Ottavio Cappellani, La Sicilia, 20 VIII 2023
L’eresia della bellezza, Antonio Presti non si arrende: «La mia vita fuori norma»
Tra rabbia e gratitudine: «L’albergo-museo di Tusa dichia- rato non a norma dai carabinieri del Nas? – Adesso non lo riapro, ne faccio una questione di etica, di gratitudine»
Ma sai… il museo albergo non è una bottega… non è che… la chiudi, poi la riapri». Il tono della voce, per chi conosce Antonio – laddove Antonio è Antonio Presti, imprenditore e mecenate visionario, poeta di bellezza e di impegno sociale – non è quello di sempre. Parla a frasi smozzicate, come chi sta ancora cercando di mettere ordine nei propri pensieri. Parliamo dell’albergo-museo, a Castel di Tusa, per chi non lo conoscesse (ma c’è ancora qualcuno che non lo conosce?) una emanazione della Fiumara d’Arte, uno dei più grandi e famosi parchi d’arte al mondo, costruito dall’artista-mecenate lungo gli argini del fiume Tusa: dodici opere monumentali che hanno di fatto portato all’attenzione mondiale buona parte della costa nord della Sicilia. Parliamo di nomi come Tano Festa (“La finestra sul mare”), Pietro Consagra (“La materia poteva non esserci”), Hidetoshi Nagasawa (“La stanza della barca d’oro). «Forse un po’ di ingratitudine da parte del territorio…», dice ancora. Lo sento deluso, ferito: «Alla mia età, dopo quello che ho fatto…».
Dopo un controllo dei Nas il museo-albergo non è risultato a norma. Sono stati fatti i lavori per chiedere un’apertura temporanea in corso d’opera, ma il Comune non ha ritenuto idonee e legali le proposte alternative. Così Antonio ha serrato, ha chiuso la porta. Io me lo immagino alle prese con le cassette dei water, con i tubi, glielo dico. Gli scappa una risata: «Ma ti rendi conto?». Mi rendo conto. Stiamo parlando di Antonio Presti, che ha tirato su, a Motta d’Affermo, una piramide di trenta metri, opera di Mauro Staccioli, un tetaedro titanico cavo in acciaio corten. Perché non è la “sostanza” il tema della questione, ma la “forma”, alla quale Antonio ha dedicato la sua esistenza: «È un problema etico… di riconoscimento… per me l’etica è forma, estetica». È stato come se il brutto irrompesse nel bello violandolo; non le norme, per carità, forse una certa algidità burocratica. «È stato come se sentissi un diniego altro, che non stava nelle cose», dice ancora, mentre nei corridoi vuoti echeggiano assordanti le voci e i gesti di chi ha voluto creare quelle stanze d’artista: Vincenzo Consolo, Raoul Ruitz, Danielle Mitterand, Paolo Ceroli, solo per citarne alcuni. Le stanze-opere svuotate di senso, senza visitatori, che diventavano essi stessi parte dell’opera per problemi di tubazioni, scarichi, roba del genere: sì, decisamente, il problema chiedeva di essere affrontato in maniera diversa.
E poi la sollevazione popolare.«Forse era questo il messaggio, il senso che bisogna trarre – riflette ancora – da questa ingratitudine, che io sempre ringrazio, perché bisogna ringraziare l’ingratitudine, ci insegna qualcosa, e qui mi sembra che ci abbia ricordato il nostro essere comunità… comunità che voglio ringraziare». All’improvviso centinaia di post sui social, un profluvio di articoli sui principali giornali, intellettuali, artisti, tutti a intervenire sulla vicenda, a fare sentire la loro vicinanza ad Antonio, parliamo di una comunità internazionale di decine di migliaia di persone, una rete di relazione intessuta, ricamata nei decenni, che vedono l’Atelier sul Mare come snodo e luogo di incontro di flussi e tendenze artistiche, una famiglia che si è fatta sentire. «È mio figlio, il museo-albergo è mio figlio, e io sono un padre di settanta anni». Ma se l’Atelier sul Mare è suo figlio, questa comunità che ha fatto sentire potente la sua voce, vede l’albergo-museo come un fratello, e Antonio Presti come un “padrino” nel senso spirituale del termine. Ma questa comunità, gli dico, l’hai creata tu. È la comunità che ti sta ringraziando. Antonio si fa serio, gli occhi gli si illuminano: «Era da tempo che non sentivo la comunità così attiva, come se si fosse risvegliata da un torpore, per questo io ringrazio l’ingratitudine, ha fatto manifestare una presenza di cui forse si percepiva l’assenza…».
Una comunità fatta di pittori, scultori, scrittori, poeti, scienziati, una comunità che in questo lungomare ha parlato di Tempo, di Spazio, di Fisica Teorica, di Principio e di Fine, di come tutto questo andasse raccontato con la materia, con le parole, con le azioni, con i gesti artistici. L’Atelier sul Mare è una performance attiva da decenni. E il silenzio di queste stanze e di queste corridoi è arte anche questo, un luogo “magico”, non uso a sproposito questo termine: quello che succede qui si trasforma in arte, anche una ispezione dei Nas. D’altronde è stata sempre questa la storia della Fiumara.
Antonio, gli dico, ma non è bellissimo essere di nuovo «non a norma»? Perché è così che la Fiumara d’Arte inizia la sua storia, con “La materia poteva non esserci” di Pietro Consagra, alta diciotto metri: era abusiva e deturpava il territorio dissero. Oggi la trovate nel sito del Ministero della Cultura, ma quando fu costruita, con tutti i suoi rimandi metafisici (la domanda fondamentale di Martin Heidegger: perché c’è l’Essere e non il Nulla? La “Domanda” alla quale la fisica teorica cerca – e a volte dà – una risposta) era abusiva e deturpante. Alle spalle della scultura c’era e c’è l’immenso viadotto dell’autostrada, che è a norma e non deturpa. Antonio, gli dico ancora, non lo vedi come un reset? Sei stato spento e riavviato, adesso diventi più veloce. Gli strappo un altro sorriso: «Che storia, i processi, le carte bollate… poi la mafia, gli attentati, la bomba… in quel periodo nasceva l’antimafia, ma oggi, io penso, non deve più essere il tempo dell’“anti” o del “contro”, adesso bisogna essere “per” e “pro” la Bellezza». E aggiunge: «Ancora più veloce devo diventare? Ho appena finito la Porta delle Farfalle a Librino!».
Per chi non lo sapesse (ancora: ma davvero c’è qualcuno che non lo sa?) gli atti artistici di Antonio non si fermano soltanto da queste parti, nella costa nord della Sicilia, a Catania dopo “La Porta della Bellezza” è stata inaugurata da qualche mese “La Porta delle Farfalle”, un chilometro e mezzo di installazione in bassorilievi ceramici che trasformato un viadotto (la vendetta di Presti contro i viadotti) in opera monumentale i cui artefici e protagonisti sono gli abitanti di Librino, opera alla quale hanno partecipato gli istituti d’arte di mezza isola, che ha coinvolto centinaia di artisti, decine di migliaia di ragazzi: «Sento rispetto a Librino, hanno capito che le “Porte” sono loro, nel senso di appartenenza e di essenza, le aiuole sono curate, non manca una pianta», perché questa è la “mission” di Antonio, non chiudersi in una élite colta – e avrebbe potuto farlo, bastava prendere il “suo” Consagra o la “sua” Finestra sul Mare di Tano Festa e venderla a un qualche collezionista russo o giapponese, invece di donarla al territorio – ma scendere in mezzo – o sollevarla come un Titano – la folla e renderla consapevole della Bellezza.
Ma insomma Antonio, si riapre o no? È questa la domanda alla quale tutti vogliamo una risposta.«Mi sento sfregiato, certamente non posso riaprire adesso, la stagione è finita, non troverei personale, il danno è stato enorme, oltre a quello spirituale c’è il danno economico, entrate che ho sempre reinvestito in progetti, in doni, non so.. a questo punto io non so cosa dire». Andiamo in riva al mare. Davanti a quel blu alla quale è dedicata la finestra di Tano Festa in memoria di Pasolini. Sorrido, gli dico: a proposito di norma, te lo ricordi mio papà? Quando perse mia mamma voleva sempre venire qui. Si mangiava la norma della signora Maria. Norme e genitori scomparsi. Gemme racchiuse nelle menti. Perché l’Atelier sul Mare non è solo un albergo, non è solo un museo, non è fatto soltanto dalle stanze d’arte, dalle opere monumentali, dalle mille attività che qui nascono, è fatto anche di ricordi. Ricordi di centinaia di migliaia di persone che qui si trasformano, anche quelli, in opere d’arte. Assumendo significati che oltrepassano. Amori, concepimenti, idee, illuminazioni, scoperte, riscoperte, abbandoni e riconciliazioni, emozioni, visioni, sogni, che passano sopra gli occhi di chi ci è stato, opere individuali accanto alle opere collettive, minuti paradisi da custodire e cullare privatamente. Lo sguardo si posa sopra l’orizzonte. Di una cosa siamo convinti, io e Antonio: il nostro passato è e sarà anche il nostro futuro. Mentre sotto una leggera brezza inizia a increspare il mare.