Numix Agency, Corriere della sera, 19 VI 2016.
I VISIONARI CHE HANNO FATTO LA STORIA
I visionari sono gli eroi del nostro tempo. Li ha da poco celebrati il Salone Internazionale del Libro di Torino, intitolato proprio Visioni, provando a riflettere sull’importanza che i grandi sognatori, capaci di guardare lontano e innovare seguendo il proprio istinto e la propria intuizione, hanno sempre avuto nella storia del made in Italy.
A qualsiasi ambito si guardi – dall’arte alla scienza, dall’industria all’enogastronomia, dalla letteratura al cinema – se non ci fossero stati i grandi visionari, l’umanità si sarebbe fermata e l’Italia non avrebbe conosciuto buona parte della sua bellezza e del suo genio. La kermesse torinese ha reso omaggio alla categoria puntando sulla scienza, con testimonial come il fisico Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di Tecnologia (IIT) mecca internazionale per la robotica e le nanotecnologie, e il ricercatore Guido Tonelli che al Cern ha permesso di scoprire, insieme a Fabiola Gianotti, il celebre bosone di Higgs.
Ma, naturalmente, i visionari non sono solo scienziati. La storia italiana – passata, recente e contemporanea – è costellata di imprenditori che hanno saputo applicare la “giusta visione” al loro presente, consapevoli che ogni generazione sia chiamata a riscrivere la propria storia con linguaggi nuovi. Lo aveva intuito già Johann Wolfgang von Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se vuoi possederlo davvero».
Un pensiero che è stato senz’altro di ispirazione per Giulio Ferrari, pioniere della viticoltura di montagna, il primo uomo a intuire la straordinaria vocazione enologica della terra trentina e il primo a diffondere lo Chardonnay in Italia.
All’inizio del Novecento, Ferrari capì che all’ombra delle Dolomiti, grazie a un microclima speciale fatto dell’alternarsi di giornate calde e notti fresche, i grappoli avrebbero sprigionato un’armonia di aromi e profumi dando origine a vini di straordinaria eleganza. La sua visione funzionò: Trento D.O.C. è la prima Denominazione di origine controllata nata in Italia esclusivamente per il Metodo Classico e la seconda al mondo dopo la Champagne. E il sogno del giardino vitato tra i monti, portato avanti con successo dalla famiglia Lunelli, ha contribuito a far brillare l’Italia come eccellenza vinicola nel mondo.
E se Ferrari è il simbolo del brindisi italiano tout court, è impossibile non citare un altro grande Ferrari, il visionario Enzo.
Un sognatore che ha saputo coniugare lusso, sport e velocità trasformando la sua azienda in un impero e quel cavallino rampante, staccato dalla carlinga dell’aereo di Francesco Baracca come dono per la prima vittoria in F1, in uno dei simboli del Made in Italy nel mondo. In una delle rare interviste concesse alla stampa, Enzo Ferrari confessò: «Spesso mi chiedono quale sia stata la vittoria più importante di un’autovettura della mia fabbrica e io rispondo sempre così: la vittoria più importante sarà la prossima».
Bastano queste parole a tratteggiare lo spirito di un visionario d’altri tempi, pronto a cogliere le sfide più ambiziose, come quella di battere la sua ex scuderia Alfa Romeo con una vettura di sua costruzione, ma senza usare per almeno quattro anni il nome Ferrari.
Negli stessi anni in cui la “rossa” di Maranello spiccava il volo, un altro visionario si preparava a rivoluzionare le vite degli italiani con un mezzo di trasporto. Si tratta di Enrico Piaggio, l’ingegnere honoris causa che ha sognato e creato la Vespa.
La forza della visione di Piaggio è stata quella di far progettare un ciclomotore diverso da tutti gli altri, che non richiedesse la scomoda guida a cavalcioni, pratico da guidare anche con la gonna o addirittura con l’abito talare.
Innovativa la forma, innovativa la meccanica, con molte idee “rubate” al mondo dell’aeronautica, dal motore coperto al telaio portante, fino al celebre cambio sul manubrio.
Bocciato il primo prototipo chiamato Paperino, Piaggio il lungimirante si affidò a un ingegnere che “odiava le motociclette”, Corradino D’Ascanio, e con in mano il disegno di un uomo totalmente disinteressato dettò le direttive di un modello destinato a entrare nella storia del design industriale e nei musei di tutto il mondo, dalla Triennale di Milano al MoMa di New York.
La forza delle grandi idee imprenditoriali è questa: generare abitudini collettive di massa, firmare usi e costumi di un’intera nazione.
Lo stesso fece Alfonso Bialetti, torinese emigrato in Francia, che al rientro nella fonderia di famiglia mise a punto quella rivoluzionaria invenzione chiamata moka, poi trasformata dal figlio Renato in un must have mondiale da un milione di pezzi l’anno, grazie anche a una efficace strategia aziendale e alla geniale creazione del famoso “omino coi baffi”, caricatura dello stesso Bialetti, disegnato da Paul Campani nel 1953.
Di visione in visione, ripercorrere le vite dei geniali imprenditori italiani è come attraversare una miniera d’oro: ovunque si scavi, si trova qualcosa di prezioso. Quello che più affascina è l’intreccio indissolubile tra uomo, idea e sistema Paese. Lo stesso che identifica la storia di Adriano Olivetti, ideatore della prima macchina per scrivere portatile ma anche editore, scrittore, uomo di cultura. Un visionario che, mentre lanciava sui mercati internazionali un’impresa da 36mila dipendenti, metteva a punto un progetto culturale, sociale e politico in anticipo sui tempi. Basti pensare che, se oggi ancora ci stupiamo per gli scivoli o i tavoli da biliardo nelle sedi di Google, negli anni Cinquanta Olivetti chiamava architetti come Pollini e Zanuso a progettare interi quartieri per i dipendenti, artisti come Guttuso a dipingere le sale riunioni, musicisti come Luigi Nono a dirigere concerti per gli operai, creava in fabbrica una biblioteca da 50 mila volumi consultabile durante i turni di lavoro. E a chi gli muoveva critiche invidiose rispondeva: «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica».
Ogni generazione vanta nuovi talenti capaci di lavorare nel solco dei predecessori, ma stravolgendo le regole del gioco. Nomi ancora poco noti, ma che promettono di far parlare di sé, come quelli di Vito Pertosa e David Avino. Il primo è presidente e amministratore delegato di MerMec SpA, azienda pluripremiata per l’innovazione tecnologica al Mit di Boston, nella Silicon Valley e in Italia, indicata tra le 30 società europee che sviluppano più innovazione e appena chiamata in Australia ad aprire un centro di ricerca e sviluppo. Il secondo, fondatore e amministratore delegato di Argotec, è il “visionario del gusto” che studia e mette a punto lo space food, e che ha offerto il primo caffè in orbita a Samantha Cristoforetti. Nel suo menù per viaggiatori spaziali, messo a punto con un’equipe di chef, ingegneri, tecnologi alimentari ed esperti nutrizionisti, ci sono persino i presidi Slow Food. Il futuro è servito.