Antonella Grippo, blog su Il Giornale, 5 I 2017
Elogio della casta
Faccio, per mestiere, il giornalista, a causa della mia manifesta imperizia nella sublime arte di mettere insieme lagane e ceci. Allo stesso modo, mi risulta impraticabile il controllo manuale di uncinetto e telaio.
Certo, avrei potuto sferruzzare a maglia. In realtà, l’impervia esecuzione del punto a grana di riso resta il più inamovibile tra i calcinacci dell’inconscio.
Sono scarsa anche in computi ragioneristici, lo confesso.
E, come se non bastasse, ignoro la tecnica che orienta la disposizione millimetrica di una o più sequenze di piastrelle.
Per questo, faccio , per mestiere, il giornalista.
Se riuscissi a decifrare l’alchemico tocco che traduce una chioma riccia in liscia, potrei farmi largo presso l’ iperuranio delle parrucchiere.
Di più : sono una schiappa in materia di monitoraggio del sommerso psichico dei ragni del Tibet. Non brillo neanche come barista al dopolavoro ferroviaro di Policastro Bussentino.
Da ragazza, cantavo in una band che si schiantò contro l’ermeneutica dell’enigma canzonettaro per antonomasia, altrimenti conosciuto come “non piangere, salame dai capelli verderame”. Io e il batterista non riuscimmo a convergere su una comune opzione.
Non so disegnare abiti : in genere ne disabito gli orpelli.
Il mio elettrauto, avendo intuito la scadentissima attitudine della sottoscritta per i sottili distinguo tra uno spinterogeno ed una navicella spaziale, mi ha sempre guardata con sospetto.
A nulla è mai valsa la disperata domanda di indulgenze plenarie, da me inoltratagli per aver letto Dostoewskij . Non gliene frega una beneamata mazza degli smottamenti d’anima di Dimitri Karamazov . Men che meno, del candore di suo fratello Aliosha.
Ho cercato disperatamente di fargli capire come persino Marx diffidasse delle uguaglianze: ”a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità“.
Tutto inutile.
Non ho speranze : è un sanculotto originario del Molise. Esige la mia testa.
Se solo avessi imparato l’arte di decriptare le particelle, inaccessibili ai più, delle istruzioni per l’uso sul retro del flacone di “Fabuloso- striglia pavimenti”…
Ma tant’è.
Amo osservare, questo sì. E scrivere. Raccontare.
Sono una ” storiografa dell’istante”.
In tv, provo a ridurre in schiavitù della compressione temporale elettronica l’antico dilatarsi della parola. Talvolta, riesco persino a tenere a bada l’ improvvisa e saccente insorgenza del mio liceo classico.
I fatti separati dalle opinioni? La mistica della neutralità è una fregnaccia . I fatti sono lo sguardo che li percorre. E lo sguardo s’intride sempre di un personalissimo “vissuto” tiranno su ogni innocenza.
Non ho poteri da servire . Obbedisco alle trame ordite dal mio anarchico sentire.
Per questo, faccio, per mestiere, il giornalista. Senza furori o fuochi sacri.
Di certo, non mi consegno alle fauci dell’orgia dionisiaca da ghigliottina.
L’ultima traccia di Giuria Popolare che il mio ricordo trattenga è quella che prese a calci in culo Luigi Tenco, a Sanremo. Pare che Orietta avesse cantato meglio.
Non v’ è dubbio : “la geometrica potenza” del diametro di un tortellino era ed è roba assai eversiva. Sensualmente popolare.
Di contro, il mio Io è troppo pigro per poter triangolare con te e con le rose.
Per questo, faccio, per mestiere, il giornalista.