Luciano Violante, Corriere della sera, 24 II 2018
Il moralismo immorale che produce la paralisi
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In un Paese moderno devono prevalere la capacità di dialogo e il rispetto, non è possibile andare avanti tra editti e insulti e coltivando il sospetto.
Miei cari amici moralisti immaginari,
ho deciso di scrivere a voi che siete stati parlamentari nella scorsa legislatura, o lavorate nei mezzi di comunicazione, o siete magistrati in diversi uffici giudiziari, o insegnate o studiate e che ho incontrato in tante occasioni. Voi, pur vivendo in posti diversi e tra loro lontani, pur essendo diversi per professione, gusti culturali e stili di vita, fate parte della stessa comunità. Un insieme di donne e di uomini, insoddisfatti delle vicende della politica e turbati dalle notizie di cattivo uso delle funzioni pubbliche, peraltro non raramente rivelatesi infondate, che hanno adottato il moralismo come parametro di valutazione delle attività politiche. Conseguentemente voi ritenete la politica regno del malaffare e la società civile luogo della innocenza. Io penso che voi siate in buona fede e non mi rivolgo quindi a coloro che invocano roghi, condanne, espulsioni ad ogni pié sospinto al solo fine di acquisire voti, ascoltatori o lettori, secondo la professione.
C’è certamente un grande bisogno di moralità nella vita pubblica come anche nelle relazioni private. Ed è quindi corretto richiamarne l’esigenza. Ma la morale è una risorsa limitata. Quando se ne abusa degrada in immoralismo o in giuridicismo. La morale, come spiegò Guido Calogero, consiste nel dialogo con l’altro, e cade in contraddizione con sé stessa quando è usata come strumento della lotta politica. Si scivola nell’uso immorale della questione morale. Siete contro il compromesso; ma Amos Oz, che di conflitti se ne intende, ha scritto: «Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte». Siete contrari forse perché avete confuso il compromesso con la consociazione, alla quale sono contrario anche io. Il compromesso si fonda sulla distinzione tra le parti e la mantiene. Il consociativismo annulla le distinzioni, crea grovigli, favorisce la irresponsabilità.
La politica deve certamente avere un’etica, fondata sul rispetto dell’altro e sulla prevalenza dell’interesse generale sugli interessi particolari. Ma l’etica non ha nulla a che fare con il sospetto generalizzato, l’insulto, il rifiuto della dignità dell’altro. In questo modo si sostituisce un integralismo settario ad una visione onesta del Paese e del suo futuro.
L’effetto di questa propensione è l’attribuzione del ruolo di guardiani della società alle Procure della Repubblica (bisogna difendere la magistratura dai suoi amici), il riconoscimento di un valore salvifico alla punizione, la costruzione di nuove inedite categorie a metà strada tra il diritto e la morale come quelle dei «coinvolti» e degli «impresentabili». Per voi la società è sempre innocente mentre il rapporto con chiunque eserciti una funzione pubblica è fondato sul sospetto.
Ma vi sfugge che in ogni corruzione al fianco del soggetto pubblicocorrotto c’è un privato cittadino corruttore, che di quella società civile fa pienamente parte. Avete applaudito quando una legge ha conferito alla magistratura il compito di confezionare le liste dei candidati ad una carica politica, sottraendolo ai partititi, con il loro irresponsabile consenso. Avete applaudito quando un’altra legge ha stabilito che basta il minimo sospetto, non indizio, sospetto, per impedire ad una impresa di partecipare ad una gara pubblica. Ogni arresto, ogni comunicazione giudiziaria sono per voi motivo di conforto; il proscioglimento è una sconfitta. Per voi vale quello che una volta mi disse un anziano magistrato piemontese: N’existent pas des accusées innocentes; existent seulement des juges maladroits.
Non dimentichiamo il caso di Ilaria Capua, scienziata e deputatanella legislatura appena conclusa. Era riuscita a isolare il virus dell’aviaria. È fra i 50 scienziati top di Scientific American. Fu oggetto di una campagna diffamatoria sostenuta da alcuni mezzi di comunicazione e da alcuni settori del mondo politico. Indagata per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso di ufficio e per il traffico illecito di virus. Si dimise dalla Camera, lasciò l’Italia, fu accolta con tutti gli onori negli Stati Uniti. È stata assolta pienamente da ogni accusa.
Il sospetto, frutto avvelenato di questo moralismo discriminatorio,sta bloccando la pubblica amministrazione. I pubblici funzionari rifiutano di esercitare la discrezionalità prevista da alcune leggi recenti perché temono di finire nel mirino del sospetto prima e poi delle Procure della Corte dei Conti o della Repubblica. Saranno probabilmente assolti; ma nel frattempo la loro reputazione è stata rovinata, la carriera bloccata, i risparmi, quando ci sono, consumati nelle spese legali.
Mi preme, infine, riflettere su un punto: un Paese moderno ha bisogno di fiducia. Il moralismo conclamato che diventa immoralismo distruttivo rischia di sommergere il Paese. La questione morale va affrontata non con editti e insulti, ma con la ferma ragione dell’etica del dialogo e del rispetto. Tra società civile e istituzioni pubbliche deve costruirsi una relazione di reciproca fiducia che, quando vengono effettivamente meno le ragioni della fiducia, permetta di valorizzare il merito e di colpire l’abuso, non il sospetto dell’abuso. Le condizioni economiche dell’Italia sono migliori, ma se prevalessero immoralismo e sfiducia i miglioramenti si svuoterebbero.
Mi scuso con tutti voi per questa specie di predica. Ho deciso di scrivervi perché dovremmo evitare che anche nella prossima legislatura, tra qualche settimana, il demone del moralismo immorale, sposato al silenzio di chi teme l’impopolarità, produca ulteriori distorsioni e più profonde paralisi.