Daniele Abbiati, Il Giornale, 6 I 2016.
Guareschi, un emarginato da Nobel per la letteratura
Nel 1965 l’Accademia di Svezia voleva premiarlo. Per i conformisti di casa nostra invece non era degno di nota…
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Sarà provinciale dirlo, ma molto spesso il Nobel per la Letteratura è un premio al milite ignoto (o quasi). Quando poi si pensi che esiste un esercito di generali, condottieri e in qualche caso autentici eroi del romanzo che non lo hanno vinto, tipo Tolstoj, Proust, Borges e compagnia scrivendo…
Un provinciale ben più nobile di noi (da Nobel, appunto…), anzi il provinciale per eccellenza, di penna e di gloria, ahinoi e ahilui quasi tutta postuma avrebbe potuto vincerlo, il premio dell’Accademia Svedese. Lo rivelano proprio gli archivi del sancta sanctorum scandinavo risalenti a mezzo secolo fa, anno di disgrazia (per il Nostro) 1965.
Ebbene sì, Giovannino Guareschi figurava nelle nominations, accanto a nomi grossi come Anna Akhmatova, Marguerite Yourcenar, Ezra Pound, Georges Simenon, Giuseppe Ungaretti e molti altri. Il suo sponsor? Mario Manlio Rossi, all’epoca professore di filosofia e letteratura all’Università di Edimburgo. Non a caso, un italiano all’estero. Perché l’Italia di cinquant’anni fa, l’Italia poverella del boom economico e ricca d’inventiva ma governata dai monocolore democristiani, l’Italia della commedia all’italiana, aveva messo la sordina al dramma del papà di Peppone e Don Camillo. In fondo, dieci anni prima era stato in galera per la nota questione del «Ta-pum del cecchino» non gradita a De Gasperi, e dunque non era percepito come uno stinco di santo, nonostante l’intercessione del suo amico parroco. Pensate, in occasione della sua messa al gabbio, durante un’allegra cena conviviale al «Bagutta» di Milano affollato di bella gente, s’era addirittura brindato alla lieta novella, presente fra gli altri, come relazionò Indro Montanelli sul Candido, il sommo poeta Eugenio Montale.«Guadagnati coi libri dei quattrini – ricordava nel ’65 Guareschi – ho tentato di fare l’agricoltore e l’oste, con lacrimevoli risultati per me, per l’agricoltura e per l’industria turistico-alberghiera del mio paese. Adesso sono pressoché disoccupato, perché nessuno in Italia, eccettuato un amico di Roma, ha l’incoscienza di pubblicare i miei articoli e disegni politici. Ma io non mi agito e mi limito ad aspettare tranquillamente che scoppi la rivoluzione». Alle Roncole aveva aperto un piccolo ristorante e collaborava con la Paul Film scrivendo testi per i caroselli pubblicitari…Morirà tre anni dopo, Giovannino, il 22 luglio del ’68 (22 luglio, come Indro). E Baldassarre Molossi, sulla Gazzetta di Parma, fu tra i pochissimi a ricordarne come si doveva la grandezza: «Giovannino Guareschi – scrisse il 25 luglio – è lo scrittore italiano più letto al mondo con traduzioni in tutte le lingue e cifre di tiratura da capogiro. Ma l’Italia ufficiale lo ha ignorato. Molti dei nostri attuali governanti devono pur qualcosa a Guareschi e alla sua strenua battaglia del 1948 se oggi siedono ancora su poltrone ministeriali, ma nessuno di essi si è mosso. Nessuno di essi si è fatto vivo . Anche Giovannino Guareschi ormai riposa al cimitero dei galantuomini. È un luogo poco affollato. L’abbiamo capito ieri, mentre ci contavamo tra di noi vecchi amici degli anni di gioventù e qualche giornalista, sulle dita di due mani». C’erano infatti Nino Nutrizio, Enzo Biagi, Enzo Ferrari. Gli altri, non pervenuti. L’infarto che si era portato via il deus ex machina di un Mondo piccolo ma anche grande era stato derubricato a lieve infreddatura, giudicando dai titoli di alcune testate. «Malinconico tramonto dello scrittore che non era mai sorto», borbottò in stile trinariciuto l’Unità. Ma i cattolici non furono da meno, tutt’altro. Il Nostro Tempo, espressione diretta della curia di Torino, lo omaggiò con l’elegantissimo titolo «Guareschi diede voce all’italiano mediocre». L’articolista, Elidio Antonelli, incominciò così il suo pezzo: «Era un uomo finito». E lo concluse così: «Fu in definitiva un corruttore». Evidentemente, contava di cavarsela con due Ave Maria e un Pater noster. Poco lungimirante, oltre che poco informato, don Lorenzo Bedeschi sull’Avvenire: «Peppone e don Camillo sono premorti al loro autore».Insomma, prima di ringraziare a posteriori l’oscuro professor Mario Manlio Rossi per la candidatura di Giovannino, e prima di chiederci se ce lo siamo davvero meritati, uno scrittore come Guareschi, testimone e custode di un’Italia orgogliosamente provinciale e onesta di qualsiasi colore fosse, il nostro Bernanos al lambrusco, il nostro Turgenev in bicicletta, dovremmo chiederci che cosa abbiamo fatto di male per aver avuto questi tromboni che suonavano lo spartito del regime. Del resto, se le colpe dei padri ricadono sui figli, quelle dei nonni mettono ko i nipoti.Nel ’65, il premio Nobel per la Letteratura andò al russo Michail Aleksandrovic olochov, autore di Il placido Don. Il Don sarà anche placido, ma il Po è ancora lì che piange la morte di Guareschi.