Giada Fazzalari, Il Riformista, 9 V 2022
Intervista a Sabino Cassese: “Mani Pulite ha lasciato solo macerie”
E’ uno dei più autorevoli giuristi italiani dell’intero dopoguerra ed è una delle voci accademiche più prestigiose di un Paese smarrito. In questa intervista all’Avanti! della domenica, Sabino Cassese propone un’analisi argomentata dello stato della giustizia italiana e, pur considerando i prossimi referendum un «forte stimolo», li ritiene «poco adatti» a dirimere questioni complesse, sulle quali la politica ha sinora mostrato la propria impotenza.
A suo parere qual è lo stato di salute della giustizia in Italia?
«La giustizia italiana è in pessimo stato. Sei milioni di cause pendenti. Più di 7 anni per concludere i tre livelli di giudizio in sede civile e più di tre per il penale. 1000 carcerazioni preventive per anno dichiarate illegittime e risarcite dallo Stato. La fiducia dei cittadini nella giustizia crollata di 20 punti negli ultimi 10 anni. Si può dire che la giustizia non sia in sintonia con la società italiana, tanto che negli ultimi anni si registra addirittura una diminuzione degli accessi alla giustizia, prova ulteriore della sfiducia dei cittadini nella giustizia».
Nel suo ‘Il Governo dei giudici’ documenta il crollo della fiducia dell’opinione pubblica nella magistratura. Per quale ragione secondo lei?
«Le ragioni le ho già indicate. Se ne può aggiungere qualcun altra. Il pessimo giudizio maturato nella collettività quando si è appreso come vengono prese le decisioni dal Consiglio superiore della magistratura. Siamo nella fase delle disillusioni, dopo le eccessive illusioni, maturate durante gli anni 90 del secolo scorso, sulla magistratura come giudice della virtù. A questo si aggiunge l’esondazione di una parte della magistratura, impegnata in politica, nell’amministrazione, nella legislazione e, infine, la motivazione dello sciopero annunciato: ”vogliamo essere ascoltati”, che vuol dire in sostanza “vogliamo decidere noi”.
Come giudica la riforma Cartabia passata in prima lettura alla Camera?
«La riforma Cartabia è il frutto necessario di una serie di compromessi raggiunti in un governo composto di forze politiche tra di loro opposte. Va nella direzione giusta e fa una buona parte della strada in questa direzione».
I referendum possono contribuire a incrinare la chiusura corporativa della magistratura e a contrastare la tendenza al ‘populismo giudiziario’?
«Ricordiamo innanzitutto che i referendum sono uno dei modi di partecipazione dei cittadini alla vita collettiva; sono previsti dalla Costituzione, richiedono partecipazione, senza della quale non c’è democrazia. Detto questo, va anche ricordato che i referendum sono uno strumento poco adatto a fare riforme complesse, che non possono essere decise con un si o con un no. Tuttavia, rispetto ad una classe politica tanto indecisa, possono costituire un forte stimolo. Quindi, sono uno strumento positivo e sarebbe grave se i cittadini non rispondessero o non recandosi alle urne o non votando»
E’ giusto che la responsabilità civile dei magistrati per gli errori commessi nei confronti di cittadini innocenti sia diretta? Quanto può incidere sull’ indipendenza del giudice?
«Errori dei giudici possono esserci perché la giustizia è amministrata da uomini. Alla maggior parte di questi errori provvede il sistema degli appelli che sono previsti proprio perché il giudice in primo grado può sbagliare. Sulla responsabilità dei funzionari pubblici (anche i giudici lo sono), la Costituzione detta norme precise, che sono state in larga parte disattese. Non ritengo che questo tema debba essere affrontato in questa fase perché le norme esistenti bastano»
Dal 1992 al 2018 si sono registrati oltre 27.500 casi di vittime di errori giudiziari, in media più di mille innocenti in custodia cautelare ogni anno: perché accade e come si possono ridurre drasticamente queste cifre?
«La domanda solleva un problema di carattere più generale, quello delle procure composte da giustizieri. Il fenomeno detto popolarmente della gogna mediatica ha portato numerosi pubblici ministeri ad accusare, incolpare pubblicamente, ben sapendo che i processi arrivo con grande ritardo, quando tutti hanno dimenticato. Max Weber avrebbe parlato di una giustizia da cadì ».
Come porre fine al cortocircuito tra magistratura, informazione e politica? Le porte girevoli tra magistratura e politica sono davvero un problema?
«I magistrati, sia quelli addetti alle funzioni requirenti ed inquirenti, sia quelli addetti alle funzioni giudicanti, dovrebbero essere obbligati ad astenersi da ogni impegno nella vita politica e a controllare le loro esternazioni. L’imparzialità dei giudici è connessa alla loro indipendenza e un magistrato che prende posizione a favore di questo o quell’altro partito politico o non è imparziale o non appare imparziale ai politici. L’Italia è l’unico paese al mondo dove due magistrati hanno costituito due diversi partiti »
Sono 30 anni da Mani pulite. Cosa ha provocato quello tzunami mediatico-giudiziario? E cosa ne resta?
«Mani pulite: ne restano solo macerie. Non tanto per quello che fu deciso a quell’epoca, ma per quello che comportò, nel senso di diseducare l’opinione pubblica, di scaricare sulla magistratura il compito del controllo della virtù, di far maturare aspettative a cui nessun ordine giudiziario può corrispondere, di produrre, poi, un effetto di disillusione che ha finito per danneggiare gravemente la magistratura. »
Lei ha definito i partiti “un ponte tra popolo e Stato, il veicolo della democrazia”. Ne ha descritto la crisi: sembrano incapaci di elaborare proposte anche a causa della povertà della loro classe politica dirigente. Qual è allora la ricetta per ricostruire il ponte tra popolo e Stato?
«Domanda difficile. Qualcuno risponderebbe che, se il ponte tra società e Stato, tra cittadini e governo, cioè i partiti, non funziona più, occorre che i cittadini entrino direttamente nella cittadella dello Stato. É la democrazia diretta. Ma la democrazia diretta, in una collettività di 60 milioni di persone, non può funzionare. Quindi, l’unica speranza è quella di ripristinare il ponte, ma questo richiede idee, programmi, uomini capaci di fare davvero politica, invece del battibecco quotidiano su problemi di breve durata. »
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Nell’immagine in alto L’Atelier del pittore (1854-55) di G. Courbet.