Nicola Mirenzi, Huffingtonpost, 29 IX 2019
“Il narcisismo ha creato un esercito di perdenti. Educate i figli a fare quello che amano”
A vent’anni, non aveva dubbi: “Liberando se stessa, la classe operaia libererà il mondo intero. Ripetevo in continuazione frasi come questa. Ero un piccolo bolscevico, imbevuto del catechismo marxista. Per ogni domanda, avevo una risposta pronta. Preparavo la rivoluzione sociale in Italia, andando ogni giorno a San Basilio, nella periferia di Roma, tra sottoproletari, delinquenti, poveri cristi. Avevo la missione di agitare le masse e organizzarle. Perché, da un momento all’altro, poteva scattare l’ora della sollevazione”. A sessantasette anni, Fillippo la Porta è un critico letterario e un saggista militante, come si sarebbe detto una volta, uno di quelli capaci di prendere una pagina di narrativa e riscriverla nella trama della società, della politica, dell’esistenza, della mitologia contemporanea: “Leggere è un atto rischioso, un’avventura che mette in gioco innanzitutto noi stessi, la nostra identità, le nostre credenze, le verità che crediamo di conoscere. La cultura non è un accumulo di informazioni che servono a possedere la realtà. È una forza critica, il più possibile vicina all’enigma del mondo e della condizione umana. Non dovrebbe tranquillizzare: al contrario, dovrebbe disturbare”.
Ai ragazzi che scioperano per il clima consiglierebbe di leggere Nicola Chiaromonte: “Il mio eroe culturale”, dice, appoggiando sul tavolo di un bar poco distante dall’ingresso del Parlamento un quadernone a righe fitto fitto di appunti, che gli sono serviti per scrivere “Eretico controvoglia” (Bompiani), un libro che racconta la figura di questo intellettuale irregolare, fondatore della migliore rivista che l’Italia abbia avuto – Tempo Presente – anti fascista, anti totalitario, super critico della modernità senza però essere passatista, uno che dialogava a tu per tu con Albert Camus, Hannah Arendt, Mary McCarthy e che oggi, in Italia, nessuno conosce più: “Ai giovani ribelli, Chiaromonte insegnerebbe in cosa consiste la rivolta giusta. Li aiuterebbe a distinguere il confine oltre il quale un’idea vera diventa falsa. Un fine giusto si trasforma in un sopruso. Una battaglia sacrosanta diventa dispotica. Prenda la rivoluzione. Io rimpiango di non aver letto Chiaromonte quando avevo vent’anni. Forse avrei scoperto prima che, dopo un certo punto, anche l’idea della liberazione diventa un crimine. Ecco cosa fa un maestro: aiuta a non tradire se stessi”.
Lo definisce eretico. Ma se non ci sono più Chiese come si può essere eretici?
Oggi, sebbene non esista alcuna ortodossia, tutti vogliono essere eretici. Le collane editoriali vanno contro mano, le rubriche giornalistiche proclamano di essere controcorrente, le trasmissioni televisive si dicono fuori dal coro. Tutti vogliono distinguersi. Manifestare la propria indipendenza intellettuale. Dar prova della propria libertà. Però lo fanno tutti insieme, nello stesso momento. È lo snobismo di massa, la nuova forma del conformismo. Chiaromonte era eretico quando c’erano sia la chiesa della Dc sia la chiesa del Pci. Eppure, non ambiva a essere diverso da tutti. Al contrario, voleva vivere la vita di tutti: andava al cinema di sabato sera, amava mescolarsi con la folla, andava a pranzo a Ostia.
Senza più ortodossie, siamo più liberi?
In realtà, un’ortodossia esiste. Ma è molto diversa da quelle che abbiamo conosciuto fin qui. Non è un modo di concepire il mondo. È un racconto della realtà, uno storytelling delle cose. O sei di qua, o sei di là. O sei con i migranti, allora sei buono; oppure sei contro, allora sei cattivo, intollerante, razzista. Non esiste la possibilità della sfumatura. È vietato dire: “Attenzione che nelle periferie c’è una situazione pericolosa ”. Diventi subito un fascista.
L’ha appena detto.
A qualcuno verrà il dubbio che sono fascista, forse. Io, invece, sto solo ragionando sulla pervasività degli idoli sociali. Sulla fede, piuttosto inconsapevole, nelle nuove religioni.
Quali sarebbero?
Qualsiasi cosa uno faccia, immediatamente scatta la domanda: “Ma ti pagano?”. Come se nulla si potesse fare, se non per denaro. Oppure: “Funziona?”. Pare che a nessuno importi più se una cosa sia giusta o sbagliata, vera o falsa. L’importante è che funzioni. Chiaromonte invitava a non educare i figli al successo. Subito allora ti obiettano: “Allora li educhi al fallimento?”. O bianco o nero.
Invece?
Invece, si potrebbero educare i figli a fare una cosa perché la amano. Solo questo conta, per Chiaromonte. L’imperativo della realizzazione di sé ha creato un esercito di frustrati e di perdenti. C’era anche nel marxismo degli anni settanta, nella versione dell’auto-realizzazione. In entrambi i casi, devi essere ricco, possedere la maggior quantità di beni, esaudire ogni tuo desiderio. E visto che pochissimi riescono a farlo, tutti gli altri si percepiscono come dei falliti. Ecco l’ego-mania di cui Chiaromonte parlava già nel 68.
Siete voi sessantottini i padri fondatori del narcisismo di oggi?
Quando uscì La cultura del narcisismo di Christopher Lasch, per la mia generazione, fu una rivelazione. Parlava di noi, della nostra vanità. La mia generazione ha usato anche la cultura narcisisticamente. Come uno strumento di conferma e di potere. Molti di noi sono diventati ministri, direttori di giornale, capi di rete, oppure di grandi case editrici. Sono bravissimi. Sanno tutto. Non c’è una citazione che gli sfugga. Potrebbero improvvisare un discorso su qualsiasi tema. Sanno parlare il linguaggio del comando, così come il linguaggio della rivolta. Dipende da cosa gli serve. Il sapere, per loro, è al servizio della carriera. Non un modo per mettersi in discussione. I giovani l’annusano. E per questo, sbagliando, insieme al potere, rifiutano anche la cultura.
Ha ragione quindi Salvini quando parla di intellettualoni?
Sia Salvini, sia, prima di lui, Renzi, hanno intercettato la rivolta contro quest’idea strumentale della cultura, il gergo che difende i privilegi e le rendite di posizione, riproducendo solo se stesso. Anche Goffredo Parise, trent’anni fa, se la prese con gli intellettuali. Però in bocca a Salvini la stessa critica ne esce stravolta. Poiché, a sua volta, si trasforma in un’arma di potere.
Ma il potere è sempre male o può servire a cambiare la realtà?
Anche sul potere Chiaromonte invitava alla misura. Attenzione però all’idea di cambiare il mondo. La realtà è mutevole ma non è facilmente modificabile da noi. Nel senso che ha un suo ritmo interno, e cambia in base a una grande quantità di fattori. Io posso mettere la mia causa all’interno di questo gioco, ma devo sapere che il fondo delle cose rimarrà ingovernabile.
Non si rischia il fatalismo così?
Al contrario, è una lezione di misura. Tu devi fare la tua parte, agendo secondo la tua coscienza, ma sapendo che qualcosa del mondo ti sfuggirà sempre.
Lei quando ha capito che era così?
Quando ho smesso di fare politica, intorno ai 25 anni. Sono stato un simpatizzante di Potere Operaio, poi ho militato nel collettivo del Manifesto. In periferia, andavo casa per casa a distribuire volantini. Siccome gli uomini lavoravano, mi aprivano sempre le donne. Mi facevano accomodare e mi offrivano un bicchierino di Vov. Alla fine della giornata ne avevo bevuti una quindicina e tornavo a casa completamente ubriaco. Infatti, i miei, che abitavano ai Parioli, mi dicevano: “Ma dove cazzo sei stato?”.
Era un “pariolino”?
La metta come vuole. Erano i sensi di colpa della borghesia? Non lo so. So che grazie alla politica ho conosciuto i sottoproletari romani, che erano tutti di estrema sinistra. Ero amico di tutti. Quelli che si spaccavano la schiena, i criminaloidi, i marchettari, anche i tiburtaros, che erano una banda di ladroni.
Ora sono tutti amici dei militanti di estrema destra.
E lo sa che vorrei molto parlare con loro? A volte penso che sarebbe il caso di scrivergli una lettera.
Cosa gli vorrebbe dire?
Che sbagliano su una cosa fondamentale, che riguarda la natura umana. Amano citare quella frase di Ezra Pound che dice: ”Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui″. Non è così. Ognuno di noi può essere un eroe, oppure un vigliacco: dipende dalle circostanze della vita. In ogni caso, l’uomo è fragile, precario, non autosufficiente, esposto. Persino i soldati d’acciaio tedeschi, dopo due mesi nella neve del fronte russo, piangevano e invocavano l’aiuto della mamma. Questo è l’essere umano: un debole. Il mito della forza propagandato dalla destra è una colossale bugia, rimuove completamente l’infermità dell’essere umano. Questo gli vorrei dire.
Lei smise con la politica perché le dissero qualcosa del genere?
No, smisi perché a un certo punto sentii la necessità di fermarmi a riflettere su quello che avevo fatto. Fu lì che cominciai a leggere i classici della letteratura, Flaubert, Dostojevski, Stendhal, dentro il cui studio ero immerso, quando mi chiamò a fare il critico letterario di Linea d’ombra Goffredo Fofi.
Ma è vero, come dice Antoine Compagnon che, in fondo, la letteratura è sempre di destra?
No, non direi che è così. Ma, battuta per battuta, si può dire un’altra cosa: cioè, che Dio – se esiste – è senz’altro di destra. Perché ha distribuito il talento letterario in maniera fortemente diseguale. Infatti, ci può essere il diritto all’istruzione, il diritto a una vita dignitosa, il diritto al reddito di cittadinanza. Non ci sarà mai il diritto alla creatività. La stoffa, mi spiace, sarà sempre riservata a pochissimi.