Roberto Saviano, Repubblica, 22 III 2020
La mafia del coronavirus. Dalla droga alla sanità, la pandemia aiuta l’economia criminale
Le organizzazioni criminali sono come la Borsa, anticipano sempre le direzioni. La natura dei mercati azionari non è fotografare la crisi, ma prevederla; così, le mafie sentono gli affari prima che le esigenze di mercato si definiscano. Cosa fanno i clan, le strutture meglio organizzate del capitalismo contemporaneo, al tempo del coronavirus? È quasi impossibile capirlo ora, ma possiamo cogliere già dei segnali. Dall’osservazione di questi giorni sembra emergere che le mafie non fossero in possesso di informazioni maggiori rispetto agli altri.
Le mafie beffate anche loro, come tutti, dal regime comunista cinese che prima ha sottovalutato, poi nascosto e, quando era ormai impossibile occultare, ha comunicato ufficialmente la diffusione del virus. Nemmeno la mafia di Hong Kong (le potenti Triadi) aveva anticipato i tempi orientando i suoi affari in vista della pandemia. Ora quello che sta accadendo dal Messico al Kosovo, dall’Italia all’Iran è che le mafie si stanno muovendo verso la grande speculazione.
Le emergenze pubbliche aumentano la possibilità di guadagno per molte imprese, non solo per le organizzazioni criminali, ma queste ultime in particolar modo ne hanno un doppio vantaggio: affari e silenzio. Qualsiasi emergenza monopolizza l’attenzione mediatica: i meccanismi criminali non occupano più il loro spazio (già esiguo) nelle cronache, l’imperativo della sopravvivenza domina su tutto.
Inoltre, in Paesi come l’Italia rallenta in forma finale la già compromessa macchina giudiziaria. La pandemia è il luogo ideale per le mafie e il motivo è semplice: se hai fame, cerchi pane, non ti importa da quale forno abbia origine e chi lo stia distribuendo; se hai necessità di un farmaco, paghi, non ti domandi chi te lo stia vendendo, lo vuoi e basta. È solo nei tempi di pace e benessere che la scelta è possibile.
Basta guardare il portfolio delle mafie, per capire quanto potranno guadagnare da questa pandemia. Dove hanno investito negli ultimi decenni? Imprese multiservizi (mense, pulizie, disinfezione), ciclo dei rifiuti, trasporti, pompe funebri, distribuzione petroli e generi alimentari. Ecco, quindi, come guadagneranno. Le mafie sanno ciò di cui si ha e si avrà bisogno, e lo danno e lo daranno alle loro condizioni. È sempre stato così.
Le mafie negli anni sono riuscite ad infiltrarsi ai vertici del settore sanitario, come ha dimostrato la condanna per mafia di Carlo Chiriaco, che poteva essere al contempo direttore della Asl di Pavia e referente della ‘ndrangheta nella sanità lombarda. Il business criminale vero non è quello dei furti di mascherine destinate alla rivendita. Turchia, India, Russia, Kazakistan, Ucraina, Romania hanno fermato o ridotto le esportazioni di mascherine; 19 milioni di esemplari (tra Fpp2, Fpp3 e chirurgiche) sono bloccati all’estero, nei Paesi di produzione o in quelli di transito verso l’Italia. Chi negozierà gli sblocchi e i transiti, secondo voi?
E cosa succederà quando il cibo o la benzina inizieranno ad avere una distribuzione più lenta? Chi riuscirà ad aggirare divieti ed elargire beni senza soluzione di continuità? Le mafie. Ecco perché – se ne discute in queste ore – non bisogna creare allarme sulla possibilità di reperire cibo. Bisogna mettere in sicurezza gli esercizi commerciali che vendono al dettaglio i beni di prima necessità facendo nuove assunzioni, aumentando la turnazione e gli stipendi; ogni chiusura favorisce solo le organizzazioni criminali.
Oggi più che mai la politica è chiamata a prendere decisioni che determineranno la vita del nostro Paese nei decenni che verranno. È nella stagnazione dell’emergenza che vedremo il potere delle organizzazioni criminali, non in queste prime fasi, in cui si è portati a vedere solo l’eroismo e l’abnegazione dei singoli e l’intervento di uno Stato che si muove perentorio per rispondere alla crisi assumendo il volto del salvatore (sarà solo dopo che ci troveremo ad analizzare le mancanze, i tagli alla sanità, lo stato di degrado in cui versano molti ospedali pubblici, gli stipendi da fame riservati ai ricercatori).
Ma non bisogna solo pensare alla dimensione italiana del fenomeno criminale: gli aeroporti e le compagnie navali dell’Est Europa e del Sud America che spesso vengono utilizzati per il traffico di droga ora si stanno preparando ad accogliere le nuove merci richieste dal mercato dell’emergenza. Come lo sappiamo? L’abilità delle mafie è sempre stata quella di riuscire ad applicare schemi commerciali vincenti a prodotti di volta in volta più convenienti. E il mercato della droga al tempo dell’epidemia? L’emergenza ha favorito cartelli e cosche sull’ingrosso: in questo momento i controlli nei porti internazionali sono diminuiti, i carichi passano con più facilità.
Al dettaglio, c’è stata una iniziale impennata poco prima del lockdown, quando la gente ha fatto scorte di droga esattamente come ha fatto con gli alimentari. Fuori dai coffee shop di Amsterdam c’erano file lunghissime (a volte più lunghe che nei supermercati); a New York la marijuana gestita dagli spacciatori ha avuto un aumento esponenziale nella distribuzione nelle ore in cui le misure di chiusura sono state annunciate. I pusher hanno riempito i propri magazzini, pronti a tirarla fuori nel momento in cui i prezzi saranno saliti alle stelle; nel frattempo si sono liberati della merce più scadente che avevano in giacenza, riuscendo a piazzarla a un prezzo molto più alto rispetto a quello che il mercato normalmente avrebbe consentito.
In Italia, i clan hanno perso le piazze di spaccio e mantenuto un residuale mercato mettendosi in fila davanti ai supermercati e alle farmacie, che hanno sostituito scuole e parchi, ora chiusi. Hanno cercato di incrementare le consegne a domicilio, confondendosi nella schiera di runner che girano per le città, ma i controlli aumentati nelle strade e l’imposizione di viaggiare da soli hanno reso questo metodo difficile e rischioso.
C’è, infatti, un elemento nuovo in questa situazione. Sino ad ora le mafie hanno sempre potuto contare su affari che coinvolgevano, anche in circostanze di emergenza, movimenti di materiali, di mezzi, di persone: dai terremoti, alle alluvioni, alle inondazioni. Per la prima volta si devono relazionare con l’isolamento, con il non-movimento delle persone, con l’immobilità. La domanda non è se di questo sapranno approfittare, ma come. Come riusciranno a trarre vantaggio dalle code infinite per entrare al supermercato, dalla difficoltà (per non dire impossibilità) di fare la spesa online, dalle mascherine e dai disinfettanti introvabili, dalla perdita di lavoro che sta interessando il settore della ristorazione e del commercio in un Paese già segnato dalla disoccupazione?
Per osservare l’ultima epidemia che ha visto il crimine organizzato arricchirsi, bisogna andare indietro al 1884, quando Napoli fu devastata dal colera. Più del 50% dei decessi si registrò a Napoli. Affinché una simile strage non accadesse più, il Parlamento italiano approvò una legge per il risanamento della città di Napoli e stanziò 100 milioni di lire per le opere di bonifica.
Da quel risanamento guadagnarono tutti: appaltatori corrotti e senza scrupoli, ditte che vincevano le gare al ribasso per poi eseguire lavori incompleti o di cattiva fattura, politici alleati delle famiglie di camorra. Tutti, tranne la città di Napoli. La relazione della Commissione d’inchiesta di Giuseppe Saredo del 1900 parlava già allora di un’opera di «alta camorra». Fu una speculazione così evidente che lo storico Pasquale Villari arrivò a dire: «Meglio il colera che il Risanamento».
Ogni emergenza ha visto la criminalità organizzata sempre in prima linea. Durante la peste del ‘600 – raccontata da Salvatore De Renzi – l’aristocrazia, che non riusciva più a gestire l’emergenza in città, dovette fare accordi con le bande criminali, una sorta di proto-camorra che prese in carico vari servizi, dal controllo delle strade alla gestione dei cadaveri. Anche il settore agricolo, se non protetto dalla speculazione, rischia il collasso e la totale invasione criminale.
Esiste un precedente. Come scrive Piero Grima raccontando il colera in Sicilia nel 1867, i prodotti agricoli scarseggiavano perché la manodopera malata o terrorizzata non lavorava più nei campi. La mafia rurale decise di intervenire proponendo un patto ai proprietari terrieri: fornire lavoratori (che venivano costretti con minacce e ricatti, o scelti tra quelli più affamati e disposti a tutto) in cambio di pezzi di latifondo.
Questo accadeva 150 anni fa. Ma cosa potrebbe accadere oggi a una filiera in cui i clan sono già presenti dai mercati ortofrutticoli al trasporto sino al controllo della manodopera? Il rischio è che finiscano per decidere loro prezzi e modalità. E cosa accadrà dopo, quando l’emergenza sanitaria sarà finalmente passata? Come i migliori manager, le mafie stanno pensando anche a questo. Per ogni imprenditore sano che sta rischiando di chiudere il proprio ristorante o il proprio negozio, c’è un clan che è pronto a intervenire per strozzare o rilevare.
Se lo Stato non agisce sin d’ora sulle aziende in crisi, se attenderà una fase di minore allarme, sarà tardi, tardissimo. Dove il coronavirus non arriverà, arriveranno le mafie. Uno Stato che nel giro di un paio di settimane ha invitato prima a chiudere, poi a sdrammatizzare e far girare l’economia, e poi di nuovo a barricarsi in casa è uno Stato debole, facilmente preda di qualsiasi forma organizzata il cui principio di autorità è ottenuto tramite violenza e danaro pagato subito.
Anche l’Europa si è dimostrata totalmente impreparata. Le mafie non rispettano i confini, non sono spaventate dalla sospensione di Schengen, anzi, dalla chiusura ermetica dei confini traggono vantaggio perché hanno i mezzi per arrivare ovunque e fare della chiusura un’opportunità. Questa Europa ha tradito completamente le aspettative e i sogni dei padri fondatori. Alla prima occasione di emergenza ci troviamo in una situazione in cui le gelosie nazionali impediscono la possibilità di avere una piattaforma comune per valutare la pandemia.
L’Europa oggi sembra anche voltare le spalle al buonsenso e all’unico modo che abbiamo per salvarci la vita: condividere tutto. Questa Europa, così com’è, finirà probabilmente con il coronavirus, perché dopo tanta sofferenza, dopo la paura, dopo l’impossibilità che l’essere umano sta avendo di esserlo pienamente, forse nascerà qualcosa di diverso. Ora è il tempo dell’emergenza, l’imperativo è sopravvivere. Esattamente in contemporanea con l’epidemia, si stanno muovendo profitti e interessi criminali: conoscerli è parte della sopravvivenza.