Paolo Giordano, Il Giornale, 14 XI 2018
Paolo Conte, il poeta che ama palme e lavavetri “Sono in pausa creativa”
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Con quella voce un po’ così, Paolo Conte può dire qualsiasi cosa. Dice, si contraddice, poeteggia, si immalinconisce, srotola quel suo accento astigianissimo (insopportabile per un alessandrino come me) fino ad arrivare a Louis Armstrong e Art Tatum prima di confessare con il candore di un bambino «che io il Sessantotto mica l’ho vissuto, era roba da città, io stavo in provincia nello studio di papà».
Intanto ha pubblicato Live in Caracalla con l’inedito Lavavetri ispirato da «un simpatico lavavetri a un semaforo di Torino che era velocissimo e mi ha colpito». Paolo Conte, che peraltro è il Conte con la più longeva popolarità in Italia, ha tenuto ieri sera il suo secondo concerto agli Arcimboldi di Milano prima di passare per Parma, Bologna, Genova eccetera celebrando il mezzo secolo di Azzurro, quella di «cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua». «L’ho scritta pensando apposta a Celentano che aveva un pubblico perché, se l’avessi cantata io, sarebbe rimasta lì senza fare un passo. Però che fosse una canzone vincente l’ho capito subito».
Da allora, e son cinquant’anni, Celentano e Conte si sono incontrati pochissimo, diciamo «tre o quattro volte al massimo, anche perché lui sta così lontano da me». Dopotutto lui, Paolo Conte, vive in campagna, isolato da tutti e probabilmente da tutto, non ha molta pratica su internet anche se ammette che «se fossi giovane, io userei lo streaming» però, insomma, è un altro mondo rispetto a lui. Lui fa parte di quel mondo incontaminato che può ancora permettersi di parlare senza pensare al tweet oppure allo screenshot o alle stories su Instagram. Semplicemente, dice quel che pensa prima di fare un concerto che manda a casa tutti soddisfatti. «Avrei voluto fare il medico, ma vengo da una famiglia di notai e avvocati quindi ho fatto l’avvocato. Certo, nel mio Piemonte, quando pensi a un mestiere, pensi a un mestiere serio, non certo il musicista». Poi lo è diventato, si è trasformato in uno dei pochi artisti italiani inimitabili ma conosciuti in tutto il mondo e ora «mi chiedo se mi merito tutto questo e se non sia esagerato quando mi chiamano maestro».
Pensate che lo hanno pure proposto per il premio Nobel (copywright Antonio D’Orrico): «L’ho saputo con piacere e divertimento e dopotutto sono convinto che il Nobel non debba essere limitato a letterati di professione, come confermano i casi di Dario Fo e Bob Dylan. Però dal punto di vista letterario i cantautori italiani sono quelli che hanno fornito materiali più interessanti, insomma abbiamo lavorato meglio e di più». Però, attenzione, Paolo Conte non è un cantautore, anzi, sono loro che lo hanno «accettato» perché «anche io ero alternativo al pop anche se i cantautori di allora erano un po’ più colti di quelli delle ultime generazioni». Un giudizio alla piemontese, ma inequivocabile. D’altronde Paolo Conte è forse l’ultima foto di un tempo che fu, quello nel quale i musicisti musicavano e i cantanti cantavano e c’era poca complicità tecnologica. «Tra melodia, armonia e ritmo, che sono le basi della musica, io sceglierei l’armonia. Una volta era la pasta di cui era fatta la musica». Però, attenzione, Paolo Conte con quella voce un po’ così, con l’accento arrotato da astigiano verace, non ha nulla di nostalgico: «La nostalgia è un sentimento che si prova per cose che si sono vissute, io in realtà amo musica e film che sono stati pubblicati prima ancora che nascessi, ad esempio il cinema anni 20 di cui vado pazzo».
Adesso comunque Paolo Conte è «in pausa»: «Passo il tempo così, magari dipingo, e comunque aspetto l’ispirazione e ormai ho capito che devo soltanto essere pronto ad accoglierla. Per scrivere le canzoni di un album, ti deve venire una sorta di felicità di scrittura che è molto rara». In fondo, se lo dice uno dei più autorevoli compositori bisogna crederci: «In tutti questi anni di carriera, il mio picco musicale è Gli impermeabili, mentre il testo preferito è Genova per noi. Ci credete che pochissimi mi hanno cercato dopo la tragedia di Genova? Dopotutto io a Genova sono pur sempre un forestiero, però questa tragedia mi ha scatenato una fortissima compassione». In quella direzione, ossia la Riviera Ligure, Paolo Conte ha spesso guardato. Ad esempio, Una giornata al mare è stata ispirata «dalla terza palma a sinistra del banchetto dei gelati a Sestri Levante, ma non so se quel banchetto c’è ancora perché non ci vado da tanto tempo». Alla fine, lui ha scritto canzoni con la fantasia, mica con la cartina geografica.