Ci viene segnalata una Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (la n. 9042 del 1 aprile 2019) che seppure “vecchia” di tre anni si inscrive perfettamente nell’attualissimo contesto di messa in discussione di alcuni meccanismi che governano la Giustizia italiana.
In parole povere: un’associazione siciliana perde un ricorso al TAR contro la Regione Siciliana e quindi appella innanzi all’organo di secondo grado di giustizia amministrativa che nell’isola si chiama CGARS, ma pure qui perde.
L’occhiuta associazione, però, si avvede di un’anomalia (a suo modo di vedere): il giudice estensore della Sentenza d’appello del CGARS fa parte di questo collegio su designazione della Regione Siciliana e sempre su designazione della stessa Regione fa anche parte di un’importante Commissione speciale. Ritiene quindi detto giudice – quale rappresentante della sua controparte – inidoneo a svolgere le funzioni giudiziarie nella causa che la vede contrapposta alla Regione e affinché ciò venga accertato si rivolge alla Cassazione.
A sostegno del ricorso in Cassazione – il terzo di tutta la vicenda – i legali dell’associazione si appellano a principi altisonanti (terzietà, imparzialità e indipendenza dei giudici, separazione dei poteri e quant’altro si rinviene nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE ovvero nella Costituzione italiana), ma in ragione di altrettanto altisonanti principi (chi vuole può accedere all’integrale sentenza nel PDF in calce) la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso stabilendo che l’Associazione deve anche pagare, compensate le spese del giudizio, il doppio contributo unificato.
L’associazione, così, ha definitivamente perso. Anche perché nessuno (giudici e/o avvocati) ha mai applicato o invocato – né poteva, perché tecnicamente ininfluente in un’aula di giustizia – l’unico principio che sembrerebbe leso in tutta la vicenda a partire da quando venne composto il collegio dell’appello: quello del “buon senso”.
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Nell’immagine in alto Giurisprudenza di G. Klimt, 1903–1907