Marcello Adriano Mazzola, Blog di M.A. Mazzola in Il Fatto quotidiano, 26 X 2013.
La giustizia che vorrei.
In questi giorni l’avvocatura under 45 (metà dell’avvocatura, nei numeri) è riunita in congresso a Palermo (A.i.g.a.) e discute della giustizia che si desidera: efficiente ed accessibile. Una giustizia idonea a garantire i diritti. Il contrario di quello che abbiamo in Italia da tempo.
La giustizia civile è lenta ed incomprensibile. Illogica ed irragionevole (dal processo esecutivo alla moltiplicazione dei riti, sino al dominio della procedura e del formalismo sulla sostanza). La giustizia penale premia spesso, con prescrizioni ed inefficienze, la corruzione e i reati importanti che arrecano danni tanto alla vittima quanto alla società intera. La giustizia amministrativa e quella tributaria non sono sempre in posizione di terzietà.
Tra i tanti interventi quello di Roberto Scarpinato, Procurato Generale a Palermo che si è soffermato sui mali dell’avvocatura, sottacendo quelli della magistratura. Poi quello di Giuseppe Ayala, già sostituto procuratore in Sicilia, deputato dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, poi sottosegretario più volte del Ministero di Grazia e Giustizia, teso a raccontare che si è occupato di giustizia per 40 anni e in 4 legislature, confermando come si debba intervenire, anche dinanzi all’ipertrofia legislativa. C’è da chiedersi perché lui e chi ci ha governato a lungo in questi decenni non lo abbia fatto. Ce lo spieghino.
Lo scempio della giustizia comporta gravi ed enorme conseguenze: a) un flaccido sistema di diritto, privo della certezza del diritto, nel quale i diritti sono simulacri per far prevalere furbi e disonesti; b) una compromissione forte dei diritti della persona e dunque l’alienazione della persona; c) un indebolimento della democrazia (in cui, come attesta il recente tentativo di modifica della carta costituzionale, il potere oligarchico procede ad libitum legittimato da una legge elettorale illegittima); d) un danno irreparabile all’economia intera (allontanando gli investitori esteri e gli stessi nostri imprenditori, agevolando fallimenti e stati d’insolvenza per le inadempienze altrui); e) il ludibrio (anche economico) da parte dell’Unione Europea (Corte di Giustizia UE e Cedu) per la moltiplicazione infinita di malagiustizia.
Una situazione esplosiva che non si vuole risolvere se non con riformicchie tese ad aggravare ancor di più il problema. In tal senso anche gli interventi del governo Letta, volti ad aumentare i costi (negli ultimi anni aumentati in modo esponenziale) per accedere alla giustizia, indebolendo ulteriormente la tutela dei diritti. Una giustizia classista, per pochi. Affinchè i forti siano sempre più forti ed i deboli ancor più deboli.
Ieri si è letta una delle tante lettere scritta dalla moglie di una persona che ha subito un grave infortunio sul lavoro, attendendo per oltre un decennio che il marito avesse il giusto risarcimento per i danni patiti, a causa di infiniti rinvii e cambi di giudice che sospendevano la sua vita (e quella dei familiari più stretti). Responsabilità ascrivibili al pessimo funzionamento della macchina giudiziaria, non certo dell’avvocatura, spesso in balia di tali nefandezze.
Si sono lette poi alcune missive delle migliaia di carcerati che vivono anche in 4 nello spazio di un ripostiglio, che sono ammessi per qualche ora all’aria aperta, che mangiano anche cibo indecente, privati della dignità della persona. Che escono incattiviti, più rabbiosi e violenti. Perché a costoro non si consente di esercitare lavori socialmente utili o non si spostano nei tanti carceri chiusi o mai aperti o nei tanti edifici abbandonati della pubblica amministrazione?
Perché la giustizia non ha ancora compiuto il processo telematico dopo 12 anni che se ne disquisisce (dal decreto 13 febbraio 2001, n. 123, Regolamento uso strumenti informatici e telematici nel processo civile, amministrativo e dinanzi alle sezioni giurisdizionali Corte dei conti)? Un processo informatizzato che eviterebbe enormi perdite di tempo, consentendo all’amministrazione giustizia (magistratura inclusa) di razionalizzare l’azione e all’avvocatura di tutelare meglio i diritti. A chi dobbiamo questa incompiuta e l’enorme spreco di tempo e di denaro?
Perché non si abroga l’udienza di precisazione delle conclusioni (una farsa) sostituendola col mero deposito informatico del foglio di p.c. così togliendo dal carico (e dagli alibi) dei magistrati il 25-20% di udienze?
Perché si è invocata la liberalizzazione dell’avvocatura sopprimendone il tariffario per farlo rientrare dalla finestra con i parametri ministeriali che attribuiscono un potere enorme ai magistrati? La farsa liberale statalista.
L’avvocatura chiede risposte urgenti nell’interesse di tutti. Il tempo delle menzogne è finito.