Claudio Marinaccio, scrittore; blog omonimo su Huffington Post, 7 VIII 2020
Il chiacchiericcio è cannibale. Ovunque si trovino, per quella mamma e quel bimbo sia banale lieto fine
Una donna e un bambino sono scomparsi, una madre e suo figlio non si trovano più. La loro fotografia è condivisa un po’ ovunque e il volto di quella donna sorridente è un ossimoro visivo, un momento di felicità immortalato in un istante che nasconde una miriade di cose non dette e che nessuno può conoscere a parte lei. Quel volto, gettato nell’oceano non finito di internet, si unisce a tutti i volti delle persone che sono scomparse, svanite nel nulla. Perse in questa realtà iperconnessa, dove si condivide continuamente la posizione e si tracciano linee immaginarie e ricurve per ogni spostamento, fotografando luoghi e facce sorridenti per urlare a tutti: “Io esisto!”.
Sparire, quindi, è un gesto antico. Una ricerca di evasione dall’opprimente prigione di questa terra fatta di dogmi sempre più rigidi, mascherati da pensieri liberi. Un esilio volontario dalla vita e dal passato, una fuga di persone smarrite nei labirinti dell’esistenza, dove nell’animo si è conficcata la depressione, ma anche tanti altri demoni come la paura. Sentimenti oscuri che a volte prendono il dominio della mente e del corpo e fanno compiere gesti non convenzionali, deragliando dai binari di quella che viene considerata normalità. E questi fatti tristi sono corrosi dal chiacchiericcio viscido di chi vorrebbe enunciare una verità che non esiste, se non nell’individualità delle scelte dei protagonisti e in ciò che realmente accade.
Un lunedì, ai primi di agosto di molti anni fa, una madre e suo figlio, ai margini dell’autostrada A20, all’altezza della frazione di Torre del Lauro, si incamminavano lontano da quel luogo dopo un piccolo incidente, in fuga volontaria verso un desiderio di qualcosa di meglio, fuggendo dalla loro vecchia vita. La donna aveva quarantatré anni e il figlio solo quattro. Vivevano a un centinaio di chilometri da lì. Dopo alcuni giorni di ricerche, in cui in tanti avevano provato a dare una spiegazione plausibile per il gesto, il mistero si era risolto con il loro ritorno a casa. Stavano entrambi bene, un po’ stanchi e scossi, ma con una strana e nuova serenità. E quella serenità era diventata la serenità di tutti noi. Questo sarebbe quello che mi piacerebbe leggere un giorno, un banale lieto fine di una storia che sta riempiendo le cronache odierne e ancora adesso rimane oscura, coperta da una fitta nebbia di dubbi e misteri che coprono ogni cosa e, agli occhi di alcuni, rendono tutto così interessante.
Notizie come steroidi per stimolare il proprio io e metterlo al centro di tutto, per mostrare l’ego ipertrofico nutrito da opinioni strampalate, anabolizzanti che gonfiano i pensieri rendendoli dopati e malati. Non trovando mai pace in quello spirito ombroso che si nutre famelico di vite altrui, cannibalizzano e sacrificano il dolore degli altri per sentirsi migliori. Fingendo persino di dispiacersi. Ma di tutte le finzioni ignobili questa è la più patetica. Fingersi tristi per ricevere attenzioni è meschino.
Per fuggire bisogna avere una forza d’animo connaturata, il coraggio – in tutte le sfumature positive e negative del suo significato – di una scelta razionalmente complessa. Un distacco da tutto quello che succede, sperando che quello che ci sarà dopo sia meglio di quello che si è già vissuto. Non mi importa il futuro, né i motivi di quella scelta, spero solo che quella donna e quel bambino stiano bene, ovunque si trovino.