Paolo Di Stefano, Corriere della sera, 3 III 2016
PSICOLOGIA NELL’ERA DIGITALE
Narcisismo di massa:
ecco perché il digitale ci rende autoreferenziali
Condividiamo ogni esperienza, anche banale, e misuriamo le soddisfazioni in «like».
«Io io io»: è un trionfo ovunque, in tv, sui giornali, nel web, nella vita quotidiana.
Nella psicologia dell’era digitale, una delle voci più rilevanti è quella del Narcisismo. Per la verità, un «classico» molto dibattuto di Christopher Lasch, datato fine anni 70, ci aveva spiegato quanto già allora la nostra vita fosse fondata su un individualismo esasperato diffuso a tutti i livelli: indubbiamente aveva visto lontano, non potendo immaginare che un giorno sarebbe arrivata la cosiddetta «sindrome selfie o Instagram». Nel 2007, Jean Twenge, psicologa dell’Università di San Diego ed editorialista del Time, aveva battezzato come Generation Me (ovvero Generazione Io, titolo di un suo famoso saggio) la deriva narcisistica, segnalandola come uno dei tratti più notevoli dei giovani americani. Dimostrando peraltro come l’«epidemia narcisistica», dal 1980 a oggi, sia cresciuta nella stessa misura dell’obesità. Del resto, anche in Italia, su questa strada abbiamo avuto numerose e significative diagnosi, a cominciare dallo studio sociologico di Vincenzo Cesareo e Italo Vaccarini che assume il narcisismo come una sorta di metafora della contemporaneità. «Io io io»: è un trionfo ovunque, in tv, sui giornali, nel web, nella vita quotidiana.
Allarme sociale
Ora, il Guardian, chiamando in causa Elan Golomb (autrice del celebre Trapped in the Mirror, «Prigionieri dello specchio») e un altro specialista, Pat MacDonald, rilancia l’allarme sociale: «È diventata una routine per le celebrità trasmettere le più banali informazioni e riempire Instagram con le fotografie dei momenti più importanti della loro giornata: il principio è che, per un personaggio famoso, nulla è banale». Il che fa pensare a Mark Zuckerberg che getta in pasto al clic compulsivo del popolo di Facebook le sequenze della neonata Max al primo vagito, al primo bagnetto, alla prima vaccinazione… È palese che la tecnologia funziona da volano orbeterraqueo per la propria autostima: e la quantità di «like» e di «follower» finisce per misurare il grado di soddisfazione degli interessati. Ma che cosa succede quando il meccanismo autopromozionale più comodo per personaggi mediatici tipo Paris Hilton o Cristiano Ronaldo diventa un modello davvero «virale», da imitare, anche per un adolescente di Abbiategrasso? Cesare Viviani, che è poeta e psicanalista, oltre che autore di acuti aforismi sui cambiamenti della vita sociale, ha una sua interpretazione del fenomeno: «Da una parte il narcisismo è il ripiegamento in sé dell’energia vitale, sottratta all’investimento negli altri: cioè alla possibilità di arricchirsi attraverso lo scambio di esperienze e al tempo stesso alla possibilità di perdere un po’ delle proprie certezze e della propria fisionomia mettendosi in gioco. D’altra parte il narcisista, con il suo senso di onnipotenza, negando l’esperienza vitale nega anche il limite della morte». Una sorta di risparmio energetico emotivo che si oppone all’iperattività nel consumo materiale: «La civiltà tecnologica», prosegue Viviani, «invita a risparmiarsi sul piano affettivo e a evitare le occasioni di confronto con gli altri, proprio mentre ti sollecita a consumare il massimo di tutto: si tende a sostituire le relazioni umane con l’investimento sugli oggetti, che rimangono dove li lasci, senza mettere in gioco la tua personalità».
Conseguenze nella crescita psichica
È anche vero che la capacità progettuale di individui appagati di sé finisce per essere necessariamente debole, se non assente: e quando questo diventa un male collettivo è l’intera società a soffrirne. Qui, secondo Viviani, entra l’aspetto educativo: «La tendenza dei genitori ad appagare ogni desiderio dei figli, per evitare anche il minimo conflitto, ha conseguenze nella crescita psichica. Sottrarre i propri figli alla prova dell’impegno, della responsabilità e anche della frustrazione… contribuisce a creare generazioni autogratificate e autoriferite per le quali l’altro è solo una presenza disturbante». Tra gli esempi più recenti del trionfante narcisismo, l’editorialista del Guardian Zoe Williams non esita a collocare il candidato repubblicano Donald Trump, capigliatura dorata da conduttore di varietà, eccentricità carnevalesca come sinonimo di successo e di ricchezza compiaciuta di sé. «L’esposizione in politica della propria onnipotenza», dice Viviani, «è una mina vagante, non solo per sé ma anche per gli altri». Certo, neanche in un romanzo di Philip Dick si riuscirebbe a immaginare un’America abitata da milioni di Trump. Ma è iperrealistico immaginare un mondo che aspiri a diventarlo.