Diego Fusaro, blog su Il Fatto Quotidiano, 9 I 2020
Il turbocapitalismo vuole tutto per sé. Per questo non può tollerare la religione e il sacro
Entgoetterung, “sdivinizzazione”. Era questo il neologismo che Martin Heidegger impiegava per esprimere il Tod Gottes, la “morte di Dio” evocata da Nietzsche. Il tempo del tecnocapitalismo planetarizzato è il tempo della morte di Dio e del sacro: l’epoca in cui l’essente nella sua totalità deve essere disponibile per la volontà di potenza illimitatamente autopotenziantesi; la quale non può ammettere zone franche e, dunque, lo spazio inviolabile del sacro e della trascendenza teologica.
A ben vedere, la struttura dell’odierno cosmomercatismo flessibile e assoluto è, insieme, per paradossale che possa apparire, sdivinizzata e teologica, atea e monoteistica, laicista e religiosa. È sdivinizzata, atea e laicista nella misura in cui, come si è adombrato in “Il futuro è nostro” (Bompiani 2014), spezza il legame con le tradizionali forme della trascendenza e del sacro: promuove l’ateismo consumistico, il laicismo edonistico, il piano liscio e desimbolizzato del mercato, l’egoismo individualistico acquisitivo, la riduzione concorrenziale dell’altro a semplice strumento.
Il turbocapitalismo totalitario e no border si presenta, poi, come una struttura intrinsecamente teologica, monoteistica e religiosa. Infatti, pone come proprio fondamento assoluto il mercato divinizzato monoteisticamente e “vincola” (religat) tra loro gli esseri umani nel credo liberoscambista e nel nichilismo consumistico, raison d’être dell’insocievole socievolezza della smithiana commercial society globalizzata.
Promuove nuove forme di fede nell’irrazionale (in primo luogo il credo quia absurdum degli economisti, la loro dogmatica fedeltà al mito della crescita infinita nell’orizzonte finito del pianeta) e di reincantamento mistico: pone gli esseri umani dinanzi ai loro prodotti – borse, titoli e merci – come di fronte ad altrettante divinità onnipotenti, che solo possono essere ossequiosamente assecondate.
Nello scenario della stregoneria del capitalismo high-tech come religione della vita quotidiana, gli uomini si trovano in balia di forze mistiche, insondabili e divine, appellate “recessione”, “razionalizzazione”, “spending review”, “ridimensionamento”, “delocalizzazione”, “debito”, “crollo della domanda di mercato” e in molte maniere ancora.
Tale divinizzazione del mercato, tipica del tempo della morte di Dio, trova conferma, exempli gratia, nelle pagine a timbro quasi mistico di Friedrich von Hayek: nelle quali – così nel saggio “The Use of Knowledge in Society” – l’ordine mercatistico è definito come “ciò che supera notevolmente la portata della nostra comprensione, i nostri desideri e obiettivi, e le nostre percezioni sensoriali; è ciò che incorpora e genera quella conoscenza che nessun cervello individuale o singola organizzazione può possedere o inventare”.
La Entgoetterung, la “sdivinizzazione” evocata da Heidegger corrisponde, pertanto, a un processo di messa in congedo del divino e del sacro e di convergente ridivinizzazione del mondo saturato dalla forma merce, ipostatizzato in nuovo Assoluto, glorificato dalle omelie neoliberiste: dalla teologica economica e dal verbum misticum dei sacerdoti del management denazionalizzato.
In ciò riposa il carattere falsamente emancipativo delle forme oggi imperanti dell’ateismo e delle offensive desacralizzanti ai danni del divino, proprie dell’armata Brancaleone laicista: la sola realtà che ne risulti emancipata è, di fatto, il nesso di forza capitalistico, esso stesso divinizzato, sacralizzato e ipostatizzato in una nuova teologia laica e immanente.