Corriere Etneo, 21 IX 2019
A TERRASINI L’ADDIO A BOMMARITO. IL RICORDO DEL SUO SEGRETARIO: “HA AMATO LA CHIESA E I CATANESI”
*
Stamattina nella Chiesa Madre di Terrasini i funerali di Mons. Luigi Bommarito, Arcivescovo emerito di Catania. Al suo segretario personale nei suoi anni catanesi, il paternese Don Salvatore Alì, il Corriere Etneo ha chiesto di scrivere un ricordo del presule scomparso all’età di 93 anni. Ecco il testo:
Il motto episcopale che Sua Eccellenza Mons. Luigi Bommarito scelse quando fu eletto vescovo ausiliare di Agrigento fu “Ecclesiam dilexit”, “Ho amato la Chiesa”. E mai un motto episcopale è stato così indicativo di chi lo sceglie. Sì, Mons. Bommarito ha amato la Chiesa con l’intensità e la totalità della sua persona, tanto da donare tutta la vita per il bene della Chiesa che per lui ha assunto il volto della Chiesa di Agrigento prima e di quella di Catania dopo. Se ad Agrigento donò l’entusiasmo della sua giovinezza, a Catania ha testimoniato la solidità e la ricchezza del suo ministero episcopale.
Tutti riconoscono che i quattordici anni di episcopato a Catania di Mons. Bommarito, hanno rappresentato una vera e propria “primavera” non solo per la realtà ecclesiale, ma anche per la realtà sociale, per la sua presenza costante e i suoi interventi forti e illuminanti in tutte le situazioni belle e meno belle che in quegli anni hanno caratterizzato la vita della Città e della Diocesi.
Sì, l’amore è stata la cifra dell’episcopato di Mons. Bommarito. Tutti si sono sentiti amati, tanto da rimanere scolpito nel cuore e nella memoria di ogni catanese. In particolare io, essendo stato il suo segretario personale per ben cinque anni, ho potuto non solo sperimentare questo amore personalmente, ma posso testimoniare come ogni cosa che pensava e chiedeva, promuoveva e realizzava scaturiva e portava il segno di questo suo grande amore.
Da subito Mons. Bommarito ha accolto nel suo cuore la nostra Chiesa di Catania e l’ha amata e servita come una sposa, cercando in tutti i modi di renderla bella e viva con l’abbondanza delle iniziative che, in quegli anni, hanno effuso una ventata di entusiasmo e di zelo pastorale. Come dimenticare il Sinodo dei giovani, esperienza coinvolgente del mondo giovanile, che ha gettato le basi per la futura pastorale dei giovani e che aveva ogni anno il suo apice nella Pentecoste dei giovani. E come non ricordare la vicinanza alle famiglie che amava incontrare ogni anno; la preparazione al Giubileo del duemila che coinvolse tutte le parrocchie in una serie di riflessioni sulla Trinità e le aprì alla missione. E poi la Visita pastorale, passaggio di grazia in tutta la diocesi e la storica visita di San Giovanni Paolo II, rimasta negli annali della Città di Catania e della nostra Diocesi. E ancora la parrocchia missionaria a Migoli, la pinacoteca dei Vescovi catanesi, la casa del Clero S. Francesco, il Santuario della Madonna della Roccia, la festa di S. Agata che grazie a Lui si aprì al mondo delle Comunicazioni sociali diventando un evento mondiale. Un pastore che precedeva sempre il suo gregge, lo spronava, lo incoraggiava, indicava i sentieri da percorrere e i pericoli da evitare.
Un amore che, come pastore e padre, ha riversato in modo particolare verso i sacerdoti. Il fatto che desiderava essere chiamato “Padre vescovo” e ci chiamava “figli miei”, ci dice quanto teneva ai suoi sacerdoti. Si informava di tutti, visitava tutti, incontrava tutti. Andava alla ricerca di chi sfuggiva alla sua attenzione e al suo affetto, come il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita. Qui un ricordo personale: ogni volta che uscivamo per andare a celebrare in qualche parrocchia o per altri impegni, mi chiedeva di anticipare la partenza dal Vescovado, perché amava passare da qualche chiesa a salutare il parroco e chiedere come stava. Oppure andavamo a trovare chi era in ospedale, o ricoverato in una casa di riposo. Voleva bene a tutti i suoi sacerdoti, ma aveva un debole per i più “irrequieti” e chi, a volte, lo trattava male. Mi ricordo che un giorno, ad una mia giovanile protesta di fronte ad un gesto di affetto verso un sacerdote che lo stava facendo soffrire molto, mi rispose: “anche lui è figlio mio e lo devo voler bene”. Questo amore e questa vicinanza al clero l’ha conservata sino all’ultimo: in questi anni di riposo a Terrasini non è mai mancato nel farci gli auguri per gli anniversari o semplicemente per chiamarci e informarsi su come stavamo. Ci mancheranno le sue improvvise chiamate che lasciavano una carezza nel cuore.
L’amore per il sacerdozio lo esprimeva anche attraverso l’attenzione per il Seminario e la promozione delle vocazioni sacerdotali. Lui stesso amava dire che il Seminario era la pupilla dei suoi occhi e da sempre aveva sentito la chiamata a cercare i germi di vocazione che il Signore seminava in tanti giovani generosi e aiutarli a portare il frutto di un sì generoso e totale. Per questo durante il suo episcopato, prima ad Agrigento e dopo a Catania il Signore lo ha benedetto con l’abbondanza di tante ordinazioni sacerdotali, dono prezioso e vitale per una Chiesa. Un dono a cui rispondeva con l’impegno per un clero sempre più qualificato e santo.
Un amore, infine, per tutti. Sapeva entrare in empatia con chiunque, anche con chi era lontano dalla esperienza religiosa. Il suo buonumore, la sua dialettica, il suo carattere estroverso, faceva sì che riusciva a relazionarsi con chiunque, con ogni uomo, di qualsiasi età, razza, estrazione sociale, tanto che a Catania si arrivò ad identificare la persona con il ruolo. Quando lasciò la Diocesi tanti catanesi si chiedevano: “E ora a chi fanno ‘Bommarito?”. Era riuscito, come scrive Paolo, a farsi “tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno». Un mio confratello ha scritto: “Ti abbiamo amato, perché tu ci hai amato con tutto il cuore”. Sono certo che continuerà ad amarci dal cielo. L’amore, la gratitudine e la preghiera nostra, custodiranno il suo ricordo in ciascuno di noi e ci uniranno per sempre a lui.
(Don Salvatore Alì)