Giovanni Sallusti* per Dagospia, 1 II 2022
’1984’ VITTIMA DI UNA CENSURA ORWELLIANA
Caro Dago,
è la vittoria definitiva di Eric Arthur Blair, meglio noto come George Orwell.
“1984” vittima di una censura orwelliana, di più, di un clima e di una realtà ormai palesemente orwelliani, quelli del Politicamente Corretto all’ultimo stadio.
È ormai una profezia che si autoavvera quotidianamente, quella del genio britannico, a cominciare proprio da casa sua.
Northampton, Inghilterra centrale: l’università decide di apporre il “trigger warning” su alcune opere, tra cui appunto il più maestoso romanzo distopico del Novecento.
I “trigger warning” sono una delle tante diavolerie iper-correttiste partorite dal mondo anglosassone (passato in pochi decenni da Orwell agli zelanti funzionari della Cancel Culture) e consistono in avvertimenti, messi all’inizio di un testo, sulla “potenziale pericolosità” del testo medesimo (l’idea che la letteratura debba essere non pericolosa e quindi innocua è peraltro la tomba della letteratura medesima, con tanti saluti a Sofocle, Shakespeare, De Sade, Céline, Burroughs e via citando sporchi reazioni che non usavano nemmeno lo schwa murgiano).
Nella fattispecie, rendiconta il Daily Mail, il capolavoro orwelliano è finito nella lista nera perché (virgolettato dell’ateneo) “affronta questioni impegnative relative a violenza, genere, sessualità, classe, razza, abusi, abusi sessuali, idee politiche e linguaggio offensivo”.
Che affronti il tema della violenza non c’è dubbio, anzi che lo svisceri fino all’estremo in cui diventa violenza di Stato/Partito (lo “stivale che calpesta un volto umano in eterno”), ma noi sempliciotti non rieducati pensavamo che stesse proprio lì la sua immortalità filosofica.
Sul genere e la sessualità non sapremmo, la Psicopolizia contemporanea (più noiosa dell’originale orwelliano) li infila un po’ ovunque, forse si allude al fatto che Winston conosce il suo unico lampo di umanità (poi annichilito) nella storia d’amore con Julia, e che quindi alla fine i protagonisti sono due retrogradi eterosessuali anacronisticamente ancorati alla vetusta distinzione tra il maschio e la femmina.
“Abusi” certo che ve ne sono a bizzeffe, dannazione, è il racconto anticipatore di come la macchina oppressiva perfetta escogitata dall’uomo, il totalitarismo, si divora l’uomo medesimo fino a sputarne la carcassa (“Se è vero che sei un uomo, Winston, tu sei l’ultimo uomo. La tua specie si è estinta e noi ne siamo gli eredi”, è la sentenza finale del torturatore O’ Brien), ma è proprio per questo che andrebbe letto in tutte le università d’Occidente, finché questa fetta libera di mondo esiste ancora, almeno formalmente.
“Idee politiche”, poi, è tragicomico. Non compaiono idee politiche, in “1984”, come non compaiono la morale o la storia (“un palinsesto che poteva essere raschiato e riscritto tutte le volte che si voleva”). Piuttosto, tutto il libro è la diagnosi della Politica che si fa Apparato spersonalizzato e autoreplicantesi, scientifico e quasi indifferente nella sua persecuzione pianificata di ogni refolo di dissenso (compreso quello che non c’è, anzi soprattutto), una persecuzione di nuovo genere, che non si era mai vista finché appunto esisteva qualcosa come la “storia” umana. Il Grande Fratello non ti punisce per quello che fai, né si limita a indicarti cosa pensare: molto più radicalmente, ti impone cosa devi essere (sostanzialmente, una sua appendice).
Non c’è nulla di “politica”, ci sono solo tragedia e dolore non riscattato. Come non c’è “linguaggio offensivo”, esimi accademici beoti, al massimo c’è la “neolingua”, ovvero la riscrittura integrale delle categorie con cui pensiamo, per rendere impossibile a priori qualcosa come la coscienza individuale, e guardacaso è il dramma della contemporaneità, è il vostro dramma, di voi che chiamate il terrorismo islamico “radicalizzazione” o i campi di concentramento per i non allineati “modello cinese”. Perché di fondo è questo, che deve pagare George Orwell: la grandezza di avere previsto tutto, compreso i suoi censori.
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* Giovanni Sallusti è autore di “Politicamente corretto – la dittatura democratica“, Giubilei Regnani editore.