forense, Nunzio Luciano, «impone a tutti gli iscritti agli ordini professionali di aprire una posizione previdenziale». La logica dell’imposizione – che deriva dall’applicazione della riforma previdenziale Fornero declinata per le casse professionali – è che lo Stato non può (e tanto più non potrà in futuro) farsi carico di assistere chi, privo di una propria posizione pensionistica, o di un numero sufficiente di versamenti, arriverà all’età della pensione senza aver accumulato un “castelletto” previdenziale in grado di assicurargli una vecchiaia dignitosa.
Peccato che la crisi economica degli ultimi 7 anni abbia falcidiato commesse e incarichi professionali. E moltiplicato i mancati pagamenti. Insomma, neppure professioni che si pensavano galleggiassero immuni dalla crisi (gli avvocati, ma pure i notai), oggi se la passano bene. L’Associazione degli enti previdenziali dei professionisti (Adepp), ha studiato già nel 2013, e ancora nel dicembre 2014, gli effetti della crisi sui redditi dei professionisti. In sostanza negli ultimi 3 anni i redditi di queste categorie sono crollati del 10%. E nel 2015 andrà anche peggio: sempre secondo le proiezioni dell’Adepp quest’anno il reddito medio dei professionisti italiani si fermerà sotto i 30 mila euro, dopo essere già sceso, negli ultimi sette anni, del 15% con punte che arrivano al 24%. Insomma, la recessione si è mangiata un quarto dei redditi.
E se è vero che la platea dei futuri o aspiranti professionisti cresce (+ 15,7% nel corso del 2013 gli iscritti agli ordini professionali), di certo calano compensi e fatturati. Nell’immaginario collettivo rimane impressa la dichiarazione dei redditi record dell’avvocato (ex ministro della Giustizia con il governo Monti) Paola Severino: oltre 7 milioni nel 2012. O quello del principe del foro Niccolò Ghedini (avvocato di Silvio Berlusconi) che nel 2012 ha dichiarato un imponibile pari a 2.173.781 euro.
Ma la realtà – e non solo in provincia – è ben altra cosa. E gli avvocati non fanno certo eccezione. A dicembre scorso il tesoriere dell’Ordine degli avvocati di Roma, Antonino Galletti, ha ammesso che ben 298 colleghi hanno rinunciato ( o si sono autosospesi dalla professione), perché non ce la facevano più a pagare quota di iscrizione e contributi previdenziali minimi. Se la passano un po’ meglio a Milano dove l’Ordine ha registrato a fine dicembre ben 53 autosospensioni. Ieri l’edizione genovese de “la Repubblica” dava conto di Genova: 50 avvocati “autosospesi” in pochi mesi, su una popolazione cittadina di circa 4mila avvocati iscritti. In Abruzzo l’emorragia (140 autosospesi già nel 2012), sembra continuare. Non c’è città o regione immune.
Il presidente della Cassa forense ha spedito a inizio gennaio circa 50mila raccomandate ad altrettanti colleghi iscritti ai rispettivi ordini ma non alla previdenza. Questi dovranno scegliere entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione se iscriversi alla Cassa oppure all’Inps. «Però da noi esiste il principio solidaristico e una contribuzione media del 14%, mentre all’Inps oggi è al 27% e crescerà fino al 33% nel 2017%», avverte Luciano. Su Facebook è nato pure un gruppo (“no alla cassa forense obbligatoria” con 2.244 “mi piace”. E gli iscritti a questa community lamentano proprio la coercizione per legge di una previdenza che rosicchia quel poco che si riesca a guadagnare. I famosi 50mila non iscritti alla cassa hanno redditi inferiori ai 15mila euro lordi l’anno, e anche solo immaginare di sborsare 2/3mila euro di contributi previdenziali risulta oggi insostenibile.
A metà aprile – quando scadrà il termine di legge per decidere se iscriversi, cancellarsi oppure autosospendersi – si saprà quanti tra questi sceglieranno l’addio alla toga per impossibilità a saldare. Nunzio Luciano non si sbilancia però stima “spannometricamente” che circa il 10% di questi rinuncerà ad iscriversi. Quindi 4.500/ 5mila avvocati lasceranno la toga causa crisi. Prima c’erano solo gli operai sui tetti. Fra qualche tempo troveremo anche giovani (o meno) avvocati, architetti, notai…