Alberto Vannucci*, blog su Il Fatto Quotidiano, 30 III 2023
Appalti, perché il codice Salvini è criminogeno
Difficile che un testo normativo riesca a suscitare le medesime reazioni avverse in istituzioni e associazioni tanto distanti ed eterogenee (e spesso in disaccordo tra loro) come sindacati, Confindustria, artigiani, Autorità anticorruzione. E’ il primo prodigio realizzato dal nuovo codice degli appalti, già ribattezzato in proprio onore Codice Salvini dal suo fiero promotore – attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ancora non sappiamo se il nuovo testo di legge riuscirà a velocizzare e sburocratizzare il mercato pubblico, una tavola imbandita di oltre 200 miliardi l’anno, cui si somma una quota non irrilevante delle risorse ulteriori del Pnrr. Di certo rischia concretamente di trasformarlo in un “mercato delle vacche”, dove il potere apparentemente incontrastato dei funzionari responsabili dei procedimenti – con le nuove regole potrà trattarsi anche di personale a termine, tanto per accrescerne l’irresponsabilità – potrà farsi contropartita in negoziazioni sottobanco aventi ad oggetto l’aggiudicazione delle gare. Anzi: delle non-gare.
Nessun bando, nessuna competizione, nessuno trasparenza in oltre il 98% dei futuri contratti pubblici per forniture, servizi, lavori pubblici. Si tratta, come già evidenziato da molti osservatori, della maggiore criticità della riforma, che istituzionalizza una sorta di “emergenza permanente” – quella vissuta in occasione della pandemia – facendone modello ordinario di gestione del potere di spesa per acquisti della Pubblica amministrazione.
Tra i 150 e i 500mila euro di valore, a seconda del tipo di gare, sarà la soglia al di sotto della quale il funzionario potrà affidare la gare sulla base di una sua personale (e non rendicontatile) valutazione. Basti pensare che fino a poco più di due anni fa quella soglia era di 40mila euro, e l’Autorità anticorruzione aveva individuato quale “campanello d’allarme” di un alto rischio di manipolazione della gare proprio l’utilizzo abnorme dell’affidamento diretto, anche mediante il “frazionamento” artificioso degli appalti finalizzato a restare sotto-soglia: molti piccoli e identici contratti pubblici da assegnare nell’ombra a chi si vuole, invece di un solo grande contratto che avrebbe imposto un bando pubblico, trasparenza nella scelta, concorrenza tra gli imprenditori, verificabilità del rispetto di una procedura aperta. Quei campanelli d’allarme-corruzione saranno silenziati per sempre, per legge.
Ma il nuovo codice introduce procedure negoziate senza bando e senza concorrenza – saranno consultate discrezionalmente 5 o 10 imprese – per tutti gli appalti fino a 5,3 milioni di euro; autorizza senza più vincoli il subappalto a cascata – da sempre l’eldorado per la penetrazione negli appalti di imprese criminali; rende possibile un ricorso estensivo all’appalto integrato, in cui l’impresa progetta ed esegue l’opera, mentre l’ente pubblico in concreto ostaggio dei privati si limita a staccare l’assegno; reintroduce la revisione prezzi,da sempre uno dei fattori che hanno più contribuito ai tempi interminabili di realizzazione delle opere pubbliche.
Si riconosce un non dichiarabile impianto ideologico dietro codice Salvini: una pseudo-semplificazione delle procedure di gara che nonostante la sbandierata matrice neoliberista di fatto sancisce la brutale negazione dei più elementari principi di concorrenza, trasparenza, efficienza. Dietro l’apparente potenziamento dei poteri decisionali dei funzionari nella selezione dei contraenti privati si nasconde infatti una delega in bianco agli interlocutori imprenditoriali e professionali da parte di un’amministrazione debole ed esposta ai possibili “condizionamenti impropri” – anche d’impronta corruttiva o mafiosa – nella selezione del contraente. Lo stesso modello che ha ispirato la famigerata legge-obiettivo del 2001, o i superpoteri attribuiti alle strutture commissariali della “cricca della protezione civile”, e che ha avuto quale lascito arresti, mazzette milionarie, incrementi fuori controllo di opere inutili, mai completate, o dai tempi eterni di realizzazione.
Quando si nega ogni forma di concorrenza aperta e trasparente, in concreto si consente che valgano le “relazioni” personali, i contatti, le “entrature”, le aspettative di futura “gratitudine” (personale, politica, familiare, associativa…), quale criterio di selezione degli imprenditori che dovranno soddisfare i bisogni della collettività.
Come ha rilevato un preoccupato presidente dell’Autorità anticorruzione, i contratti pubblici potranno essere liberamente affidati al cugino del funzionario, o a chi ha votato (e fatto votare) il candidato “giusto” nelle ultime elezioni locali. Auspicabilmente non sarà questa la pratica corrente: la Pubblica amministrazione italiana è per fortuna ricca di personale motivato, qualificato, benintenzionato, a prova di tentazioni. Ma non c’è bisogno di una Cassandra per prevedere che in molti altri contesti prevarranno logiche differenti. E difficilmente “il cugino” del funzionario, o chiunque altro sia stato in grado di ottenere per vie riparate la sua “benevolente” attenzione, saràil miglior candidato a fornire servizi pubblici di qualità, o a realizzare l’opera pubblica nei tempi e con le caratteristiche richieste.
I tempi guadagnati grazie all’affidamento diretto e alla cancellazione delle gare d’appalto aperte e concorrenziali, in altre parole, rischiano di avere un prezzo altissimo in termini di successiva dilatazione dei tempi di realizzazione, o di scadente qualità dell’opera.
Si sarebbe potuto investire in competenze, qualificazione, capacità professionali dei funzionari pubblici, specie quelli aventi funzioni tecniche, rafforzando credibilità e capacità di controllo dei corpi dello Stato. Si sarebbe potuto lasciar sedimentare la conoscenza pratica del “vecchio” codice degli appalti, che già prevedeva modalità “facilitate” e accelerare di aggiudicazione, senza rinunciare a concorrenza e controllo. Si è preferito rinnovare la pratica di un’inflazionata produzione normativa sugli appalti, contribuendo così allo smantellamento – già in corso da decenni – della funzione pubblica di individuazione dei bisogni collettivi e di controllo della loro efficace soddisfazione da parte dei soggetti imprenditoriali cui sono state affidate – per contratto – le corrispondenti responsabilità.
In sintesi: il codice Salvini è una legge criminogena, che incoraggia pratiche di corruzione, sprechi e abusi di potere, rischiando concretamente di alimentare circuiti criminali in appalti “a partecipazione mafiosa”. Ricordiamoci l’identità di chi ne è responsabile quando l’evidenza di distorsioni, tangenti, clientele, cattiva gestione di risorse pubbliche verrà alla luce; ha lasciato le sue impronte digitali sulla scena dei crimini futuri.
§
* Docente di Scienza politica