Corriere della sera, 5 XII 2014.
Censis: Italia, rischio periferie
60 su 100 hanno paura della povertà
Il 48esimo rapporto: nel Paese non c’è più coesione sociale, il ceto medio è corroso, non siamo più indenni dal pericolo dei disordini come nelle periferie parigine.
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Il picco negativo della crisi è ormai alle spalle, ne è convinto il 47 per cento degli italiani, il 12 per cento in più rispetto allo scorso anno. Ma per oltre il 60 per cento può capitare a chiunque di finire in povertà. È quanto emerge dal 48esimo rapporto del Censis sulla situazione del Paese. A prevalere ora, spiega il Centro Studi Investimenti Sociali, è l’incertezza.
Si fanno sempre meno figli
Nel nostro Paese c’è una vulnerabilità diffusa, tanto che il 60 per cento degli italiani ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povertà, quota che sale al 67 per cento tra gli operai e al 64 per cento tra i 45-64enni. Una delle conferme viene anche dal tasso di natalità: in Italia si fanno sempre meno figli, per 8 su 10 è colpa proprio della crisi. Più diseguaglianze, meno integrazione, ceto medio corroso. Sono gli effetti della crisi secondo il Censis. L’Italia «ha fatto della coesione sociale un valore e si è spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine», ma le problematicità ormai incancrenite di alcune zone urbane «non possono essere ridotte ad una semplice eccezione».
Oltre 15 milioni senza lavoro, l’incubo dei giovani
L’Italia è un paese dal capitale umano «inutilizzato» e «dissipato», afferma il Censis nel suo rapporto. La fotografia dell’Italia conta quasi 8 milioni di individui “non utilizzati”, 3 milioni di disoccupati, 1,8 milioni di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. I giovani hanno una «fragilità patrimoniale e di reddito» che trasforma le spese impreviste, come affitto, condominio, bollette, in «una sorta di incubo»: nel quotidiano sono costretti a «stringere la cinghia» e a «una dipendenza strutturale dalle famiglie di provenienza». «Dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio – si sottolinea nel Rapporto annuale – oltre un milione non riesce ad arrivare alla fine del mese; si stimano infatti in 2,4 milioni i giovani che ricevono regolarmente o di tanto in tanto un aiuto economico dai propri genitori. L’aiuto regolare genera un flusso di risorse pari a oltre 5 miliardi di euro annui».
La crisi al Sud
«È grave lo slittamento verso il basso delle grandi città del Sud. Il tasso di occupazione dei 25-34enni oscilla tra il 34,2 per cento di Napoli e il 79,3 di Bologna, la quota di persone con titolo di studio universitario passa dall’11,1 per cento di Catania al 20,9 di Milano, gli evasori del canone Rai sono il 58,9 a Napoli ma diminuiscono al 26,8 a Roma, a Bari solo 2,8 bambini di 0-2 anni ogni 100 sono presi in carico dai servizi comunali per l’infanzia contro i 36,7 di Bologna, a Palermo ci sono appena 3,4 metri quadrati di verde urbano per abitante rispetto ai 22,5 bolognesi, la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti si ferma al 10,6 per cento nel capoluogo siciliano mentre arriva al 38,2 per cento nel capoluogo lombardo».
La scuola digitale non decolla
Il capitolo dell’istruzione è un’altra pagina nera del mancato sviluppo del Paese. Se 100 studenti italiani iscritti all’ultimo anno di scuola secondaria di I grado o al terzo della secondaria di II grado dispongono rispettivamente di 8,3 e 8,2 computer, 100 dei loro coetanei europei ne hanno mediamente 21,1 e 23,2. Il 25,3 per cento degli studenti di terza media e il 17,9 dei colleghi del terzo anno delle superiori frequentano scuole prive di connessione a banda larga, a fronte di valori medi europei di gran lunga inferiori (rispettivamente, 5 e 3,7 ). La frequenza di scuole dotate di ambienti d’apprendimento virtuale è un’esperienza che coinvolge il 19 per cento degli studenti in uscita dalla scuola media di I grado e il 33 degli iscritti al terzo anno della secondaria di II grado, quote ancora una volta sensibilmente inferiori alle medie europee (58 e 61 su 100). I dirigenti scolastici lamentano: l’obsolescenza troppo rapida della dotazione tecnologica, i costi che devono essere sostenuti per il collegamento internet e la carente disponibilità di spazi e strumenti adeguati.