Sonia Cordella, Antimafia Duemila, 1 III 2014.
Contro la povertà una nuova coscienza rivoluzionaria.
Miseria e povertà. Tra giustizia globale e azione sociale.
Palermo. In un mondo tanto assurdo come il nostro, appesantita a volte dalle mie stesse limitazioni, mi trovo in alcuni momenti improvvisamente colta dal desiderio di voler uscire fuori da me stessa e di osservare la vita dall’alto. Come spettatrice. Chiudo gli occhi. Un respiro profondo. E inizio a percepire quella sensazione che mi pervade ogni qual volta mi trovo su un aereo: osservare le cose da un punto di vista più ampio. Mentre quel rudimentale, ma tuttavia utile, velivolo si solleva verso l’alto, tutto comincia ad apparire più piccolo, sempre più piccolo. I paesi e le città improvvisamente sembrano essere quei formicai che osservo spesso nei campi, incuriosita dalla logica perfetta di quella laboriosa e costruttiva civiltà. Gli uomini da quell’altezza divengono invisibili, praticamente inesistenti, mentre si intravedono, sempre più in lontananza, costruzioni di cemento e mattoni.
Sotto i miei occhi, però, appare sempre più maestosa la bellezza della Terra che pare essere dipinta da un grande artista con le sue illimitate forme dalle infinite sfumature di variegati colori, forme a tratti dolci e a tratti più aspre, abbracciate dall’elemento principale dalla quale è composta: l’acqua. L’acqua, il più unificante degli elementi, che unisce la terra al mare e all’aria in un incantevole cerchio della vita. La vedo scorrere sotto forma di impetuosi oceani, tranquilli laghi, allegri ruscelli, travolgenti fiumi e torrenti, o sottoforma di ghiacciai permanenti che spennellano di bianco le alte vette rocciose, o ancora in forma di nubi chiare e leggere che sembrano danzare spinte dal soffio dei venti nelle forme più disparate e divertenti o scure, minacciose di imminente tempesta. Con il pensiero so di non avere limiti e allora voglio spingermi più in alto, ancora più in alto, sempre più in alto. Ora quell’incantevole pianeta azzurro è sotto i miei occhi. Osservo la luna e uno spazio sconfinato diamantato da una quantità infinita di Stelle. Penso. Rifletto. Giungono alla mia mente immagini, sensazioni ed emozioni che si traducono in parole. Cosmo. Universo. Galassia. Sistema Solare. Pianeti. Equilibrio. Armonia. Pace. Gioia. Evoluzione.
Poi osservo il mio incantevole pianeta, bellissimo, meraviglioso. Come si può creare qualcosa di tanto bello? Mi domando. Da quassù tutte le guerre, le violenze, le assurdità del nostro mondo scompaiono, così come scompare l’uomo e la sua follia. Da quassù vedo solo che quella è la mia casa, la nostra casa. Una casa tra le più belle dell’universo, forse la più bella, chissà! Da quassù tutti i nostri problemi appaiono assurdi, privi di alcun senso. E quando il mio pensiero si riproietta verso l’interno, quella incredibile sensazione di Pace immediatamente svanisce in un contrasto di percezioni diametralmente opposte. Nuove parole si sovrappongono alle precedenti. Terra. Società. Desolazione. Tristezza. Sofferenza. Violenza. Paura. Involuzione.
Rientro a malincuore. Ma con l’impeto di voler dare il massimo di me stessa per tentare di cambiare qualcosa. In meglio. Il pensiero di dover lasciare in eredità ai nostri figli una società di questo tipo letteralmente mi terrorizza. Non lo accetto. Rifiuto categoricamente questo pensiero. Penso che ognuno di noi è colpevole e pertanto responsabile in qualche modo della situazione planetaria. Con la scusa di: “Ma io cosa posso fare? Mica posso cambiare il mondo!” Ci nascondiamo dietro le nostre misere comodità quotidiane incolpando continuamente gli altri e divenendo così i tanti “Pilato” del terzo millennio. È colpa di chi ci governa! È colpa di chi ha il potere! È colpa dei ricchi! È colpa dei poveri! Insomma è sempre colpa di qualcun’altro all’infuori di noi. Sono invece certa che se ognuno di noi aspirasse sempre a qualcosa di più grande: “Voglio dare ogni giorno il massimo di me stesso perchè voglio che il mondo cambi”, le cose veramente cambierebbero, ma significherebbe essere disposti a mettere tutto il tempo libero a nostra disposizione per tale causa. A volte mi chiedo: “Ma teniamo veramente al futuro dei nostri figli?”.
So per certo che se il popolo del “BENE” (definiamolo così. Perchè il popolo del bene esiste e possiede meravigliosi talenti), il popolo dei valori etici e morali, il popolo della giustizia per gli altri, per le fascie più deboli della società, del necessario a tutti e il superfluo a nessuno, superasse i suoi bigotti preconcetti e i suoi squalificanti pregiudizi e si unisse in un profondo sincretismo di valori, questo popolo vincerebbe. Vincerebbe perchè il vero potere appartiene proprio al popolo. Per tale motivo il potere costituito tenta di assopirlo e mantenerlo stordito sotto l’effetto dei fumi di falsi valori, denaro, successo, prevaricazione, sesso, perversione, droga, apatia, egoismo, creando continuamente divisione tra gli uomini. Perchè il cittadino non deve pensare, il cittadino deve servire il sistema e assumere che questo modo di vivere sia “normale”. Il Potere sa che l’Unione degli uomini è l’unica arma in grado di far crollare il sistema e liberare il popolo dalla schiavitù. Perchè è proprio il popolo a dargli forza e vita.
Con questa “visione dall’alto” torno sulla Terra con una chiarezza che in parte mi sconforta. Rifletto su alcune analogie. Il “male” (inteso come quella contrapposizione di valori di ciò che abbiamo definito Bene) per i propri interessi è disposto a sacrificare tutto. La madre, i figli, le cose più preziose della propria vita. Mantiene l’unione con coloro che mirano agli stessi scopi, il potere, la ricchezza, per questo i ricchi divengono sempre più ricchi e i potenti sempre più potenti. Perchè il potere è unito e forte per la propria causa.
Nel “bene” ciò purtroppo non accade. Ci sono nel mondo una grande quantità di buone persone, intelligenti, creative, generose, ci sono movimenti, associazioni, che lavorano per cause giuste, che si battono ogni giorno per i principi di solidarietà e giustizia sociale ma il loro raggio d’azione rimane sempre ristretto, limitato perchè c’è un problema che il “BENE” non riesce a superare: LA DIVISIONE.
Nel mondo ci sono due fazioni di persone: una che mira al proprio tornaconto personale e senza scrupoli è disposta a tutto pur di mantenere il suo stato di potere “Più ho e più voglio. E voglio anche tutto quello che hai tu”. L’altra che invece vorrebbe una società diversa e si batte per cercare di salvaguardare l’ambiente, la specie animale, per difendere i giusti e sostenere le cause giuste ma non si unisce con i suoi simili e quindi non ottiene grandi risultati. La matrice è sempre in qualche forma l’egoismo che crea personalismo, egocentrismo, protagonismo.
Poi c’è una grande massa di gente che non sceglie da che parte stare. Vive. Diciamo vegeta. Ma non prendendo una posizione nella vita diviene automaticamente complice, oltre che schiava, del sistema criminale che lo tiene prigioniero.
Le persone che hanno capito le regole del gioco non sono tante purtroppo ma pur essendo poche solo per il fatto di aver realizzato come stanno le cose sono ritenute potenzialmente pericolose perchè autonome nel pensiero e quindi incontrollabili nelle azioni. In altre parole rivoluzionarie, cioè potenzialmente in grado di far sollevare il popolo contro il sistema.
“Miseria e Povertà. Tra giustizia globale e azione sociale” è il titolo dell’incontro tenuto lo scorso 1° febbraio nella città di Palermo. Un seminario organizzato da Solidarietà e Cooperazione CIPSI, un coordinamento nazionale di trenta associazioni, nel quale è inserita anche la nostra Funima International che si occupa di solidarietà internazionale, nell’ambito del progetto “Challenging the Crisis – Sfidare la crisi” che si pone l’obiettivo di creare un network europeo di giovani che autogestiscono e promuovono una campagna di informazione e sensibilizzazione sui temi della giustizia globale e dello sviluppo.
L’incontro, non a caso, ha luogo nel cuore del capoluogo siciliano, esattamente nei pressi del mercato popolare di Ballarò presso la Biblioteca “Le Balate”. Una zona ad alta densità mafiosa, caratterizzata da un profondo degrado sociale in uno stato di grande povertà. E ci troviamo in Italia, settimo paese dichiarato più ricco del mondo.
Il simposio, moderato con grande passione da Ilaria Signoriello responsabile per il Cipsi e da Marco Baravalle di FCRE, ha inizio.
Lo sguardo vivo e attento dei ragazzi, provenienti da diverse parti d’Italia, che hanno aderito al seminario segue costantemente i relatori che si succedono fin dalla mattinata in interessanti ed esaustive esposizioni.
L’economista Riccardo Petrella, professore emerito dell’università Cattolica di Lovanio Belgio, espone in un chiarissimo intervento, con dati e statistiche ufficiali alla mano, la situazione mondiale ponendo in risalto la netta distinzione della popolazione divisa tra dominanti e dominati. “I dominanti ci dicono che siamo disuguali” spiega il professore, “le classi dirigenti non credono più che i cittadini siano tutti uguali ma differenza è uguale a disuguaglianza e nel diritto alla vita non ci può essere disuguaglianza”. Petrella è tra i promotori della Campagna Dip (Dichiariamo Illegale la povertà) che mira ad ottenere nel 2018 (70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite) una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu che dichiari illegali le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali e collettive che generano e alimentano i processi di impoverimento nei vari paesi e regioni del mondo. Esattamente come quando i popoli dichiararono illegale la schiavitù.
Il dottor Petrella si sofferma a spiegare che una civiltà la quale ha perduto la gratuità della vita è una civiltà involuta e per tale motivo deve essere indispensabilmente eliminato il diritto di proprietà privata del suolo, in quanto la terra è un bene comune. “Ci deve essere uguaglianza nella proprietà dei beni comuni, tutti devono avere gratuitamente una casa e l’acqua”, sostiene il professore, spronando i ragazzi a mettere in pratica azioni concrete perchè per ottenere tali diritti è necessario che i cittadini si informino, si uniscano partecipando alle campagne sociali che chiedono il rispetto dei diritti più elementari della vita di un uomo, in quanto non ci sarà giustizia, nè libertà se i cittadini non divengono parte attiva della società. “Hanno creato le fabbriche della povertà ma noi non siamo nati poveri, siamo però tutti impoveriti” prosegue Petrella ma “la conoscenza è gratuita” dice ai giovani esortandoli ad informarsi e a non cadere nella trappola delle politiche di governance che delegano la gestione del potere pubblico agli stati più ricchi del mondo che di fatto si riduce ad un pugno di criminali che governano la nostra società umana. “Le statistiche parlano chiaro”, asserisce il professore citando un recente rapporto della FAO il quale stabilisce che sarebbe sufficiente una cifra uguale a tre miliardi di dollari l’anno, stanziata per dieci anni, per poter risolvere definitivamente il problema della fame nel mondo. “Ma purtroppo non dispongono di questa cifra!” Esclama ironico l’economista, “mentre di recente hanno trovato 47 mila miliardi di dollari per salvare le banche … Questo sistema economico è un furto legalizzato” denuncia Petrella, “… oggi viviamo nelle città mercato dove i dominanti hanno potere sulla legalità e dove i dominati devono subire perchè non hanno alcuna voce in capitolo … pensate che nei testi di economia non è mai presente la parola diritto tranne quando si parla di diritto di proprietà privata … Allora dobbiamo iniziare a pensare diversamente, dobbiamo pensare non più alla nostra casa ma alla nostra città”conclude il professore “perchè se non cambiamo questo modo di vedere le cose non potremo cambiare mai niente”.
Alla chiara ed incisiva esposizione del dottor Petrella si succede quella del Sostituto Procuratore Francesco Del Bene in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo, uno dei quattro magistrati del pool che sta celebrando il delicatissimo processo sulla trattativa stato-mafia. Il giudice riallaciandosi al discorso del professore sulla crescita esponenziale dei poveri nel mondo spiega ai ragazzi che è proprio l’attuale sistema di potere a volere tale situazione. Il dottor Del Bene entra quindi nel vivo del problema che si inserisce pienamente all’interno della sua specifica attività da magistrato per poter spiegare l’esistenza del fenomeno mafioso fin dalla nascita della nostra prima Repubblica. In un quadro chiarissimo il giudice compie un excursus storico soffermandosi successivamente a mostrare la nuova conformazione delle associazioni mafiose nel nostro paese, Cosa Nostra Siciliana, ‘Ndrangheta Calabrese, Camorra napoletana e Sacra Corona Unita Pugliese che, a differenza di ciò che in molti purtroppo possano pensare, non si limitano a fare affari solamente nel proprio territorio ma al contrario sono oramai capillarmente infiltrate al nord come al sud della nostra povera Italia. “Le cifre degli affari delle cosche mafiose sono esorbitanti”, asserisce Del Bene, citando in particolare gli incassi dei proventi risalenti alla vendita di droga in Italia e soprattutto all’estero. “Hanno fatto credere alla gente di essere dalla loro parte” prosegue il magistrato parlando degli uomini di mafia, spiegando che l’assenza dello stato soprattutto nel sud del Paese ha permesso ai boss mafiosi di poter assumere il ruolo di “punti di riferimento” per la gente, a cui potersi rivolgere nei momenti di necessità. Ma in realtà, sottolinea il procuratore, gli uomini di mafia hanno sempre avuto la funzione di compiere il lavoro sporco del potere, delle istituzioni corrotte: “Oggi l’enorme potere economico delle cosche” prosegue “permette loro di dominare il potere politico o di scendere a patti con esso”.
Del Bene spiega poi che il fenomeno mafioso attechisce in situazioni di arretratezza culturale, di deficit di conoscenza, connessi a condizioni economiche difficili. Il sostituto procuratore accusa a questo proposito le gravi colpe della Chiesa Cattolica per non essersi battuta contro le ingiustizie perpetrate ai danni dei propri stessi fedeli mantenendoli nell’ignoranza, mortificando i loro diritti con insegnamenti devastanti come quello che “i comunisti mangiavano i bambini” mentre “mai la Chiesa si è intestata la bandiera: La mafia fa schifo”. Del Bene spiega che una istituzione religiosa come quella cattolica, capillarmente presente in tutti i paesi anche in quelli più piccoli della nostra nazione, avendo quindi il completo controllo del territorio italiano, avrebbe potuto, se lo avesse voluto, cambiare radicalmente la situazione togliendo alle mafie i propri uomini.
“Il sottosviluppo economico ha creato sacche di persone in necessità di bisogno” asserisce il magistrato “alle quali la mafia garantiva l’aiuto e non lo stato. La povertà ha quindi permesso di ingrassare l’organizzazione mafiosa” … e l’economia illegale ha iniziato a subentrare a quella legale intrufolandosi nelle varie attività. Del Bene spiega che il sistema mafioso si è quindi radicato in tutte le regioni, nelle amministrazioni dei consigli comunali, nelle attività imprenditoriali ecc. “Ora vi chiedo” domanda ai ragazzi “chi ha i soldi in questa crisi per andare avanti? Il sistema mafioso” risponde e prosegue: “Ed è qui che entra in gioco il suo ruolo con la politica stabilendo le sue direttive. L’organizzazione mafiosa ad un certo punto ha ribaltato il rapporto con la nuova classe politica che si andava formando dopo tangentopoli” continua ancora il magistrato, asserendo che proprio per i grandi capitali in suo possesso Cosa Nostra inizia a non essere più subordinata alla politica ma a parlare sullo stesso piano con gli uomini delle istituzioni e anzi ad essere spesso lei a dettare legge. Il dottore trasmette ai giovani l’importanza del processo in atto sulla Trattativa stato-mafia dove i magistrati ricercano proprio le prove di questi rapporti tra politica, mafia e sistema economico per i quali interessi sono state organizzate le stragi del 92/93 dopo le quali è nata la seconda Repubblica. “La seconda Repubblica nasce su delle basi così gravi” riferisce il procuratore “che voi giovani dovete continuare ad indagare e a voler sapere la verità per poter capire”. Del Bene illustra il quadro politico italiano nel periodo del dopo stragi, l’entrata in campo di Berlusconi che è oramai più che chiaro fosse molto vicino a uomini appartenenti a Cosa Nostra e Dell’Utri vicinissimo all’organizzazione criminale. “La trattativa è già stata accertata” chiarisce il magistrato ai ragazzi “e il termine trattativa è stato usato da due carabinieri in deposizione al processo e non da noi magistrati” rammenta il procuratore, descrivendo poi ai giovani come la mafia si sia inserita all’interno della società raccontando come esempio la storia di noti calciatori sponsorizzati dalle organizzazioni criminali. “Il tessuto economico del nostro paese” esplica ancora il giudice “è sporco perchè si alimenta del tessuto economico illecito. Mantenere lo stato di povertà della gente è fondamentale per dare forza alla criminalità: “Io mi occupo della zona dello Zen a Palermo” racconta Del Bene “e ho scoperto che i diritti fondamentali non esistono. Casa, acqua, luce. Per avere una casa allo Zen devi rivolgerti alla famiglia mafiosa di quel quartiere, le case sono occupate abusivamente dagli uomini di mafia che poi le consegnano per dieci mila euro alla gente. Poi arriva un capo condomino che per dieci euro al mese gli concede abusivamente il gas, l’acqua e la luce”. Ora in questo tempo di crisi è nuovamente ritornato lo slogan: é la mafia che da lavoro! Ma è possibile?” Domanda il magistrato ai ragazzi addentrandosi poi sul quadro internazionale del problema, che vede intrecci di interessi convergenti tra politica, economia e mafie che volutamente mantengono la povertà dei paesi. “Le mafie internazionali, come ad esempio i cartelli messicani, fanno affari transoceanici … il fenomeno mafioso della criminalità economica si è così internazionalizzato che è difficile da combattere. È una lotta impari che incide sulle scelte economiche di molte nazioni”. Il magistrato conclude riprendendo il discorso iniziale sulle gravi responsabilità della Chiesa ricordando Padre Puglisi, un grande sacerdote che stava togliendo il consenso sociale alla mafia e che per questo motivo fu ucciso, un esempio di come gli uomini di chiesa avrebbero dovuto porsi nei confronti di questo cancro che ha rovinato il nostro paese: “…vi assicuro” conclude il magistrato, “che se tutti i sacerdoti avessero fatto questo, tante cose sarebbero state evitate perchè una battaglia si vince con centinaia e centinaia di educatori, magistrati, preti, insegnanti, giornalisti che educano”. Con la verità.
Uomini integerrimi che amano cercare e dire la verità. Nuda e cruda così come si presenta. La interessantissima relazione del dottor Del Bene, uno degli uomini sotto il mirino del potere politico mafioso, ha chiarito perfettamente il ruolo della criminalità organizzata all’interno del nostro paese e nel mondo concludendo con l’appello di una urgente necessità di veri educatori. Si inserisce qui la esposizione della dottoressa Donatella Natoli, una donna, educatrice, che ha speso la sua vita fra la professione di medico e l’impegno sociale e politico divenendo una delle protagoniste della società civile palermitana. Fondatrice della biblioteca che ci ospita in questo seminario, vicepresidente dell’APS (Associazione Promozione Sociale) “Le Balate” offre ai giovani presenti la sua esperienza e le importanti attività svolte dall’associazione per arginare la povertà e la miseria partendo dalla cultura, dalla formazione dei bambini e dei ragazzi del quartiere dell’Albergheria, esempio delle “nuove periferie del mondo”.
“Ci sono diecimila ragazzi a Palermo che hanno bisogno di denaro ma sopratutto di una speranza” esordisce la dottoressa “e questo secondo noi è un buon momento” prosegue “perchè i loro padri non sono più tanto sicuri della bontà del loro cammino. Penso quindi che dobbiamo approfittare di questo momento per aiutare ed educare questi giovani perchè loro sono un punto di forza della mafia invece noi dobbiamo aiutarli a divenire un punto di forza positiva della società”. Natoli prosegue ricordando un’altra fascia della comunità civile su cui puntare che sono le donne: “Le nostre donne sono giovanissime” rivela la dottoressa “madri in preda alla necessità di inventarsi ogni giorno qualcosa per avere la possibilità di mandare i loro figli a scuola vestiti dignitosamente per non essere discriminati e magari devono anche portare da mangiare ai mariti in carcere. Sono donne sensibili al cambiamento perchè hanno un grande bisogno di aiuto”. Donatella racconta come siano riusciti in quattro anni di attività accanto a queste giovani donne a far in modo che prendessero la licenza media e un attestato per poter trovare un lavoro. La dottoressa espone poi numerose idee sulla possibilità di realizzare attività creative e di lavoro che possano strappare tanti giovani dalle braccia della mafia: “Esistono microattività utilissime che dobbiamo sfruttare anche per gli adolescenti” ma viste le tante idee e la tanta voglia di fare, di agire, di aiutare inducono la Natoli a concludere il suo intervento con una semplice domanda: “Ma perchè il comune di Palermo non prende in mano la situazione?“. Domande che non trovano risposta o se la trovano si tratta di risposte amare da accettare.
Dopo un invitante buffet ristoratore offerto dalle donne dell’Associazione, il seminario da inizio alla seconda parte della giornata. I ragazzi riprendono posto. Sono sempre loro a dare una ventata di aria fresca alle nostre vite. La parola viene data ad uno di loro, un giovane siciliano Francesco Amato laureato in editoria a Roma che insieme ad un suo amico decide di sfidare se stesso e le gravi problematiche del sud e tra la necessità di andare e la voglia di tornare decide di rientrare nella sua città, Palermo, per far nascere una nuova rivista: IL PALINDROMO che successivamente diviene anche casa editrice. “Il Palindromo nasce come rivista” ci racconta Francesco “ma in realtà vuole essere un aggregatore culturale. Noi siamo semplicemente selezionatori delle cose in cui crediamo e le proponiamo”. Francesco è l’esempio di un giovane per i giovani che mostra come l’entusiasmo, la forza di Volontà, il credere in se stessi e nelle proprie potenzialità è un potere contagioso portatore di grandi frutti che richiamano forze nuove. Francesco spiega che alla pubblicazione della rivista si sono progressivamente affiancati eventi culturali, presentazioni, concerti e mostre organizzate con il conservatorio e l’accademia siciliana. “Abbiamo fatto anche una collana su questioni mafiose con Addio pizzo dal titolo: Sai la mafia non mi piace” conclude Francesco “la memoria fine a se stessa non serve a niente”. E sono proprio questi giovani ad insegnarci che fare memoria significa imparare dal passato per cambiare il futuro.
Ed è proprio la memoria storica a ricordarci che le vere rivoluzioni e i veri cambiamenti sono sempre partiti dal basso, dalla riabilitazione dei più disagiati, dalla forza degli ultimi. L’unione degli intenti al di sopra di pregiudizi e preconcetti portano alla vera vittoria. Laici e religiosi spinti da un obiettivo comune: Giustizia Sociale.
Don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco Nazionale è presente, oggi, in Italia, in 14 città e 11 regioni, della quale fanno parte centinaia di persone tra comunitari, ragazzi impegnati nel servizio civile, operatori sociali e volontari. Un’associazione impegnata nell’accoglienza di persone in condizione di grave disagio. Don Franco ha instancabilmente lavorato in tutta la sua vita per l’inserimento sociale e lavorativo dei portatori di handicap occupandosi dei bisogni dei disabili fisici e psichici, e di quelli dei giovani, dei minori, dei tossicodipendenti, degli immigrati, dei malati psichiatrici. “Giovani” dice Don Franco ” che sono una grande speranza per il futuro, ma che a loro volta necessitano di ritrovare la speranza, tramite una società che sia in grado di dargliela. La passione di Don Franco ha portato la comunità ad espandersi divenendo Comunità internazionale di Capodarco, un’organizzazione non governativa di solidarietà, che si propone di dare risposte ai problemi dei poveri e degli emarginati dei paesi meno sviluppati con progetti in Albania, Kosovo, Romania, Brasile, Ecuador, Guatemala, Camerun e Guinea Bissau. In quest’ottica si colloca la seconda iniziativa sostenuta da don Monterubbianesi, l’idea di portare finalmente a compimento il progetto dall’associazione “Ritorno alla Terra” di Servigliano per la creazione di fattorie sociali: gruppi locali ove mettere in pratica il valore comunitario del “dopo di noi”, luoghi di inclusione sociale, i cui promotori e attuatori dovranno essere innanzitutto i giovani del territorio. “Possiamo liberare la società dall’impoverimento se noi lottiamo insieme ai poveri” dice Don Franco “le case famiglia che io sogno sono case insieme ai giovani e ai disabili. dobbiamo mettere l’economia al servizio delle persone più deboli della società”. Il sacerdote missionario trasmette la necessità di provare indignazione dalla quale poi deve nascere il coraggio di affrontare i mali del mondo. Trasmette ai ragazzi l’importanza di ritornare alla terra, all’agricoltura Pacha Madre. “Lavoriamo anche in Sud America” prosegue don Franco “per aiutare la loro speranza a concretizzarsi e ora sogno un’Europa diversa. Un’agricoltura sociale aperta ai più deboli, carcerati, disabili, tossicodipendenti, depressi. Lo sviluppo agricolo è una grande scommessa per questi paesi europei. Dobbiamo creare aggregazioni per creare prospettive, creare centri vitali dove vengono accolti i più disagiati, facciamo rete, creiamo rete!” L’entusiasmo di Don Franco contagia chi lo ascolta. Si sente però chiamato a rispondere alle parole pronunciate dal procuratore durante la mattina riguardo l’omertà della chiesa sui gravissimi fatti di mafia accaduti nella storia antica e recente. Esprime la sua speranza nel nuovo Papa Francesco, don Franco, ma prosegue: “Il discorso del Vangelo è rivoluzionario e noi siamo traditori del vangelo” dice parlando dello “Scandalo della Croce” come lui definisce la Crocifissione di Cristo, un deicidio dal quale la Chiesa e i suoi fedeli devono riscattarsi imitando il Vangelo.
I veri sacerdoti si riconoscono dalle opere e da quella umiltà ma nel contempo forza e coraggio che li contraddistinguono come quelle di Don Franco e di Padre Scordato, quest’ultimo sacerdote della comunità di San Saverio nel quartiere dell’Albergheria a pochi passi da qui, presente tra i giovani che ascoltano. Il messaggio di questi veri servitori di Cristo termina sempre con il grande ottimismo dettato da quella fede che spinge a credere e a lavorare per un modo migliore che verrà.
È vero. Chi ha letto attentamente il Vangelo può rendersi conto che si tratta di un testo il quale parla di un uomo rivoluzionario venuto al mondo duemila anni fa. Il più grande rivoluzionario della storia di tutti i tempi. Una persona che desidera progredire nella propria evoluzione non può non innamorarsi di questo meraviglioso Uomo di Galilea perchè fu Lui l’esempio vivo dei valori che l’uomo dovrebbe incarnare per poter costruire una società felice sorretta dai valori supremi di Giustizia e Verità. Perchè solamente sulla base di questi due valori può nascere e vivere il vero Amore.
Ecco perchè sacerdoti o laici, credenti o meno, che vivono ad imitazione del Vangelo sono considerati rivoluzionari, non potrebbe essere che così. Non è conciliabile, in questa società, il “quieto vivere” con gli insegnamenti del vangelo.
Giorgio Bongiovanni, uomo segnato da una profonda esperienza mistico-spirituale, oggi è presente a questo incontro in veste di giornalista antimafia. E più precisamente Direttore della rivista Antimafia Duemila. E così come i sacerdoti esaltano nella loro missione il valore sacro dell’amore e della misericordia di Cristo, lui esalta quello della Giustizia, altrettanto presente nel Vangelo.
“Sono ottimista” esordisce Giorgio Bongiovanni “perchè abbiamo presenti qui in questa sala della biblioteca due sacerdoti di Cristo, Padre Cosimo e Don Franco, che ci ricordano la presenza di Gesù Cristo figlio di Dio, il Messia. Io sono cristiano e per questo credo che Lui manterrà la promessa della Sua seconda venuta sulla Terra per stabilire un nuovo regno di pace, fratellanza amore e giustizia. Ma so anche che prima di questo dovremmo vivere una grande sofferenza, una grande tribolazione e questa pace fratellanza e amore dobbiamo sapercele conquistare”.
Bongiovanni parla della Legge che governa l’universo che è la legge di Causa ed effettocitando alcuni passi del Vangelo in cui Gesù Cristo parla di questo concetto. “Sulla Terra noi abbiamo circa quattro miliardi di poveri, forse anche di più.” Prosegue: “Ma perchè abbiamo quattro miliardi di poveri? Perchè manca l’Amore. Ma perchè manca l’Amore? Perchè c’è odio e violenza che nascono dalla sete di possesso. Ma perchè c’è sete di possesso? Perchè sulla Terra manca un valore fondamentale che è la giustizia. Sulla Terra noi abbiamo estremi esempi d’amore, dai santi ai martiri del cristianesimo, dell’antimafia ecc… Quindi sulla Terra vi è povertà perchè vi è ingiustizia”. Bongiovanni spiega ai ragazzi che è sempre importante comprendere le cause di un problema per poter eliminare gli effetti. Se viene stabilito quindi che la causa di questo gravissimo problema della nostra società è l’ingiustizia dobbiamo lavorare e batterci affinchè la giustizia venga rispettata, ad iniziare dai nostri governi. Il giornalista ricorda che nessun governo mette nei primi punti della sua agenda il tema della giustizia, relegato solitamente agli ultimissimi posti. “Ma perchè giustizia?” domanda ai giovani,”perchè giustizia significa uguaglianza, giustizia significa che già la parola ricco e povero è un gravissimo atto di razzismo, di emarginazione” prosegue Bongiovanni evidenziando che “tutti siamo responsabili se nel mondo il due per cento delle persone hanno l’ottanta per cento di tutta la ricchezza mondiale. Ci sono cento famiglie nel mondo che possiedono una ricchezza in miliardi di euro; cento milioni di persone che sono ricche in decine di milioni di euro, ottocento milioni di persone che sono benestanti in milioni di euro. Quindi stiamo parlando di cento milioni e poco più di persone che possiedono il patrimonio mondiale. Poi ci sono circa due miliardi di persone che appartengono alla classe media, quella nella quale ci inseriamo, più o meno, anche noi nel senso che abbiamo una casa, un riscaldamento, una macchina e il lavoro, per chi ce l’ha. Il resto della popolazione mondiale circa quattro/cinque miliardi di persone nel mondo sono in stato di estrema povertà. Questo proprio perchè le persone che ho nominato prima sfruttano il patrimonio delle risorse mondiali a discapito di tutte le altre. In questo contesto possiamo dire che le organizzazioni criminali sono composte dalla stragrande minoranza della popolazione mondiale. La mafia siciliana ha per esempio cinquemila affiliati eppure questa gente ha il potere di sopraffare cinque milioni di persone. Ma perché secondo voi? Semplice, perchè hanno i soldi, possiedono la ricchezza illecita”. Bongiovanni prosegue sottolineando che la ‘Ndrangheta ha il monopolio mondiale dell’occidente (non dell’oriente dove ci sono altre organizzazioni criminali) e che il fatturato italiano solo delle mafie ogni anno corrisponde alla cifra di cento cinquanta miliardi di euro (che corrisponde alla somma del fatturato di varie aziende multinazionali italiane), denaro in contanti e in nero. “Con cifre di questo genere le mafie riescono a penetrare nelle istituzioni, nell’imprenditoria, a corrompere cittadini comuni” asserisce il direttore proseguendo: “Il fenomeno non è più solo italiano è un fenomeno internazionale.
Le organizzazioni criminali si sono organizzate ben prima delle caduta del muro di Berlino, ben prima che nascesse la globalizzazione, molto prima che nascesse l’unione europea, tantissimo tempo prima che nascesse l’euro, loro già avevano costituito una specie di confederazione di mafie a livello mondiale”. Bongiovanni spiega ancora che i poteri criminali, costituiti dalle famiglie più ricche del mondo e dalle mafie, grazie al denaro in contanti che possiedono “possono ricattare intere nazioni, interi governi e quando non vanno in porto le trattative ecco che accadono le stragi, le tragedie”. Il direttore rammenta che tutti noi cittadini dobbiamo essere partecipi della vita politica per poter cambiare le cose, che dobbiamo informarci e dare il nostro voto, l’unico strumento democratico vero che abbiamo, per farci rappresentare da uomini trasparenti e non corrotti: “Certo che dobbiamo aiutare gli altri, stare insieme ai poveri ma se non capiamo le cause del perchè oggi ci sono così tanti poveri nel mondo, potremo migliorare leggermente solamente l’effetto ma se non andiamo dritti alla causa, il problema non lo risolveremo mai. Noi siamo in questo momento governati da una economia criminale, perchè il 60/70 per cento dell’economia globale è di natura illecita.Questo significa che i padroni dell’economia mondiale sono criminali e quindi mettono in pratica i loro valori, il possesso, l’egoismo, l’arricchimento, la sopraffazione ecc. Ma di cosa si servono per fare questo? Oltre alle guerre e alle stragi nei casi eccezionali si servono normalmente della politica, di chi ha nelle mani le istituzioni”.
Bongiovanni prosegue chiarendo che, a parte Berlusconi e qualche altro elemento, la maggior parte di coloro che siedono nel nostro governo non sono persone criminali, sicuramente però compromesse e certamente nelle mani di un sistema criminale. Il direttore si sofferma a rimarcarel’importanza del processo che si sta celebrando a Palermo sulla trattativa stato-mafia continuamente ostacolato dai massimi vertici del nostro governo, della chiesa, della polizia, dei carabinieri, e della stessa magistratura. “Noi riusciremo a uscire dai problemi della povertà, della sopraffazione, della disoccupazione, delle malattie, della guerra e della corruzione solamente se conosceremo la verità” asserisce Bongiovanni “I nostri sacerdoti ci insegnano che Gesù disse: Conoscete la verità e la verità vi farà liberi ma liberi davvero. Se io so che coloro i quali governano il nostro paese sono persone trasparenti posso sperare che si possa vincere la povertà, la disoccupazione e avere un sistema sociale che sia più possibile basato sull’uguaglianza ma se io so che siamo ancora governati da gente criminale e assassina le nostre battaglie saranno sempre perdute, cureremo cento ragazzi, mille, ma non risolveremo il problema e il nostro paese non cambierà. Allora noi dobbiamo scardinare il cancro che sta nei posti di comando, dobbiamo sapere chi comanda la banca d’Italia, chi è il presidente del consiglio, chi compone i partiti di maggioranza e anche dell’opposizione, dobbiamo far sparire dalle nostre istituzioni le persone condannate. Dobbiamo operare nel sociale, abbiamo questo dovere, così come stiamo facendo, qui siamo tutte associazioni umanitarie stasera ma dobbiamo anche lavorare per conoscere la verità di coloro che ci governano e dobbiamo trasmettere la vera informazione ai cittadini sostenendo quei magistrati isolati come Nino Di Matteo. Ma perchè vogliono uccidere Nino di Matteo? Perchè lui insieme agli altri magistrati come Del Bene presente qui con noi questa mattina, stanno conducendo una inchiesta che è in grado di far cadere il nostro stato e tutto il sistema al quale è collegato. Noi dobbiamo combattere per la verità perchè solo conoscendo la verità possiamo aiutare meglio i poveri e se questa verità ci fa male perchè coinvolge il papà o la mamma nostra o mio fratello, per amore della verità noi dobbiamo affrontare la vergogna e dire la verità. Dire la verità sui nostri governanti e i vertici delle nostre istituzioni fino a quando avremo un parlamento pulito, una magistratura pulita, le istituzioni trasparenti, una chiesa trasparente nei suoi vertici. Solamente quando nella nostra società sarà inculcato il valore della legalità sarà sconfitta la povertà. A me piace anche il Dio della giustizia quello che quando si arrabbia provoca il diluvio universale, quello che quando si arrabbia sferza con le catene i mercanti del tempio, a me piace amare questo Signore Gesù Cristo e prego che ritorni con la Sua giustizia”.
I più grandi rivoluzionari hanno cambiato il corso della storia. Uomini considerati eretici perchè incompresi nella loro alta filosofia o nel genio creativo di grandi scoperte innovatrici che avrebbero potuto schiudere le coscienze della gente. Il nostro è sempre stato un Paese dalle grandi contraddizioni, un paese capace di partorire grandi santi e nel contempo menti diaboliche, di crescere grandi uomini per poi avere il coraggio di ucciderli con le stesse mani.
In una fredda mattina d’inverno a Roma, il 17 febbraio del 1600, un grande filosofo campano, ritenuto colpevole di eresia dalla Santa Inquisizione, viene arso vivo sul rogo a Campo dei Fiori. Un uomo che si opponeva alle forme perverse del potere di quel tempo, alla ipocrisia cattolica, all’oscurantismo dogmatico, un uomo che aveva aperto nuove frontiere del pensiero in tutta Europa ispirando una nuova filosofia. Una mente libera che ostacolava il controllo delle coscienze voluto dal potere temporale della Chiesa di quel tempo. Un grande rivoluzionario che accettò quella morte per non tradire la Verità, quella verità che oramai era nel cuore di tanti giovani studenti che avrebbero cambiato gli eventi futuri.
“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi”.