Tagliamogli la Testa
A Sparta gli spartiati abbandonavano nella foresta del monte Taigeto chi si occupava di arte perché ritenuto inabile alla guerra, così da farlo morire di freddo o sbranare dalle fiere. Nella Sicilia della Magna Grecia, tradendo quella tradizione di civiltà che gli ateniesi iniziarono, sembra si sia conservata quella pratica, se è vero che qui tutto ciò che nasce di buono emigra, scappa, fugge, oppure rischia la vita, quella fisica o quella civile, reietto come risulta alla prepotenza dei sempre redivivi beati paoli.
In America esiste una setta odiosa che afferma la superiorità dei bianchi sui neri, ed è chiamata dei suprematisti. In Sicilia sembra che esista una setta, di uguale disprezzo, con la differenza che più che il colore della pelle vuole affermare, anche con la violenza, la mediocrità, l’imbroglio, la famigerata mitologia della furbizia, invero arma cui si affidano quanti difettano di intelligenza.
Palermo sembra sia diventata un quartiere di Brancaccio; Catania a sua volta è divenuta quartiere di Librino; Messina è dilaniata dallo stretto, ricchezza in ogni parte del mondo in cui esiste uno stretto ma motivo di sfruttamento nella città peloritana in perenne attesa del ponte che non verrà ed eternamente alle prese con i danni secolari della ricostruzione post terremoto, dopo 100 anni; Agrigento costruisce abusivamente attorno al tempio della Concordia e quando la Procura manda le ruspe trova persino resistenza; Enna è in fase di smantellamento, ha da poco la fortuna di avere una sua università ma vogliono eliminare addirittura la Prefettura; Caltanissetta ha il primato delle facciate degli edifici incomplete ed un tasso di emigrazione tra i più allarmanti del Paese; Trapani è sempre più una enclave da cui lo Stato si ritrae per lasciare territorio ed attività economiche a Cosa Nostra; Siracusa e Ragusa sembrano delle oasi perché più laboriose, ma per raggiungerle in ferrovia si è costretti ad un viaggio indietro nel tempo, subito dopo le motrici a vapore, mentre ancora si attende che, tra uno scandalo e l’altro, si completino le autostrade.
Intanto, a Priolo come a Gela, a Melilli come a Milazzo, le coste sono devastate dalla più selvaggia industrializzazione petrolifera degli anni ’50 e ’60, con il suo carico di morte, di bambini malformati, di leucemie fulminanti.
L’Etna era più sfruttato al tempo dei romani, con le antiche strade del vino e le sue terme sulfuree, che non oggi, con una funivia ancora in mano ai privati ed impianti sciistici che non esistono più neppure in Perù.
Le università di Palermo, Catania e Messina risultano precipitare in fondo a tutte le classifiche: nazionali, europee e mondiali.
La mortalità delle imprese supera nell’Isola quella dei morti per cancro; è morte per asfissia, per povertà, per disservizio, per assenza dello Stato, per ingerenza, insopportabile e violenta, della Mafia.
Cosa Nostra ha preso il controllo prima dell’edilizia, poi del sistema produttivo, tradizionalmente in mano alle piccole imprese, della grande distribuzione, dei lavori pubblici, dei rifiuti, persino delle energie alternative, del commercio, e non si scorda di noi neppure da morti, con il business del caro estinto e con i cimiteri in mano a quelli che Pino Arlacchi con Calderone chiamarono gli uomini del disonore.
In una palude così maleodorante ogni qualvolta viene a galla un osso, trova una tuba di cani pronta a contenderselo, cosicché non può impressionare che i nostri ragazzi fuggano al nord o all’estero.
La Sicilia finirà per essere abitata da un popolo povero e vecchio, vessato da quei disgraziati che, con il taglio dei capelli secondo il tipico stile della tonsura criminale, si contenderà ciò che resta, e cioè appunto quell’osso che di tanto in tanto riemerge dalle sabbie mobili dello stagno sociale.
Sembra un racconto troppo pessimista, fosco e non vero?
Me lo augurerei, ma come molti vivo la sensazione di trovarmi in esilio a casa mia, e sogno una rivolta delle coscienze, e non solo dei giovani, ma anche di quei poveri vecchi che hanno lavorato una vita, che hanno vissuto l’ultima guerra e che non meritano la medaglia della emarginazione da tenere lucida con la misera pensione di 400 euro al mese.
Sogno una reazione di quella parte ancora sana della nostra comunità, ma temo sempre che si rischi la fine di quei trecento che “eran giovani e forti e sono morti, gli dissero ladri usciti dalle tane ma non potaron via neppure un pane.”
E’ la storia di Pisacane, efficacemente raffigurata nella Sala della Giunta a Palazzo degli Elefanti; anche allora la fame, la violenza e le istituzioni avevano instaurato la tirannide, ma a Sapri Carlo Pisacane ed i suoi non trovarono i fucili dell’esercito borbonico bensì le pietrate dei contadini che quei trecento volevano salvare dalla fame e che invece preferirono restare sotto la frusta della Camorra reale.
E mi torna ripetutamente davanti agli occhi quella straordinaria illustrazione di Esther Lee, artista coreana di Seoul che sembra fotografare la Sicilia, con quelle forbici pronte a tagliare la testa di chi osa elevarsi sopra la folla!