Luciana Grosso, L’Espresso, 3 I 2014.
Aste immobiliari, il business dal lato oscuro.
L’incanto di case e immobili, in arrivo da fallimenti di privati e imprese è, complice la crisi, un settore in crescita esponenziale. Ma anche uno dei più grandi coni d’ombra del sistema giudiziario.
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Se avete qualche soldo da riciclare, le aste immobiliari sembrano essere fatte apposta. E sono tante: circa 50mila all’anno, per un valore complessivo incalcolabile e, soprattutto, incalcolato.
Quello dell’incanto di case e immobili, in arrivo da fallimenti di privati e imprese è, con l’aiuto della feroce crisi, un settore in esponenziale ascesa dal 2010 ad oggi.
Un mercato appetibile da molti: persone normali desiderose di comprare una casa con forti sconti, oppure a persone con molta liquidità e desiderio di spenderla senza avere a che fare con troppe domande e controlli.
“Le aste giudiziarie sono uno dei più vasti coni d’ombra del sistema giudiziario– spiega il giudice antimafia Gianfranco Donadio-. Si tratta di una zona grigia in cui, senza nessuna fatica, si infilano capitali ingenti senza che nessuno riesca davvero a controllare chi compra cosa”.
Il quadro è quello in cui ogni anno vengono venduti all’incanto circa 50 mila immobili (gli ultimi dati disponibili sono del primo semestre 2012, quando, in sei mesi, le vendite disposte dal giudice, sono state 22.895, contro le 38.814 dell’intero 2011) dei tagli più svariati, dai bilocali di periferia, ai capannoni industriali fino a interi palazzi di lusso.
Il sistema, almeno in base alla legge funziona così: a seguito di un fallimento, di un privato o di un impresa o quel che sia, i suoi beni vengono messi all’incanto, così da provvedere, con il ricavato della vendita, al saldo dei debiti del fallito.
L’asta può essere bandita non solo dal tribunale, ma anche da avvocati, notai, commercialisti, o case d’asta dedicate. In teoria tutti, tranne il debitore, possono accedervi (le aste sono pubbliche e per legge devono essere annunciate sui giornali e siti specializzati) e tutti possono fare un’offerta.
I banditori, poi, sono tenuti a verificare che gli offerenti abbiano le carte in regola e se dovessero ritenere che qualcosa non torna sono tenuti a inviare una segnalazione di transazione sospetta alla Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia.
Questa è la teoria, la pratica però racconta un altro quadro in cui la regolarità e legalità di quel che succede è minata da tre grandi falle.
La prima riguarda la struttura stessa delle banche dati dei tribunali che, semplicemente, non ci sono: “Ogni asta viene registrata al tribunale di competenza- spiega ancora Donadio- ma ogni tribunale tiene per sé i suoi dati, in un regime di assoluta stagnanza e di nessuna comunicazione e unione di forze e informazioni. I singoli tribunali e le singole cancellerie che non comunicano tra loro, le notizie restano nelle singole sedi e difficilmente ne valicano i confini; non esistono banche dati incrociabili. A questo si aggiunge l’obsolescenza del sistema che, ancora oggi, è tutto cartaceo e privo di un sistema di rilevamento telematico. In questo modo- conclude Donadio- non c’è modo di coordinare i dati, di fare controlli incrociati tra chi vende e chi compra, e tra le loro storie pregresse. Il problema con le aste immobiliari è che nessuno è in grado di sapere chi, cosa e quanto si vende e si compra, e così la crisi si sta rivelando un’ottima occasione per le economie criminali e grandi capitali riescono ad annidarsi senza troppa fatica in un sistema lasco e polveroso”.
C’è poi la seconda falla che riguarda la segnalazione di transazioni sospette: la norma impone a chi, tra i banditori d’asta, rilevi o ragionevolmente creda di rilevare anomalie, scorrettezze o possibilità di infiltrazioni criminali, le segnali all’Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banca d’Italia. Ma lo fanno in pochi, pochissimi.
Nel 2012 sono state inviate complessivamente 2370 SOS da professionisti e altre imprese non finanziarie; di queste solo quattro arrivano da avvocati (che hanno mandato 6 SOS nel 2008; 3 SOS nel 2009; 12 SOS nel 2010; 12 SOS nel 2011) e un solo SOS è arrivato dalle agenzie di affari in mediazione immobiliare (in passato 13 SOS nel 2008; 3 SOS nel 2009; 3 SOS nel 2010; 7 SOS nel 2011); 1876 segnalazioni sono invece partite da notai e Consiglio Nazionale del Notariato, un numero che è circa il decuplo rispetto al 2011, quando le segnalazioni erano state solo 195.
Numeri talmente esigui da far sorgere una domanda: è il sistema delle segnalazioni a fare acqua o chi partecipa a aste e transazioni è perfettamente specchiato?
Risponde con un sospiro carico di amara ironia il responsabile della unità di informazione finanziaria Luca Criscuolo. “Quello delle segnalazioni è uno degli ingranaggi che funzionano peggio, non c’è tanto da girarci intorno. Ci sono soggetti a cui è stata estesa la normativa antiriciclaggio che sono scarsamente collaborativi. Chiunque operi nel settore aste, ma non solo in quello, deve segnalare le transizioni che paiono incoerenti con il quadro economico di chi le compie, indipendentemente dal volume della spesa. Le case d’asta, che per esempio sono tenute alla segnalazione per le transazioni che superano i 15 mila euro, ma sostanzialmente non ne fanno, tanto che non risultano nemmeno tra le voci del rapporto annuale”.
Ma non sono solo le case d’asta a voltarsi dall’altra parte. “Anche gli uffici della Pubblica amministrazione dovrebbero segnalare ma non lo fanno quasi; lo stesso vale per orafi, antiquari, professionisti. La ragione è forse culturale, e riguarda i soggetti più nuovi a queste norme. Le banche, infatti, che da tempo sono sottoposte a questo regime, segnalano con più disinvoltura. Poi esiste anche una certa ritrosia dettata dalla paura di ritorsioni: anche se la segnalazione è anonima, nel caso di professionisti e commericanti, non è difficile risalire a chi potrebbe averla fatta. Insomma, per farla breve, diciamo che quest’obbligo non ha fatto breccia. A discolpa dei nostri professionisti, va detto però, che anche all’estero la situazione non è dissimile dalla nostra”.
La terza falla riguarda invece chi riesce ad accedere alle aste. “Le aste sono aperte a tutti, ma per le persone normali è quasi impossibile parteciparvi- spiega Ranieri Razzante, presidente di Aira (l’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia-. C’è una specie di sbarramento all’ingresso perché chi partecipa a un’asta deve disporre del denaro liquido necessario a pagare subito il 10% del valore dell’immobile. E chi, oggi, dispone di tanto liquido?”.
Ma se si hanno i contanti, allora nessun problema: “Sì, bisogna avere la certificazione antimafia e i conti in ordine – continua Razzante- ma falsificare un bilancio non è poi così difficile, e nessuno chiede a chi siede a un incanto ‘Chi sei?’, ‘Cosa fai?’, ma soprattutto ‘Cosa hai fatto?’. Allo stesso modo non esistono controlli ex post: cioè nessuno va a chiedere a chi si è aggiudicato un bene cosa ne farà”.
Non solo: “Ad oggi – continua Razzante- l’unico criterio considerato dai battitori è quello dell’offerta più alta. E non va bene: non basta. Occorrerebbe scegliere invece tra chi offre più garanzie di trasparenza o sulla meritevolezza sociale dell’interesse. Allo stesso modo andrebbe regolato il sistema dei ribassi, che viene usato per pilotare i prezzi. Basterebbe mettere un limite di ribasso e se il valore scende troppo, il bene viene acquisito dallo Stato e fine dei giochi”.
Insomma un settore tutto da ricostruire, anzi tutto da allestire, partendo da un nuovo anno zero.
“Un buon inizio sarebbe far gestire le aste solo da professionisti superqualificati: avvocati, commercialisti, notai devono fare anni di esperienze, corsi di formazione. Più controlli mettiamo, meno sono eludibili. Basta studiare”.