Pinella Leocata, La Sicilia, 15 VIII 2019.
Intervista a Santino Scirè, presidente Fondazione A. Grandi*
Catania secondo me
Per Santino Scirè Catania “è una città che nell’ultimo decennio ha perso la sua anima, ha perso il senso della comunità, dello stare insieme, del non litigare. E mi riferisco alla politica, alle categorie produttive e ai corpi intermedi”.
Perché è successo?
“Soprattutlo per la crisi economica. C’è stata una rottura evidente rispetto alla città che aveva una grande vivacità, alla Catania dove dalla fine degli anni 90 al 2000 è stata sperimentata l’Etna Valley e dove sono nati incubatori d’impresa che hanno generato attività imprenditoriali importanti. Una rottura che non ha consentito a Catania di rialzarsi. C’è sfiducia e tanto disagio legato alle questioni economiche, all’assenza di lavoro. Troppi giovani e troppe donne sono disocupati. In questo territorio non c’è più una cultura d’impresa e manca la possibilità di sperimentarsi con incubatori d’impresa”.
Che fare per rianimare Catania?
“Non si può ripartire senza un investimento importante sul welfare locale, soprattutto nelle periferie dove non esiste più. Solo con un sistema di welfare forte possono germogliare le eccellenze. Ci saranno dei giovani bravi, che hanno talento, ma come facciamo a scoprirlo, a tirarlo fuori? Chi se ne interessa? E questa è responsabilita di tutti, non solo della politica”.
Che cosa bisognerebbe fare?
“La cosa più importante è smettere di litigare. Non si può litigare sempre su chi ha generato il dissesto, su chi abbia le maggiori responsabilità. Alla gente non interessa. Nel 2000 in questa città c’è stata una grande intuizione: la costruzione di un patto per il lavoro che ha generato stabilizzazioni, ha risolto la precarietà che riguardava gli ex lavoratori della Costanzo, dell’Agrofil, dell’Itin e di tutti i gruppi in crisi, lavoratori poi ricollocati in un circuito lavorativo. Ma è anche stato un patto che diffondeva la cultura di impresa e che ha avuto le periferie come epicentro e luogo di riferimento. Oggi ci sono molte opportunità che riguardano la finanza agevolata e la costruzione di micro imprese, come Resto al Sud, ma sono tutte misure che richiedono un raccordo tra govermi nazionale, regionale e locale e questo va costruito con un nuovo patto per il lavoro che veda insieme tutte le forze del territorio: politica, sindacato, imprese, industriali, corpi intermedi, artigiani, associazioni di promozione sociale. Ognuno deve fare la propria parte. lo immagino incubatori per le start up che abbiano una forte innovazione sociale. Catania si rianimi anche riscoprendo un nuovo modello di città che aiuta e accoglie”.
Catania, finora città accogliente, anche con i migranti, ora vota a destra e sembra apprezzare Salvini. Che succede?
“E’ una questione nazionale. E il modello di welfare è crollato anche per quanto riuarda gli immigrati. In questi anni ci sono stati begli esempi di accoglienza fatta in modo silenzioso. Penso alle parrocchie e alla Caritas, a quelle opere che hanno sperimentato un modello di accoglienza e di accompagnamento e anche di inclusione dei migranti nel nostro territorio. Troppo spesso abbiamo lasciato sola la Caritas, ma quando c’è un modello che funziona abbiamo il dovere di collaborare tutti perché rende un servizio alla città, non al povero. Catania si è sempre contraddistinta per la sua capacità di far nascere un progetto di comunità dalle differenze di culture. Resta una città accogliente che fa da esempio nel nostro Paese”.
Che cosa si può fare per una migliore integrazione del migranti?
“Il riIancio di alcune esperienze belle, come la Casa dei popoli che non offriva solo servizi, docce, coperte, pratiche di accompagnamento, ma era anche un luogo d’incontro che oggi in questa città manca e che c’è necessità di ricostruire. Le istituzioni devono farsi carico della responsabilità di gestire un fenomeno, non un problema. Bisogna costruire una rete che metta al centro il migrante e organizzare una macchina che metta insieme il privato sociale, il terzo settore e le istituzioni in modo che collaborino per rendere la città più serena. Ognuno deve fare la propria parte: è troppo facile dire che le risorse non ci sono”.
Che cosa la preoccupa di più di questa Catania?
“Oltre all’eccessiva litigiosita, la poca serenità delle istituzioni per costruire un governo locale che abbia l’idea di un modello di città condiviso. Non c’è città che ha come prospettiva l’idea di futuro e di sviluppo che non abbia un governo condiviso. E mi riferisco al binomio partecipazione-governo. L’amministrazione deve coinvolgere di più la società civile. Non s’innesca un processo di sviluppo se non c’è il coinvolgimento dei cittadini nel governo partecipato del territorio. E la cosa che mi preoccupa di più è il lavoro. In questi anni troppo spesso sono stati lasciati soli gli imprenditori che hanno scelto di non delocalizzare e i giovani che hanno fatto investimenti. Vanno aiutati”.
Che cosa fare per i giovani per i quali in questa terra sembra che non ci siano prospettive?
“Questa è una terra di talenti e di eccellenze. Non sapere tenere i propri talenti a casa propria è un delitto. Su di loro va fatto un investimento maggiore. Chiedo alta politica e alle istituzioni di lanciare un forum che metta al centro giovani, impresa e lavoro, un forum dove si mettano in vetrina le belle esperienze di questa città, le start up innovative, le esperienze imprenditoriali positive. Che servano da buone prassi e da testimonianza di quello che si riesce a fare. Non si può parlare per un mese e mezzo della nuova linea Brt, mentre ci sono dei giovani che chiedono aiuto alle istituzioni per portare avanti le loro attività imprenditoriali, giovani che chiedono di essere messi in contatto con imprenditori nazionali e che si costruiscano relazioni per potersi confrontare e aprlrsi al mondo. In una città in cui c’è un aeroporto che sta esplodendo e un porto dalle potenzialità enormi non c’è una strategia di sviluppo comune, ma parliamo per due mesi di una questione che riguarda una sola via. Dedichiamo questo tempo a capire come possano nascere imprese a Librino. E’ lì che va creato l’incubatore di impresa. Sarebbe un segnale importante mettere a disposizione in quei territori delle borse finalinate allo studio e all’accrescimento professionale”.
Cosa fare per le periferie?
“Mi piace l’idea lanciata qualche giorno fa di trasformare le munitipalità in municipi. I tempi sono maturi per una maggiore autonomia rispetto ad un decentramento che non si è mai realizzato. E ci vuole un maggiore protagonismo da parte dei corpi intermedi e del terzo settore. Non è semplice creare reti e strutture nelle periferie, ma la sfida è qui. Altrimenti è un fallimento per tutti, e non solo della politica. Ci siamo stancati di essere spettatori. Catania è una delle città dove c’è maggiore richiesta di reddito di cittadinanza, ma questo non crea sviluppo. E’ un ammortizzatore sociale. Il percorso per l’inserimento lavorativo non l’ho visto. E’ devastante l’idea che a Catania la soluzione sia il reddito di cittadinanza, mentre al Nord si continua a generare sviluppo con infrastrutture, opere e investimenti. Questa è la mia più grande preoccupazione.
* La Fondazione ha l’obiettivo di mettere insieme gli aclisti impegnati in politica e di formare amministratori che portino i valori delle ACLI nelle istituzioni.