Francesco Guerrera*, La Stampa, 27 VIII 2020
Disastro Covid: 60 milioni di nuovi poveri. Così si inceppa la macchina del capitalismo
Senza la promessa di potersi arricchire, il sistema rischia di non essere più accettato.
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Per chi ama il cibo a Londra, Eater è destinazione obbligata. Un po’ come il nostro Gambero Rosso, il sito è pieno di notizie, recensioni e dritte su come godersi le migliori opzioni culinarie della capitale britannica.
Ma dall’inizio dell’epidemia, Eater ospita una pagina che fa solo tristezza: la lista di tutti i ristoranti che hanno chiuso per sempre per colpa del Covid-19. Lo stillicidio di nomi – dagli stellati Michelin ai “greasy spoons”, le bettole di quartiere – è emblematico dei devastanti effetti a lungo termine del virus.
Le conseguenze immediate della pandemia sulla crescita globale sono, ormai, ben note e proprio ieri l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha dichiarato che i Paesi industrializzati sono stati colpiti dalla più grande contrazione in almeno sessant’ anni. Ma economisti, politici e imprenditori dovrebbero prestare più attenzione alla lunga mano del virus. Questa malattia letale non ha causato una recessione “tradizionale”, da cui le economie si riprenderanno tra un po’ di anni, ma una vera propria “depressione” che porterà a cambiamenti profondi nel capitalismo mondiale, nell’imprenditoria e nelle società in cui viviamo.
Come ha detto la super coppia di economisti Carmen Reinhart e il marito Vincent Reinhart su Foreign Affairs: «L’economia globale non sarà più la stessa». Il primo, vero sconvolgimento del nostro sistema si può già vedere sulla triste pagina di Eater: certe imprese non riapriranno mai più, creando un circolo vizioso di disoccupazione, ansia e difficoltà finanziarie per milioni di persone.
A soffrire di più saranno i lavoratori più anziani, che hanno meno possibilità di farsi assumere, e quelli più giovani, che arrivano sul mercato del lavoro quando il bisogno di nuove leve è minimo (e che potrebbero essere penalizzati da un sistema educativo limitato dal virus). Il secondo problema che affliggerà l’economia mondiale per anni è il calo nel commercio internazionale. La riduzione nelle attività produttive ha decimato la domanda di beni e servizi, portando a un crollo sia nel volume sia nel prezzo delle esportazioni.
Secondo l’Organizzazione mondiale del commercio, gli scambi tra nazioni potrebbero scendere di quasi un terzo nel 2020 – il peggior risultato dagli Anni Trenta. Il terzo aspetto duraturo di questa depressione è l’accumulazione di debito, pubblico e privato. Lo stimolo gigantesco di governi e banche centrali – circa 11 triliardi di dollari – dovrà essere ripagato prima o poi. Alcuni Paesi poveri, come l’Ecuador, stanno già chiedendo ai creditori di ristrutturare i propri debiti.
Ce ne saranno molti altri. E le tante aziende con finanze labili li seguiranno presto. Il filo conduttore di questo imbroglio economico porta a una conclusione allarmante: i ceti bassi rischiano moltissimo. Secondo la Banca mondiale, l’epidemia spingerà fino a sessanta milioni di persone in condizioni di «estrema povertà».
Disoccupazione, de-globalizzazione e bolle di debito minano il principio-chiave del capitalismo occidentale: che chi diventa ricco grazie a questo sistema ricompensi (in parte) chi soffre a causa dello stesso sistema, o attraverso le tasse o attraverso l’innovazione e prodotti. È facile farlo quando un Paese cresce, perché ci sono più risorse disponibili per tutti. Ma cosa succede se l’economia rimane anemica per decenni? Come risponderanno “i perdenti” incantati dalle sirene del populismo, del razzismo e del nazionalismo? Il virus che non conosce confini sta gettando una lunga, spettrale, ombra sul nostro futuro.
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* Francesco Guerrera dopo essersi laureato in giornalismo e economia alla City University di Londra, si è specializzato in giornalismo finanziario. È stato Business Correspondent per The Independent, il quotidiano londinese, prima di passare al Financial Times. All’FT, è stato European Correspondent a Bruxelles, Asia Financial Correspondent a Hong Kong e poi Business Editor e Business e Financial Editor a New York durante la crisi finanziaria del 2008-2009. Dopo un decennio al Financial Times, Guerrera è passato al Wall Street Journal come caporedattore di finanza e mercati e Editor della Money & Investing section. Collabora a La Stampa. Ha ricevuto il Foreign Association Press Award e il Premio Ischia. E’ un grande tifoso dell’Inter.