Roberto Marchesi, blog su Il Fatto Quotidiano, 5 VII 2023
Combattere l’inflazione alzando i tassi: un metodo del secolo scorso che non funzionerà
L’inflazione può essere un pericolo grave per qualunque economia, se governata male. Diventa grave quando raggiunge o supera il livello delle due cifre (>10%) o addirittura tre o più cifre (100-1000%) come successe per esempio in Germania dopo la Prima guerra mondiale. Per evitare di entrare in questo terribile ciclo economico, nel secolo scorso fu adottato il sistema del rialzo dei tassi attuato dalle banche centrali. Alzando il tasso ufficiale di scambio tra la banca centrale e quelle ordinarie si alza in generale il costo della vita, circola meno denaro e, dopo qualche tempo (mesi o anni), l’inflazione scende a livelli accettabili; 2% è generalmente ritenuto il livello ideale per ogni economia.
Sembra un’operazione facile da fare, ma sbagliare i tempi nell’attuare questa semplice decisione può creare gravi conseguenze. Proprio come chi guida un’auto e frena troppo, o troppo poco, prima di affrontare una curva.
Ho già fatto più volte nei miei articoli l’esempio del primo presidente della Banca centrale europea, il francese Jean-Claude Trichet, che nella primavera del 2011 alzò due volte i tassi della banca centrale allo scopo di evitare un possibile rischio di entrata in una spirale inflazionistica. Ma frenò troppo e troppo presto, così ottenne il risultato contrario: un lungo e doloroso periodo di crisi economica. Anche perché quella decisione fu accompagnata da scelte inopportune del governo centrale europeo nel controllo sugli indebitamenti degli Stati aderenti all’Unione Europea. E fu, a mio avviso, un motivo importante anche nella successiva scelta della “Brexit”, attuata in un referendum dai cittadini britannici.
Ma il pericolo dell’inflazione non è l’unico a turbare il tranquillo andamento economico di un grande paese, o Unione di paesi. Quasi esattamente un secolo fa infatti, il 24 ottobre del 1929, il primo disastroso crollo della Borsa di New York lasciò sul lastrico milioni di risparmiatori e/o semplici cittadini americani che avevano lasciato qualche deposito sul proprio conto bancario. Il motivo? Operazioni finanziarie azzardate e utilizzo di ogni deposito in banca per fare qualunque operazione, non solo “commerciale” ma anche finanziaria o speculativa. Durò più di un decennio quella grave depressione economica che fu risolta solo con gli enormi investimenti necessari a superare il grande pericolo fascio-nazista che si stava sviluppando in Europa. Ma fu possibile anche grazie all’introduzione, negli anni 20, della legge “Glass-Steagal” che dettava la netta separazione (copiata anche in Italia) delle banche “ordinarie” da quelle per investimenti e operazioni finanziarie.
Finché rimase attiva quella legge, con tutta la sua normativa prudenziale sulla liquidità bancaria, si ebbero crisi finanziarie anche ricorrenti ma nessuna della gravità che si ebbe nel 1929. Ma a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso i continui interventi legislativi a modificare la Glass-Steagal portarono a un definitivo abbandono di quello scudo protettivo di cui si ebbe manifesta espressione già col crollo di Borsa del 2008 seguita da una grave crisi durata per quasi tutti gli 8 anni della presidenza Obama.
Il motivo per cui la crisi del 2008 fu così pervicace fu che anche tra i legislatori molti non accettarono di rinunciare alla libertà finanziaria raggiunta con l’affossamento della “Glass-Steagal”. L’unico che lottò a lungo, insieme ad Obama, per mantenere quella importante separazione operativa fu Paul Volcker che fu a capo della Federal Reserve al tempo della presidenza Carter. Egli è però ricordato ora soprattutto per la sua tenacia nel piegare la bruttissima inflazione degli anni 70 con un “braccio di ferro” che lo costrinse ad un continuo rialzo dei tassi fino ad arrivare abbondantemente sopra le due cifre, ma alla fine vinse lui e l’inflazione finalmente scese (ma con un costo altissimo per il proletariato!).
Obama scelse quindi proprio Volcker a dirigere il suo “Economic Recovery Adviser Board” e, proprio in quella posizione, Volcker formulò un progetto, definito “Volcker rule”, nel quale egli aumentava molto i controlli sulle attività finanziarie fino al punto (proposto ma non realizzato) di tornare alla “Glass-Steagal Act” del 1933.
Volcker, morto nel dicembre 2019 a New York, viene ora ricordato soprattutto per la sua caparbietà nel perseguire a tutti i costi la vittoria sulla pervicacia del fenomeno inflattivo, dovrebbe invece essere preferito ora per quella sua professionale maggiore attenzione sui pericoli rivenienti dalla troppa libertà concessa ora alle banche nel campo finanziario. La normativa “Volcker rule” è secondo me l’unica che può veramente mettere al riparo il comparto finanziario dai frequenti pericoli che una finanza ora completamente (o quasi) globalizzata produce, non si può aspettare che la prossima crisi finanziaria (sul tipo di quella del 2008) si scateni contemporaneamente nei quattro punti cardinali dell’intero globo. Nessuno potrebbe fermarla e potrebbe fare tanti morti (suicidi) e feriti quanti se ne vedono nelle guerre con armi convenzionali.
Stessa sorte potrebbe però capitare anche alla “cura” per l’inflazione. La banale cura di alzare sempre più i tassi allo scopo di fermare prima l’economia per veder scendere l’inflazione, poteva funzionare a livello nazionale, o monetario, ma non funzionerà più con una attività finanziaria che avvolge l’intero globo. Se l’inflazione è prodotta nel modo classico delle nazioni a conduzione autoritaria, dove stampano moneta senza tener conto del prodotto interno lordo a copertura, si deve semplicemente evitare di esporsi troppo con loro, ma se, come nel caso dell’Europa odierna l’inflazione è causata da una guerra vera (o anche solo commerciale) non ha più alcun senso mettere in ginocchio l’intero paese con la tecnica dell’aumento dei tassi, non c’è più un solo paese ora, riottoso alla cura potrebbe esserci l’intero globo.
Le tecniche che andavano bene nel secolo scorso (svalutazioni delle monete, deflazioni, recessioni, ecc.) in un mondo globalizzato non funzioneranno più, bisogna intervenire sulle cause dell’inflazione dove avviene la formazione dei prezzi, non sui tassi e sulla depressione nazionale che potrebbe far scendere tutto meno che i tassi.