Gian Guido Vecchi, Corriere della sera, 19 IX 2020
CHI ERA LORENZO ROCCI, L’AUTORE DEL (MITICO) VOCABOLARIO GRECO-ITALIANO
Un’estate degli Anni Trenta, Roma, solito caldo atroce. Il padre gesuita Giuseppe Peri raccontava che era ancora un novizio e guardava con soggezione e un filo di sconcerto il suo maestro seduto alla scrivania «nella sua stanza piena di libri» mentre scorreva fra le mani svariate schede tracciate a penna, un’immagine che non avrebbe mai dimenticato: «Faceva impressione perché, da quanto era preso dal suo lavoro, per non perdere la concentrazione si dimenticava di togliersi il soprabito, ed eravamo in pieno agosto!».
Quello studioso perduto tra i suoi foglietti aveva un nome che all’inizio di ogni anno scolastico torna attuale e da ottant’ anni almeno due milioni di ragazze e ragazzi hanno associato a un oggetto dall’aspetto vagamente minaccioso, tanto amato quanto temuto, una sorta di monolite blu in forma di volume: Lorenzo Rocci, anzi «il Rocci», vocabolario di greco antico per antonomasia che gli studenti, in genere, non pensano di associare a un essere umano.
E invece «il Rocci» era un uomo in carne e ossa, un padre gesuita capace di portare a termine un’impresa quasi inconcepibile nell’età della Rete, tra pc, programmi di scrittura, copia e incolla e lavori di équipe. Padre Lorenzo fece tutto da solo, a mano: foglietto per foglietto, parola per parola, ricercando e trascrivendo lemmi e citazioni per vent’anni, dal 1920 alla prima edizione del 1939, più altri quattro tra le edizioni del ’41 e del ’43: 2.074 pagine, 4.148 colonne, centocinquantamila parole con relative traduzioni ed esempi. Fino a quel momento non esisteva un vocabolario greco-italiano pensato nella nostra lingua.
Circolavano traduzioni dal tedesco del Passow – il progenitore di tutti i vocabolari di greco, pubblicato nel 1819 – e dall’inglese del Liddel-Scott-Jones, stampato nel 1843. E così ci pensò quello studioso nato nel 1864 a Fara in Sabina – il padre era probabilmente un artigiano – ed entrato nella Compagnia di Gesù quando aveva sedici anni, a Napoli. Poi la capitale: studi teologici e filosofici alla Gregoriana, classici alla Sapienza, laurea in Lettere nella Regia università di Roma e, nel 1892, l’ordinazione sacerdotale.
Dal 1903 al 1920 aveva insegnato greco e latino nel Collegio dei gesuiti di Villa Mondragone, vicino a Frascati; ci tornò come preside dal 1939 al 1946, durante la guerra il collegio aveva nascosto sfollati ed ebrei. In mezzo, due decenni di lavoro sul vocabolario e la vita da religioso a Roma, soprattutto come confessore degli universitari alla Sapienza. Quando morì, nel 1950 – si racconta che il suo ultimo desiderio sia stato di fumarsi un sigaro – padre Lorenzo era già diventato «il Rocci». I diritti d’autore alla Compagnia di Gesù hanno finanziato per decenni missioni nei Paesi poveri e borse di studio.
Per cinquant’anni, di fatto, c’è stato solo «il Rocci», una sorta di monopolio finché, nel ‘ 95, uscì da Loescher «il Montanari». Nei licei classici continuano ad affrontarsi i sostenitori dei due partiti. Ma è la stessa Società editrice Dante Alighieri, che pubblica il Rocci, a riportare le parole del grande grecista e filologo Franco Montanari: «Il debito verso Rocci è indiscutibile perché è stato il frutto del lavoro di un uomo armato solo di schedine e appunti e privo di computer. Un opus magnum incredibile.
Per realizzare il mio dizionario hanno collaborato 30 ricercatori». Anche all’aggiornamento del Rocci, nel 2011, hanno lavorato 15 studiosi ed esperti. Il nuovo Rocci, tra l’altro, ha reso più comprensibili alcuni arcaismi nelle traduzioni e introdotto il grassetto a scandire lo scorrere indistinto dei lemmi che attentava alle diottrie dei ragazzi. Intanto è uscita un’edizione ridotta, il Rocci «Eisagoghé-Starter Edition».
Ma il fascino del monolite blu resta intatto come il timore reverenziale che lo accompagna. E resta la ricchezza di citazioni che ha aiutato svariati studenti («c’è tutta la frase tradotta!») nei compiti in classe. Un longseller dell’adolescenza, come Siddharta o Il giovane Holden, solo un filo più inquietante. Ma c’è poco da fare. Che siano i versi di Omero o Saffo oppure la prosa di Platone, la bellezza si paga cara: per coglierla, tocca affrontarlo.