Intervista di Pietro Senaldi, Libero Quotidiano, 1 V 2018
“Sono in carrozzella ma felice”
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Maresciallo, buongiorno
«Ma quale maresciallo, mi chiamo Giuseppe».
Lo so, però il rispetto dell’ Arma impone…
«Rispetto dell’ Arma sempre e sopra ogni cosa, ma io mi chiamo lo stesso Giuseppe».
L’incontro con il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Giangrande è una pentecoste laica. È vittima di una tragedia assurda, una sorte bastarda e definitiva gli si è abbattuta contro senza che egli ne portasse neppure un’ ombra di colpa, eppure lui conserva una serenità di spirito che ti stupirebbe in un francescano, figurarsi in un uomo d’azione che per quarant’anni ha girato con la pistola nella fondina e dal quale ti aspetteresti rabbia e sete di vendetta. È un uomo semplice e sfortunato Giangrande, con il grande dono di un’ umanità rara e di una forza morale non incrinabile.
Una domenica pomeriggio di fine aprile di cinque anni fa, inizio di legislatura era di guardia nella piazza antistante Palazzo Chigi quando un uomo cominciò a sparare contro di lui e i suoi colleghi. Nel tentativo di disarmarlo, Giangrande rimase ferito gravemente. Oggi è in sedia a rotelle e non potrà mai più camminare. Ha subito svariati interventi ma può muovere solo il collo e un poco le braccia, senza però avere capacità prensili. «È impensabile che mi rimetta in piedi» spiega, «la lesione alla colonna vertebrale è molto alta, arriva fino alle scapole; forse, se la terapia andrà bene, i nervi potranno essere un giorno ricollegati ai muscoli e potrei recuperare l’ uso delle mani». Non è una differenza da poco, ma il maresciallo ne parla come se fosse nulla, una tappa nel percorso della vita.
Come va, Giuseppe?
«Bene, mi sto curando. Ci vuole tempo, si fa un passo avanti e due indietro. Sono assistito molto bene ma uno fa un progresso e poi subentrano nuove complicazioni sanitarie. Però dopo 5 anni mi ritengo fortunato».
Fortunato?
«Sì, perché tutti i giorni appena mi sveglio vedo mia figlia, l’ unica cosa che mi è rimasta. Vive ancora con me, qui a Prato. È libera di andarsene in ogni momento, ma ha deciso di dedicarsi a me. Ma non siamo soli, la casa è frequentata, proprio ieri è passato a farmi visita il generale Del Sette. L’Arma dei carabinieri è una famiglia, mi assistono, vengono a trovarmi, mi danno tutto quello di cui ho bisogno».
E la politica, per difendere la quale ha dato gambe e spina dorsale?
«I politici sono presenti. Più volte mi hanno chiesto di candidarmi ma non ho mai voluto rivendere politicamente la mia esperienza. Voglio restare senza regola né peccato, libero di dire ciò che voglio senza che qualcuno mi rinfacci di essere di destra o di sinistra».
Un posto in Parlamento significa tanti soldi, una persona nelle sue condizioni non ne ha bisogno?
«Cosa conta il denaro sulla terra? Per me, poco. Io ho quello che mi serve e non mi interessa altro. Per me conta quello che vedo con i miei occhi e che conosco, la solidarietà della gente, la vita».
Ha votato?
«Mi astengo».
Ma lei è di destra o di sinistra, in genere si dice che le forze dell’ ordine siano di destra?
«Ci tengo a restare illibato, non appartengo a nessuno schieramento. Nella mia vicenda voglio evitare strumentalizzazioni e confusione. Non mi candido perché sono e sarò sempre un carabiniere».
Ha sempre desiderato esserlo?
«Lavoravo in una pizzeria a Monreale, nel 1980. Si fermavano le pattuglie, erano anni pesanti in Sicilia ma io ero affascinato da quegli uomini. Non ero neppure maggiorenne quando ho lasciato casa per arruolarmi. Ho sposato le leggi dello Stato e la fedeltà all’ autorità, qualcosa di più grande di me: ai carabinieri ho dato tutto, comprese gioventù e salute, e ho avuto tutto, cosa vuole che me ne importi della politica?».
Cosa le ha insegnato l’ Arma?
«A rispettare le regole e a entrare in contatto con la gente: disciplina e umanità. Nei carabinieri c’ è un passaparola tra le generazioni, i colleghi anziani ti insegnano come affrontare il prossimo e a essere coerente con te stesso. Per questo i carabinieri sono un punto di riferimento per tutta la società e sono molto amati».
Due alti gradi dei carabinieri sono stati appena condannati a 12 anni di carcere per la trattativa Stato-mafia: un’ ingiustizia?
«Sono cose che vanno sopra di me, non sono in grado di risponderle».
Cosa pensa quando ricorda quella domenica di cinque anni fa?
«Che era un giorno qualsiasi e che doveva andare in quel modo. Se non avesse colpito me, Preiti avrebbe colpito qualcun altro, ma il risultato non cambiava».
Ci pensa spesso?
«Sinceramente no, bisogna vivere guardando avanti, altrimenti è finita.
E questo vale anche se non sei in carrozzella. A quel pomeriggio non ci penso più, ormai il mio nuovo corpo è diventato un’ abitudine e tutto mi è scivolato via. Ero uno sportivo, correvo, facevo palestra, andavo in bicicletta.
Me ne sono fatto una ragione e ho messo la retromarcia. Ho sostituito tutto con la fisioterapia, ora in palestra per me ci va Martina, mia figlia».
Che cosa pensa di Luigi Preiti, (condannato a 16 anni in appello, ndr) l’ uomo che le ha sparato?
«Di lui non mi importa nulla. Non lo penso e mi va bene così. Tanto quel che ha fatto non può cambiare, non si può andare né avanti né indietro».
È un pazzo, un disperato, un bastardo?
«È uno che odia la politica e nell’ impossibilità di sparare a un ministro ha attaccato noi con la divisa, perché ci ha identificato come servitori dello Stato. Non è un pazzo né un disperato, è un violento. Voleva colpire la casta e se l’ è presa con me, che certo non sono casta. È stata una fatalità, inutile rimuginarci sopra».
L’ ha mai incontrato?
«No e non lo farò mai, come non lo perdonerò mai. Sono un cristiano e porto la croce, ma il perdono no. Mi ha scritto due lettere ma io le ho girate agli inquirenti senza dedicarvi attenzione».
Dove trova tutta questa forza?
«Non mi sono fatto assistere da psicologi, se questa è la domanda. Il segreto è saper vivere. Io ho trovato un senso alla vita anche così e ora sono tranquillo e beato. Mi aiuta il mio carattere e il fatto di essere entrato nei carabinieri a 17 anni: l’ Arma ti forgia, ti fa diventare un uomo. Non ho mai momenti di abbattimento o depressione. Anche perché ho intorno a me tanta solidarietà, e fra i primi a darmela sono stati i lettori di Libero, che voglio ancora ringraziare».
In un mese, dopo l’ attentato, abbiamo raccolto 300mila euro: l’ ha stupita la generosità dei lettori?
«Mi ha commosso ma non mi ha stupito. Sapevo che gli italiani sono generosi. Quei soldi però sono per Martina, che si sta sacrificando per me. Per il suo futuro, quando sarà grande».
Ma Martina è già grande
«Sì, intendevo per quando potrà lasciarmi e fare la sua vita. Potrebbe anche adesso, io non la obbligo certo, esce, fa sport, vede le sue amiche».
Ha una figlia eccezionale, lasciò il lavoro appena trovato per dedicarsi a lei.
«Merito di mia moglie, l’ ha educata lei, con severità e un po’ di disciplina militare. È scomparsa tre mesi prima dell’ attentato. Gli anni dispari sono da cancellare, dice sempre Martina».
Lei si è sacrificato mentre faceva la guardia ai palazzi della politica: cosa pensa dello spettacolo di questi giorni, due mesi senza governo?
«Mi auguro, per il bene dello Stato e dei cittadini, che presto riusciremo ad avere un governo. Però penso che in Italia siamo alle solite, non si arriva da nessuna parte. Non avremo mai una stabilità vera e un partito che possa dare una direzione precisa al Paese. I politici parlano tanto ma io credo che nessuno sia in grado di cambiare davvero le cose».
Perché tanto pessimismo da una persona positiva come lei?
«A settembre faccio 55 anni. Da giovane votavo e quando i politici venivano a Palermo a fare i comizi mi arrampicavo sui piloni con i miei amici per sentirli parlare. Però era gente di un’ altra tempra, oggi non ci sono politici ma solo politicanti che parlano per slogan e sono distanti dalla gente e dai suoi problemi».
Cosa vorrebbe da un politico?
«Chiarezza. Apprezzo chi mette i puntini sulle “i” e offre concretezza. Invece questi dicono un giorno una cosa e il giorno dopo l’ opposto. Lo pensavo anche prima dell’ incidente».
Cosa vede nel futuro?
«Cose belle, sono un ottimista».
Come sono le sue giornate?
«Ho amici, ricevo tante visite, perfino il Papa è venuto a Prato. E poi vado nelle scuole superiori a portare la mia testimonianza».
E i ragazzi di oggi?
«Hanno paura del futuro, sanno che non potranno contare sullo stato sociale e che incontreranno molte difficoltà nel lavoro».
Gli studenti che incontra hanno dieci anni meno di sua figlia: quanto sono diversi?
«Parecchio. Oggi ci sono troppi beni di consumo, c’ è troppa tecnologia, sono schiavi di internet. Vivono una vita falsata. Sono convinto che molti episodi di bullismo siano originati semplicemente dalla voglia di mettere un video in rete, come è successo con quel professore di Carrara umiliato in classe. Non mi piace internet, ti spinge ad attaccare il più debole anziché aiutarlo e a insultare anziché riflettere».