Alice Scaglioni, Corriere della sera, 18 VIII 2020
Il Covid-19 ha davvero cancellato i sogni dei Millennials?
Non è stata semplice finora la vita dei Millennials. Due crisi economiche in dieci anni e un mondo totalmente diverso da quello che avevano vissuto i loro genitori. Cresciuti con un’idea precisa di quella che sarebbe stata la loro vita, grazie agli esempi di mamma e papà, si sono ben presto resi conto che quello che sognavano (e che erano convinti di ottenere) non sarebbe mai arrivato. Un lavoro a tempo indeterminato, la possibilità di crearsi una famiglia da giovani, mettere da parte qualche soldo. Niente di tutto questo, per la maggior parte dei nati tra il 1981 e il 1996 – sì, una volta per tutte: questa è la fascia che comprende la Generazione Y, i Millennials, secondo il Pew Research Center. Al loro posto, lavoretti, contratti a tempo determinato, co.co.co, disoccupazione e, per una buona fetta di loro, fuga dall’Italia. Una vita da precari, che non trasmette la sicurezza necessaria per poter crescere davvero, socialmente ed economicamente parlando. Nel 2008 è stata la volta della crisi che ha investito prima gli Stati Uniti, poi il resto del mondo, indelebile nei nostri occhi grazie alle fotografie che passeranno alla storia dei dipendenti della Lehman Brothers che portano via i loro effetti personali negli scatoloni, dopo il fallimento della banca.
E ora, la crisi legata alla pandemia di Covid-19. Quella che alcuni studiosi e analisti hanno definito «la peggiore dal crollo del ‘29» e che, secondo i primi dati disponibili, ha reso ancora più immobile l’ascensore sociale. «La pandemia da COVID-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti al momento della crisi del 2008-2009 – si legge sul report annuale dell’Istat –. La classe sociale di origine influisce ancora in misura rilevante sulle opportunità degli individui nonostante il livello di ereditarietà complessiva in Italia si sia progressivamente ridotto nel volgere delle generazioni». Una fotografia che si traduce in un solo risultato: la generazione più giovane è accompagnata da una diminuzione delle probabilità di ascesa sociale. Il 26,6% di chi è nato tra il 1972 e il 1986 (già Millennials, a partire dal 1981) sperimenta una mobilità verso il basso, un numero che supera i livelli registrati da tutte le generazioni precedenti. Sono dati destinati a peggiorare, dal momento che già prima della comparsa del coronavirus, i giovani italiani non erano in condizioni socio-occupazionali ottimali.
La natalità in Italia era già ai minimi storici, con nessuna previsione di risalita. Dopo il Covid non c’è da aspettarsi nessun baby boom, dato il dilagare del clima di incertezza e la mancanza di forti politiche di sostegno alle neo-famiglie. Inoltre l’Italia detiene un triste primato: siamo il Paese Ue con il maggior numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Nel 2019 nella fascia della popolazione tra i 15 e i 29 anni la percentuale di inattivi era al 22,2%, contro una media Ue 28 del 12,5%: quasi dieci punti in più. Ma che ne sarà dei Millennials dopo la seconda crisi in dieci anni? Le prime ipotesi arrivano dai dati raccolti dall’indagine promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, condotta da Ipsos tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2020 insieme al Ministero per le Pari opportunità e la Famiglia. È stato intervistato un campione di giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni: duemila in Italia e mille in ciascuno degli altri grandi Paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) per cercare di ricostruire un quadro il più possibile aderente alla realtà. Cosa è emerso? Più del 60% degli intervistati italiani ritiene che l’emergenza coronavirus impatterà negativamente sulla loro vita, contro il 46% e il 42% dei giovani francesi e tedeschi, che si mostrano più fiduciosi nel futuro.
Nel nostro Paese i giovani temono per i loro progetti di vita, ma ancora una volta ad avere più paura per il futuro sono le donne. In Italia il 67% delle donne contro il 55% degli uomini ritiene che i propri progetti di vita siano a rischio, un divario di genere nettamente superiore agli altri Paesi: in Francia, per esempio, la differenza tra maschi e femmine è quasi nulla. Pare che il Covid-19 sia arrivato come un fulmine a ciel sereno: prima della pandemia il 30% dei giovani italiani pensava di andare a vivere per conto proprio o a convivere, il 24% di sposarsi, il 27% di avere un figlio, il 52% di cercare un (nuovo) lavoro, il 47% di cambiare casa e il 30% di trasferirsi in un’altra città o all’estero. Progetti e sogni di una vita che sono stati spazzati via dalla crisi legata all’emergenza sanitaria: il 34,4% di coloro che progettava di andarsene da casa dei genitori ha abbandonato l’idea, così come il 33,5% di chi voleva andare a convivere. Il 36,5% dei giovani che aveva in cantiere un figlio ora non ci pensa più, così come il 40,4% di chi voleva sposarsi. Eppure quella dei Millennials è una generazione abituata a non avere punti fissi: il posto di lavoro a tempo indeterminato è un miraggio, la casa dei genitori è solo un punto di partenza e le possibilità non sono circoscritte all’Italia. È una delle generazioni che ha iniziato a spostarsi e a viaggiare con più facilità rispetto ai genitori, cogliendo al volo opportunità come Erasmus, Overseas, anni all’estero e progetti europei. La flessibilità e la capacità di adattamento non mancano. Saranno sufficienti per la risalita?