Alessandro Penati, La Repubblica, 6 XII 2015.
LA CRISI NERISSIMA DELL’ORO NERO
La riunione Opec di venerdì non ha inciso sul prezzo del petrolio, che ha chiuso a 40$, poco sopra il minimo storico di 38$, dopo aver perso il 60% in un anno. Sorprende l’incapacità di prevedere l’ andamento del prezzo da parte di esperti, petrolieri e governi, con la conseguente dislocazione del capitale e inefficienza degli investimenti.
Secondo l’ International Energy Agency (IEA) le compagnie petrolifere hanno moltiplicato gli investimenti da 200 a 700 miliardi nei 10 anni che hanno preceduto il recente crollo.
Molte centrali elettriche sono dismesse e in cerca di una destinazione. Per non parlare dei contratti a lungo termine per comprare gas a prezzi oggi non più realistici. La IEA prevede che il greggio ritornerà a 80$ per il 2020; ma prevede anche uno scenario alternativo tra i 50-60$: come ammettere di brancolare nel buio.
Si ha l’ impressione che industria e produttori utilizzino schemi e analisi non più validi. Per molto tempo il prezzo del petrolio è stato determinato da un cartello, che agiva sulla quantità offerta a fronte di una domanda stabile e prevedibile. Mentre ora è determinato dal mercato finanziario sulla base di aspettative future. Inoltre non hanno capito il ruolo dirompente dell’ innovazione tecnologica, e trascurato l’ elasticità della domanda di energia rispetto al prezzo.
La nuova tecnologia del fracking, sta al pozzo petrolifero come internet sta alla carta stampata. La decisione dell’ Arabia Saudita, che ha il costo di estrazione più basso, di continuare a produrre in eccesso della domanda per far crollare il prezzo fino a rendere il fracking americano antieconomico, ridurre così l’ offerta, facendo lievitare nuovamente i prezzi, non è che la vecchia pratica del predatory pricing del monopolista. Ma non sta funzionando. La flessibilità del fracking ne ha ridotto i costi.
L’ offerta si sta riducendo, ma più lentamente del previsto. Prospezioni e investimenti sono stati tagliati rapidamente, ma altrettanto rapidamente potranno essere riattivati quando e se il prezzo risalirà, frustrando la politica dei sauditi.
Non c’ è stata l’ondata di fallimenti prevista; ma se anche arrivasse, si potranno comperare attività di fracking a prezzi di liquidazione, abbattendo così i costi di produzione. Inoltre è possibile immaginare altre innovazioni tecnologiche potenzialmente mortali per i petrolieri, come nuove batterie che aumentino l’ autonomia delle auto, rivoluzionando i trasporti, o la capacità di immagazzinare energia verde, rendendo superflua la riserva delle centrali tradizionali.
Altra falla è il costo marginale di produzione. Si stima che quello dei sauditi e degli emirati (circa 20$) permetta loro di insistere a oltranza con la politica del prezzo predatorio. Il vincolo però non è dato dal costo di estrazione ma dai ricavi necessari a questi paesi per finanziare una spesa pubblica essenziale per mantenere il reddito dei cittadini (che dipende dallo Stato), promuovere i progetti infrastrutturali necessari alla pace sociale, e per la sicurezza.
Lo stesso vale per tutti i paesi che dipendono dalle esportazioni di greggio e gas (Russia, Iran, Iraq, Algeria, Nigeria o Venezuela): più il prezzo è basso, più devono estrarre per mantenere i ricavi costanti. La strategia predatoria è controproducente.
Non si tiene poi in debito conto il trend della domanda. La crescita eccezionale della Cina non era sostenibile perché migrazione interna, urbanizzazione e domanda di infrastrutture non può crescere all’ infinito; e quella di molti altri paesi dipendeva proprio dall’ export di energia.
Si è sottostimato la volontà dei governi dei paesi avanzati di sussidiare la produzione di elettricità verde, rendendo obsoleta molta capacità elettrica tradizionale. E si sta sottostimando il limite fisico della capacità di immagazzinare l’ eccesso di produzione di petrolio: gli oceani già pullulano di petroliere che continuano a navigare per non scaricare il greggio a questi prezzi.
Non voglio fare previsioni avventate, ma mi sembra che: (1) il prezzo di petrolio e del gas naturale, rispetto a quello dei servizi e manufatti, sia destinato a un declino irreversibile; (2) il potere dell’ Opec sia finito per sempre; (3) a breve termine, sia più facile che il petrolio vada verso i 30$ che i 60$; e (4) con la “finanziarizzazione” del greggio, la volatilità del suo prezzo sia destinata ad aumentare, perché le aspettative sono imprevedibili. Se fossi azionista di una società petrolifera, non sarei troppo tranquillo.