Libero quotidiano, 14 XII 2014.
SCENARI
Così il crollo del petrolio sta cambiando il mondo: il rischio di un crac globale.
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Il 2014 passerà alla storia come l’anno nero del petrolio, dove si è consumato un clamoroso contro-choc petrolifero: il barile, infatti, è sceso sotto i 60 dollari. Prezzi bassissimi. Prezzi che sono in grado di cambiare i connotati del mondo in cui viviamo. Un evento traumatico: il petrolio si è dimezzato rispetto ai massimi del 2010, e un 10% della caduta si è registrato in una sola settimana. Più che un ribasso, come nota Repubblica, si tratta di un “tracollo senza rete”. Una picchiata in grado di turbare i mercati.
In teoria… – Certo, da un lato il calo del costo del petrolio si traduce – o si dovrebbe tradurre – in un calo del costo dell’energia, un fatto positivo per chi la consuma. Ma a fare da contraltare a questa considerazione c’è il fatto che di energia se ne consuma comunque sempre meno: l’indice di una crisi globale dalla quale non si vede via d’uscita. Infatti alla stagnazione dell’Eurozona, nel 2014, si è aggiunta la frenata della Cina e la ricaduta verso la recessione del Giappone. Per questo motivo, il contro-choc petrolifero non è una buona notizia: bene per l’energia a buon mercato, ma le cause che ci stanno dietro non sono affatto positive.
La rincorsa – Un segno delle crisi è che, con la complicità del fracking e delle trivellazioni orizzontali, l’industria del petrolio da pesantesi è trasformata in “leggera”, ossia insegue le nanotecnologie e la corsa alla miniaturizzazione, all’automazione. Basti pensare, e questa cifra vale per tutte le altre, che dal 2008 ad oggi sono scomparse dai mari 100 super petroliere al mese, che trasportavano i 90 milioni di barili mensili che provenivano dai mercati Opec e destinati al Sudamerica.
Competizioni – Ma, dicevamo, del fracking e delle trivellazioni: con l’accelerata, gli Usa hanno superato la Russia nella produzione di gas, e ora di pari passo ai avvicina il sorpasso sull’Arabia Saudita nell’estrazione di petrolio, tanto che Obama ha concesso le prime licenze di esportazione di greggio americano. Un fatto quasi incredibile: gli Stati Uniti, il più grande consumatore mondiale, diventano concorrenti per l’Opec e per la Russia. Un fatto che ha fatto scattare la rincorsa ad altri mercati di sbocco: dalla Nigeria alla Colombia, chi ha perso il cliente a stelle e strisce deve tentare di vendere il petrolio alla Cina. Però, ora, il prezzo lo decide chi acquista. La conseguenza? Il crollo del prezzo del petrolio.
Grande crisi – Ma se queste dinamiche hanno aspetti positivi per gli Usa, per il resto del mondo è tutto il contrario. La domanda, nell’eurozona, è sprofondata a livelli da vera e propria depressionecon la complicità dell’austerity e delle politiche economiche (stesso discorso in Giappone). Inoltre cala la domanda in Cina, con lo zampino del calo della produzione industriale. E con la frenata della Cina si sta chiudendo un lungo ciclo di espansione per le materie prime. Una contrazione globale, dunque, e il rischio – concreto – è quello di una crisi finanziaria dei paesi emergenti così come avvenne negli anni ‘Novanta: una plausibile catena di default innescata dai debiti privati contratti in dollari, oggi sempre più difficili da rimborsare.