Leonardo Martinelli, La Stampa, 14 IV 2020
Il filosofo Onfray: nell’isolamento più lotta di classe
È ancora debole Michel Onfray, filosofo francese: come dopo una battaglia. «Con Dorothée, mia moglie, eravamo in Martinica quando Macron ha annunciato il confinamento. Abbiamo preso l’ultimo volo utile per Parigi», racconta. Poi ha raggiunto Caen, nella sua Normandia, dove vive. «Due giorni dopo il nostro rientro, sia io che lei abbiamo manifestato gli stessi sintomi: una febbre molto alta, mal di testa forte, modifica delle percezioni olfattive e gustative».
All’inizio hanno diagnosticato loro il coronavirus senza effettuare il test. Ma quando, dopo pochi giorni, lo hanno fatto sulla moglie, hanno scoperto che in realtà non avevano il Covid-19 ma la dengue, una malattia tropicale. «Hanno trattenuto Dorothée all’ospedale. Io sono rimasto a casa, a letto, con la febbre che oscillava tra 38 e 40».
Non è la prima volta che Onfray, 61 anni, combatte con il dolore fisico. E neanche con un’esistenza difficile: figlio di un bracciante agricolo, con la mamma che faceva le pulizie a domicilio, lui dai dieci fino ai 14 anni venne piazzato in una sorta di orfanotrofio. Iconoclasta (troppo a sinistra per quelli di destra e troppo a destra per quelli di sinistra) la filosofia lo ha spesso salvato.
Cosa consiglia agli italiani, che sono confinati da ancora più tempo dei francesi, per tenere duro?
«Il confinamento non può essere pensato come un’idea platonica, del tipo «confinamento oggettivo», ma solo come un confinamento soggettivo. Tutto dipende dal luogo dove avviene: vasto o esiguo, gradevole o austero, in buona o cattiva compagnia, soli o circondati da amici veri, in mezzo alla natura o in un palazzone di case popolari. Bisogna essere empirici e pragmatici: spetta a ognuno inventare le migliori condizioni possibili del proprio confinamento. Non si può filosofare, vivere, mangiare, amare per una terza persona».
Quali testi filosofici consiglia di leggere in questo periodo?
«In Saggezza: saper vivere ai piedi di un vulcano (uscito per Ponte alle Grazie nell’autunno 2019, ndr.) ho scritto un elogio della filosofia romana contrapposta a quella greca. I greci amavano i concetti e le Idee con la i maiuscola, la purezza ideale e i voli metafisici. Facevano una filosofia per filosofi. I romani si prendevano gioco della metafisica o dell’ontologia, detestavano la sofistica e la retorica, occasioni per sciorinare la propria scienza e sedurre gli interlocutori.
Hanno insegnato non tramite trattati incomprensibili ma con gli esempi concreti che si trovano presso storici o annalisti: Aulo Gellio, Valerio Massimo, Tacito, Tito Livio, Svetonio raccontano l’amore, l’amicizia, il senso dell’ onore descrivendo i casi di persone che si sono amate di un amore profondo o di un’amicizia, che hanno incarnato il senso dell’onore, la fedeltà, il comportamento da tenere dinanzi alla malattia, la sofferenza, la vecchiaia, la morte».
Ebbene, tra i filosofi romani, quali secondo lei vanno riscoperti?
«Plutarco, Gaio Musonio Rufo, Seneca, Lucrezio, Epitteto, Marco Aurelio, Cicerone. Che in realtà sono tutti utili in ogni tempo, coronavirus o meno».
Lei ha avuto un infarto a 28 anni, ha assistito a lungo la sua compagna dell’ epoca, poi morta di cancro. E due anni fa ha avuto un ictus. C’è un testo filosofico che l’ ha accompagnata in questi momenti così drammatici?
«Sì, i Pensieri di Marco Aurelio. Ma quando ho avuto l’ ultimo infarto stavo troppo male per leggerlo nella versione cartacea. Allora mettevo l’ i-Phone sul petto e ascoltavo la lettura fatta da un attore. Una volta spente le luci nell’ ospedale, il filosofo parlava solo a me».
Questo confinamento può dare un nuovo senso alla vita?
«La natura umana è quella che è. Gli uomini non vivranno domani d’amore e d’ acqua fresca: né più, né meno di prima. Per favore, leggete o rileggete La Fontaine per capire quali sono le caratteristiche invariabili della natura umana. Quando il ritorno alla vita normale si concretizzerà non sarà per realizzare la felicità sulla Terra! Non si confinano delle persone in gabbie come animali per settimane senza che, il giorno in cui si aprono, si liberino, insieme all’ amore, pure passioni tristi e risentimento».
Alcuni sperano che quest’esperienza porti a una riscoperta dell’otium degli antichi romani. Cosa ne pensa?
«Non credo proprio. L’ otium era il privilegio di gente ricca, che non lavorava e aveva a disposizione schiavi e domestici. Alla fine sarà la gente più modesta a pagare la fattura di questo confinamento e coloro che già gioiscono del proprio otium contemporaneo continueranno a farlo. Non ci sarà una democratizzazione dell’ otium ma una radicalizzazione della lotta di classe».