Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 1 VII 2014.
LA MAFIA E LA MAFIA DELL’ANTIMAFIA
È un Pietrangelo Buttafuoco che non ti aspetti. Una scrittura diretta, né barocca né gotica, si direbbe quasi poco siciliana. Per un pamphlet sulla Sicilia di denuncia dura, di polemica coraggiosa, distante dalla dimensione mitologica dell’isola, puntato dritto sull’attualità politica.
Buttanissima Sicilia , che Bompiani sta per mandare in libreria, è un pamphlet che azzera tutte le speranze — o i luoghi comuni — di presunto progresso e annunciata rivoluzione. Secondo Pietrangelo Buttafuoco, quel laboratorio tanto amato dagli appassionati di politica, fucina di indimenticabili figure del passato, è ormai «tutto un disastro». Una lunga storia di involuzione — dalla nascita dell’autonomia regionale all’elezione di Rosario Crocetta — che fa della Sicilia di oggi solo la «fogna del potere».
Il motivo di fondo di questa invettiva contro i più raffinati trasformismi politici, che suona in ogni pagina come una traccia sonora, è la trasmissione sempre grottesca del potere siciliano. Compreso il tabù dei tabù: la mafia. Scrive Buttafuoco: «Due sono i tipi di mafia. La mafia e la mafia dell’antimafia». Indicando in quest’ultima — «la religione civile degli intoccabili» — la forma più astuta di trasmissione del potere.
Dalla Sicilia come «ultima ridotta democristiana» da Totò Cuffaro — per Buttafuoco, l’unico a meritare stima perché paga per tutti, in carcere — a Raffaele Lombardo, oggi uscito di scena dopo la condanna in primo grado, ma fino a un paio d’anni fa potentissimo presidente con «clientele, funzionari e burocrati pendenti agli auricolari del suo Nokia», a Crocetta appunto, governatore che dopo un anno e mezzo ha già all’attivo qualche rimpasto di giunta (compresa l’imperdonabile cacciata di Franco Battiato) e infinite polemiche al seguito.
Esiste un idealtipo di politico e in queste pagine, impastate di rabbia e narrazione, il politico predone, antico quanto i grassatori indicati da Cicerone ai tempi di Verre, si svela in un Mastro don Gesualdo. Un campiere in cui l’ossessione per il potere è pari solo alla brama di conservazione della roba. Non case, né terreni, né denari, ma decine di migliaia di voti rosi nei decenni con pazienza e impegno certosini; «un gruzzolo di percentuali frutto di giornate intere passate a rosicchiare bicchieri e muzzuni di sigarette (e nottate consumate poi nel controllare il più pidocchioso dei consigli di quartiere)».
Buttafuoco, critico di Crocetta della prima ora, sostiene che il passaggio politico da Lombardo al nuovo presidente è avvenuto senza soluzione di continuità. Ed è quindi il predecessore che ha permesso al successore di essere eletto, grazie a un’abile operazione politica manovrata in parte dal Pd siciliano, in parte — sostiene l’autore — dalla campagna di marketing approntata da Klaus Davi, che ha offerto agli elettori un candidato rappresentato come il nuovo (anzi, la rivoluzione) e il puro.
Un uomo dal temperamento mite, ma all’occasione combattivo e focoso, deciso ma un tantino malinconico, onesto ma umano, perfino spirituale, non privo di un certo gusto poetico e per finire «incredibilmente autentico». Secondo Buttafuoco, tra i primi segnali della continuità mascherata da rivoluzione del «bluff Crocetta» c’è la promozione della sua omosessualità a categoria politica dai tratti esagerati e talvolta ridicoli.
Una parodia insomma. In quel finire del 2012 non mancò, infatti, un attacco all’«esercito di cripto-checche che ce l’hanno con un gay dichiarato che si candida alla presidenza della Regione» oppure un «se verrò eletto non farò più sesso, il mio amore sarà tutto per i siciliani».
Secondo Buttafuoco, il governatore che dice di conoscere quattro lingue, arabo compreso, unisce l’attaccamento profondo allo statuto d’autonomia all’impegno genericamente antimafioso. Due cose, autonomia e antimafia, che invece l’autore sostiene di detestare, nelle forme che oggi hanno assunto.
Evocando Sciascia, Buttafuoco scrive che in Sicilia oggi c’è la mafia e c’è la mafia dell’antimafia. E Crocetta («il Vantone, il Pirgopolinice»), in questo teatrino in cui «il pegno di sangue di tanti innocenti è diventato pretesto di un mercato per le carriere dei vivi», ha fatto anche di più: «Se ne partì per combattere la mafia e risultò che sfasciò l’antimafia».
Ma dove sta dunque il grande obbrobrio per Buttafuoco? Nello Statuto siciliano, nell’autonomia, «frutto della trattativa tra gli indipendentisti in odore di mafia e gli alleati», anzi gli «invasori anglo-americani». Se le Regioni stanno prosciugando le risorse di tutta una nazione, una Regione a statuto speciale riesce a fare pure di peggio.
Questo il motivo per cui da più parti è stato chiesto e si continua a chiedere il commissariamento della Sicilia: dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando al presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, è ormai un coro. Ma Crocetta, conclude Buttafuoco, ha già risposto: chi invoca il commissariamento verrà da lui denunciato per attentato alla Costituzione.