Pietro Senaldi, Libero Quotidiano, 12 VI 2022
Tira aria di rivolte sociali: ecco cosa succederà a ottobre
Non tira buona aria per l’economia, perciò non tira buona aria neppure per la democrazia. Quando i quattrini se ne vanno, vengono sostituiti dalla paura delle persone, che diventa rabbia verso le istituzioni. Se non vengono posti rimedi, essa in breve degenera in istinti di rivolta, che poi diventano sussulti e sfociano in tentativi.
In questi primi giorni di giugno abbiamo assistito a due episodi gravi: l’assalto alle ragazze bianche sul treno da Peschiera, dopo il sacco della cittadina lacustre da parte di orde di immigrati di seconda generazione, e la super rissa nell’estrema periferia di Milano tra rom e famiglie di origine straniera con decine di persone coinvolte. Sono due spie di grande disagio sociale. Sono episodi che hanno riguardato una fascia marginale ed emarginata della popolazione, ma sarebbe un errore sottovalutare l’accaduto. Il malessere si sta diffondendo ed è una malattia contagiosa.
Negli ultimi sei mesi Piazza Affari ha perso il 25% della propria capitalizzazione, circa 165 miliardi. Nulla, rispetto ai settemila miliardi di dollari bruciati nel mondo, ma i piccoli risparmiatori italiani, attraverso i fondi, investono in tutto il pianeta e oggi sono molto più poveri rispetto all’inizio dell’inverno. Nel frattempo sono subentrati il caro bollette e l’inflazione è volata al 6%, livello che non si toccava da quarant’ anni. È stato calcolato che il conto dell’aumento del costo della vita è in media di 14mila euro l’anno per ogni famiglia. In compenso, il valore delle retribuzioni dal 2000 è sceso di circa il 3%, unico dato negativo in tutta Europa.
Questo salasso non riguarda gli emarginati ma tutti, ricchi, benestanti e ceto medio, che ormai è diventato medio basso, mentre il basso è scivolato nella povertà. Nel frattempo discettiamo di salario minimo, scordandoci che per erogarlo servono le imprese, le quali invece falliranno a mazzi. Molte salteranno a causa del flop del superbonus, che le ha portate a indebitarsi prima che il caroprezzi le costringesse a fermare i lavori, ai quali le banche hanno ritirato di conseguenza il finanziamento, mentre il governo si volta dall’altra parte.
PREVISIONI SBALLATE
Di fronte a questo disastro, nell’incolpevolezza dei cittadini, la Banca Centrale Europea ammette di aver sbagliato previsioni. Ci eravamo arrivati anche noi: il denaro gratis per lustri sommato all’aumento dell’energia causato dall’accorciamento della durata dei contratti per alimentare i deliri ambientalisti e ai bonus che favorivano la speculazione sugli appalti hanno creato il cortocircuito.
Ora si vagheggia, specie da sinistra, di altri cinque anni di governo tecnico per scongiurare l’avvento del centrodestra tramite elezioni. Sarebbe la catastrofe, avvertono i sapientoni che ci hanno portato sull’orlo del baratro e da quindici anni tengono il pallino del Paese senza aver mai vinto le elezioni. Un minimo senso del sentimento del Paese dovrebbe dirci che prima di sognare di approdare al Draghi bis sarebbe preferibile assicurarsi di traghettare in porto, ossia a fine legislatura, il Draghi uno. Se l’Italia arriverà al voto travolta dalla crisi, sarà difficile incolpare Salvini e Meloni dopo due anni di esecutivo tecnico e dieci su undici con il Pd al governo.
La politica discetta e progetta intorno al proprio ombelico ma nel Paese monta l’insofferenza. Gli italiani sono pavidi conservatori, per fortuna, e per ora la rivolta serpeggia solo tra extracomunitari. Però i progressisti sbagliano i conti se pensano che vivere di bonus e reddito di cittadinanza sia l’aspirazione di tutti i cittadini; inoltre, la dissoluzione dei grillini, che di per sé è una benedizione, impedisce la via dell’anti-casta come ultimo sfogo democratico, come la ebbero a definire Di Battista, la sola volta che disse una cosa intelligente, e il guru genovese in persona. Il disagio, quando esplode, si salda ad altro disagio, senza badare a ragioni e finalità. Così i no-vax sono diventati quasi tutti no-ucraina, con la sola differenza che, nel passaggio, si sono moltiplicati.
Le sommosse nascono per una somma di malesseri diversi che si uniscono. Accade fin dai tempi della rivoluzione francese, quando una tremenda crisi economica, successiva a decenni di sprechi pubblici, e guarda caso a una guerra poco sentita dalla popolazione, saldò la disperazione dei contadini alla frustrazione di una borghesia operosa ma senza voce nella stanza dei bottoni e stritolata dal fisco. Il potere era diviso tra il re, che lo riceveva da Dio, il clero che sosteneva che era proprio così, e i nobili che lo amministravano per conto del sovrano, lucrandoci. Erano una banda di malfattori e finì a teste mozzate.
POTERE CALATO DALL’ALTO
Oggi non abbiamo malfattori, ma abbiamo un potere ormai sovrano, calato dall’alto, una casta che abbonda di avidi incompetenti che gli fa da corte e una sfilza di euro-sacerdoti che danno al capo la loro sacra investitura. È il 1922, il 27 ottobre sarà il centenario della marcia su Roma. Se non ci fosse stato in mezzo tutto quel che c’è stato, già saremmo agli scontri di piazza e al rischio instabilità.
Per adesso il popolo che può affolla gli aeroporti, progetta vacanze e si stordisce di aperitivi, ma l’atmosfera è quella dell’ultima festa prima di un autunno di terrore. C’è poco da stare allegri. Gli scontri di Milano e gli assalti di Peschiera sono campanelli d’allarme da non sottovalutare, potrebbero chiamare un’adunata di disperati, non solo italiani.
Cinque anni fa, l’ex segretario del Pd, Veltroni, evocò il pericolo di un ritorno degli anni Venti del secolo scorso, per fermare l’ascesa di Salvini e dei sovranismi. Oggi la questione non è gridare al lupo per restare in sella. Il lupo non sono più i populisti ma gli immigrati non integrati, i giovani che non vogliono lavorare perché il lavoro non assicura loro la vita alla quale aspirano, e i padri di famiglia che il lavoro lo perderanno, dopo decenni spesi a dare allo Stato metà dei loro guadagni. L’altra se l’è mangiata la finanza.