Vittorio Feltri, Libero Quotidiano, 20 VII 2020
ANCHE I RICCHI MUOIONO, ECCO L’UGUAGLIANZA
Vittorio Gassman era un uomo saggio. Affermò, scherzando ma non troppo, che Dio ha commesso due gravi errori. Primo: creare l’uomo, farlo crescere e poi costringerlo a morire, spesso tra mille sofferenze. Secondo: distribuire i talenti (intelligenza e ingegno) a cazzo.
Ciò detto giungiamo alla mesta notizia: Giulia Maria Crespi è trapassata, non certo soffocata dalla balia, aveva 97 anni. È stata una donna importante, tra le sue proprietà c’era anche il Corriere della Sera, che cedette fra numerose tribolazioni nel 1974, ricavando naturalmente un monte di denaro che andò a rimpolpare in misura ciclopica un patrimonio imbarazzante.
Beata lei, ricca sfondata senza meriti speciali se non quello di avere ereditato una fortuna. I suoi avi costruirono un impero industriale, edificarono addirittura un gioiello architettonico, il villaggio Crespi, nei pressi di Bergamo, considerato un valore dell’umanità.
Si mormora che Giulia Maria non abbia mai lavorato. In effetti, con tutte le palanche che aveva non ne ha mai avvertito la necessità. Nonostante questo ella ha inciso parecchio nella vita specialmente culturale del nostro vituperato Paese. Tanto per cominciare era di sinistra negli anni caldi successivi al Sessantotto.
Lo sappiamo che i ricchi sono così: si vergognano di esserlo e per farsi perdonare di avere le tasche piene di quattrini fingono di amare i proletari, che ricambiano la gentilezza sopportandone la spocchia.
Il suo Corriere della Sera, nel quale entrai proprio nel 1974, anno in cui lo cedette, era stato per quasi un secolo il quotidiano della Borghesia non soltanto lombarda, una bandiera del conservatorismo illuminato, un giornale simbolo.
Tuttavia la contessa, avendo pulsioni progressiste, tanto fece e tanto brigò riuscendo a imprimergli una piega progressista, obbligando il direttore a licenziare Indro Montanelli, il campione nazionale del moderatismo.
Successe un casino. Indro fu costretto a fondare il Giornale provocando uno scossone in via Solferino, dove si persero copie per effetto della nuova concorrenza. Forse pure per questo motivo madame Crespi tagliò la corda, immagino senza soffrire.
L’esistenza della ex padrona del vapore non mutò di una virgola, nel senso che continuò a fare la signora, guardandosi bene dal faticare. Eppure si dedicò anima e corpo all’ambientalismo, un suo pallino.
Non era certo una sciura sciocca, si impegnava assai specialmente nelle cose inutili, che piacciono di norma agli abbienti. Io la conobbi alcuni anni orsono a una cena alla quale ero stato abusivamente invitato.
Era seduta a tavola di fronte a me e la ascoltavo mentre discettava di smog e roba simile. A un determinato punto la mia maleducazione ebbe il sopravvento sui freni inibitori di cui in fondo dispongo, e osservai con un sorriso forzato: «Gentile contessa, non capisco come mai lei sia preoccupata dell’inquinamento, visto che ha superato brillantemente i novant’ anni senza subire alcun danno. Spero di poterla imitare, cioè di raggiungere i suoi risultati».
Nella sala da pranzo scese il gelo. A me veniva da ridere e anche qualcun altro trattenne a fatica un ghigno. La contessa si degnò di rispondermi e lo fece con garbo: «Non tutti sono fortunati quanto me». La mia replica fu: «Non ne ho mai dubitato».
Non mi rivolse più la parola e nemmeno lo sguardo. Gli facevo orrore. Compresi il suo stato d’animo, però non trascurai neppure il mio. Al momento del commiato, ella si mi si avvicinò e pronunciò la seguente frase: «Lei è una persona simpatica». Ed io di rimando: «Anche lei». Va da sé che mentivo. Mentivamo entrambi.