Beniamino Pagliaro, La Repubblica, 5 II 2019
Intervista a Fabio Vaccarono, AD di Google
IL DIGITALE NON CONOSCE RECESSIONE
Il paradosso del digitale italiano si svela proprio quando l’ economia è in frenata. Perché continua a crescere, nonostante tutto. «È difficile parlare di recessione perché i fenomeni che noi vediamo sono espansivi per natura», dice l’ amministratore delegato di Google Italia, Fabio Vaccarono. Il digitale non è più un settore a sé, spiega il manager, 47 anni, gli ultimi sette in Google, perché è «un fattore abilitante» che spinge il resto dell’ economia.
Quando però i settori tradizionali rallentano, quando l’ Italia ritrova la recessione, il digitale sembra non conoscere crisi. Vaccarono è convinto che invece l’ economia digitale rappresenti «l’ unica reale opportunità per l’ Italia. Il nostro dice – è un Paese adatto ad avere successo in questa epoca».
Perché questa opinione positiva?
«Nella prima fase della globalizzazione ci dicevano che eravamo brillanti o geniali, con le nostre aziende familiari, che però prima o poi avrebbero incontrato un problema di scala. Eravamo troppo piccoli e quando l’ economia di scala era tutto, questo era un problema. Ma la buona notizia è che in questo mondo digitale un produttore che sa fare una cosa bene, anche se è piccolo, un’ azienda familiare, un artigiano, è solo a un clic di distanza da un marchio che anni fa sarebbe stato irraggiungibile, perché aveva capacità distributive e di promozione incomparabili».
Cosa può significare per l’ Italia?
«In uno scenario economico mondiale complesso il digitale è davvero l’ unica reale opportunità di crescita per il nostro Paese, grazie alla possibilità che offre di esportare beni e servizi ma anche di generare interesse per le nostre eccellenze».
Ma sul digitale non siamo ancora indietro, come ci ripetono puntualmente le classifiche? Come sta l’ Italia digitale?
«Devo dire che “eppur si muove”. Il valore dell’ ecommerce italiano è raddoppiato negli ultimi quattro anni. Non c’ è un settore nuovo che sopravanza tutto quello che c’ era prima, e quindi o riesci a fare una Silicon Italy (che pure è benvenuta) o niente. In questa nuova epoca le eccellenze, protette dalla forza del Made in Italy, hanno spazio per internazionalizzare, diventare piccole multinazionali, trovare nicchie da decine di migliaia di consumatori».
Qual è un punto di svolta?
«Un po’ di svolte le abbiamo viste ormai. Tutte le grandi aziende italiane hanno una strategia digitale. Per un lungo tempo si sono rinviati gli investimenti nell’ ecommerce; a un certo punto, però, ci si è resi conto che in otto casi su dieci gli utenti italiani compravano da un provider straniero. La mancata opportunità è tutta sul lato dell’ offerta, delle imprese, e non sulla domanda».
In che settori cresce Google in Italia? Registrate la frenata dell’ economia?
«Non abbiamo evidenze di frenata. Una serie di settori più tradizionali, dall’ alimentare al design, alla moda, stanno crescendo molto con un consumatore globale che spesso ha più potere d’ acquisto che tempo.
L’ altro elemento è il nostro zoccolo duro di aziende medie e medio piccole, più dinamiche in questi ultimi anni. Stiamo lavorando molto per arrivare a un modello ibrido: il consumatore si muove tra negozi virtuali o fisici in modo agnostico. Il digitale potenzia e integra ma è ben lungi da sostituire pezzi importanti della catena del valore in tutti i settori».
Il governo ha inserito nella manovra 2019 la web tax che tasserà le vendite del 3% per le grandi imprese digitali. È coerente con l’ idea che le piattaforme possano essere un “fattore abilitante”?
«Ci muoviamo in un’ economia internazionale nella quale è normale che un’ azienda tenda a pagare la maggior parte delle proprie imposte nel Paese di origine. Il nostro corporate tax rate è del 26%. Comprendiamo che ci possa essere dibattito: se maturano delle comprensibili sensibilità sulla necessità di ammodernare, semplificare i meccanismi di tassazione, ben venga il dibattito e noi come sempre rispetteremo le nuove norme».