Maria Lucia Tangorra, Il Giornale off, 15 XII 2015.
“Non dimenticatevi di noi”…
“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il ventiquattro maggio; l’esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera…»
Chi non conosce La canzone del Piave? Questi versi, tra quelli dedicati alla Prima Guerra Mondiale, ci sono rimasti impressi nella memoria, sin da piccoli, insieme a quelli di Giuseppe Ungaretti.
Ecco, mentre si visita la mostra dello Stato Maggiore dell’ Esercito Italiano, “La Grande Guerra. Fede e Valore”, queste parole fanno idealmente da sottofondo all’allestimento, composto da numerosi tasselli che creano un puzzle sempre più ampio e completo.
Potrete visitarla (gratuitamente) presso la Sala Viscontea delCastello Sforzesco fino al 17 gennaio.
Il materiale è raccolto in una grande sala e la visita all’intera esposizione non richiede un tempo molto lungo. Se poi avete avuto modo di assistere allo spettacolo La grande guerra di Mario, diretto da Edoardo Sylos Labini, con cui si è aperta la stagione 2015-2016 del Teatro Manzoni di Milano, sarebbe come chiudere un cerchio.
All’ingresso, si viene subito “accolti” dalle giacche degli eserciti, una austriaca e l’altra italiana (ce ne sono diverse, anche di altri Stati). Alle spalle campeggia la nostra bandiera, utilizzata dal 1910 al 1945, con lo stemma dei Savoia e la corona. Il primo pannello didattico (bilingue, italiano e inglese) introduce lo spettatore a ciò che la Prima Guerra Mondiale ha significato, fornendo dei numeri, in particolare, dal punto di vista del nostro Paese che vide, in quei 41 mesi, oltre 5.000.000 di italiani prestare servizio per la patria. Un concetto difficile da comprendere fino in fondo, soprattutto per le giovani generazioni. Quegli uomini comuni hanno provato sulla propria pelle la guerra: «reticolo, gas, rombo dell’artiglieria, fango delle trincee, l’attesa angosciante dell’assalto e dello scontro corpo a corpo, la presenza continua e quasi familiare della morte, l’esultanza liberatrice della vittoria e della fine dei combattimenti». È come se quei cimeli, così gelosamente custoditi nelle vetrine, rendano vere e tangibili quelle parole, quei gesti, quel dolore, che rese tutti uguali di fronte alla morte. La scelta di mettere accanto al berretto da volontario ciclista/automobilista delCappellificio Monzese anche l’Elmo da ulano della Germania imperiale o il Képi austriaco, e quello francese, ne è testimonianza.
I pannelli illustrativi vanno letti seguendo un percorso quasi a ferro di cavallo; tra questi, quelli dal contenuto più cronachistico ed altri che offrono uno spaccato più dettagliato delle fasi del conflitto. Qui impressi, tra manifesti o rare immagini, nomi che già conosciamo, come quello del generale Cadorna o dei futuristi Boccioni, Balla, Marinetti. I contributi descritti sono stati elaborati con minuzia dall’Esercito Italiano mentre la documentazione originale appartiene agli archivi di istituzioni pubbliche e private milanesi: Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Milano e Archivio di Stato di Milano – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Società Storica Lombarda.
Poi i documenti e le stampe, posti in modo ordinato, nella parte centrale e per tutta la lunghezza della sala;tra queste le venti incisioni del marchigiano Anselmo Bucci, cronista della Grande Guerra, tratteggiano quel periodo in maniera differente dall’eccentricità futurista. L’artista, usando per lo più la tecnica della “punta secca”, mette a tema vari momenti, da quelli propri dello scontro bellico a quelli di svago, come una partita a carte tra soldati. Il fatto che nell’ultimo lavoro,Ritorno ai campi, arrivi il colore è sintomatico anche dello stato d’animo con cui Bucci viveva la sua arte e quegli anni.
Dall’Archivio di Stato di Milano, invece, arrivano dei documenti, disposti in modo cronologico e divisi in quattro sezioni. Nel contesto della mostra, inoltre, numerose testimonianze cartacee ci ricordano come, nonostante il drammatico periodo, si fosse prestata grande attenzione alla tutela del patrimonio artistico e culturale italiano, messo in salvo dai rischi della guerra (come per ilCenacolo o ancora il ciborio della Basilica di Sant’Ambrogio).
Tutto quello che viene raccontato con le parole, i documenti autografi, gli abiti, gli oggetti del tempo ci fa ripensare a quel “Fede e Valore” che campeggia nel titolo della mostra. Uomini celebri, comuni e militi ignoti hanno fatto la storia insieme.
“Fede e Valore”. Valori, appunto, da riconoscere, che hanno unito gli italiani provenienti da ogni angolo della nostra terra, tra le trincee di quel primo conflitto mondiale.
La mostra rimarrà a Milano fino al 17 gennaio 2016, ma continuerà in tutte le provincie lombarde, concludendosi a Bergamo nel settembre 2016 .