Fabio Ferzetti, L’Espresso, 6 IX 2019
Maresco e Ciccio Mira, quasi una coppia comica per spiegare la mafia e l’antimafia
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Se un amico straniero di mente aperta e stomaco robusto ci chiedesse cosa vedere per capire l’Italia di oggi, uno dei primi titoli che gli consiglieremmo sarebbe La mafia non è più quella di una volta, il nuovo film di Franco Maresco messo con un certo coraggio in concorso a Venezia e molto applaudito dalla stampa e dal pubblico (in sala dal 12 settembre: non perdetelo).
La metà più sulfurea del duo di Cinico Tv se ne va infatti in giro per Palermo a indagare che cosa resta di Falcone e Borsellino a 25 anni dalla morte e accumula scoperte ora desolanti ora sconcertanti, ma soprattutto scoperchia un sottomondo popolato di figure tragiche ma anche patetiche, grottesche e spesso irresistibili come il Virgilio che gli fa da guida, quel Ciccio Mira che era già lo strepitoso protagonista di Belluscone e qui torna come simbolo vivente del trasformismo e dell’omertà più sfacciate (non uscite prima dei titoli di coda, la lezione finale su Ulisse “padre” della mafia è da antologia).
In realtà Maresco arruola nella sua missione impossibile anche un’altra figura, più nobile, che dovrebbe guidarlo in quel giro tra i luoghi e i volti che della mafia sono al tempo stesso le prime vittime e il terreno di coltura: Letizia Battaglia, la grande fotografa palermitana che per chiarire subito il tono irriverente della faccenda, mentre si fa pettinare il caschetto rosso, ricorda al regista che gli ha promesso di farle fare «la vecchia buttana», con la b, «nel suo prossimo film…» (e quando serve lo manda anche sonoramente a quel paese, che in palermitano non si dice esattamente così).
Si capisce però che Letizia Battaglia, con tutto il rispetto, è quasi una copertura. Il volto più integro e umanamente vicino a Maresco di una ufficialità con cui il regista non vuole avere niente a che fare. O per dirla più in positivo: la fotografa ancora spera (in Orlando, nella cultura, nella memoria…). In Maresco invece la disillusione è totale e forse perfino programmatica. Ma è proprio questo disincanto che gli permette di scendere giù, giù, sempre più giù, senza fermarsi davanti a niente e nessuno. Rivelando verità in cui l’orrore si fonde alla meraviglia e talvolta alla risata, come da sempre accade nella Sicilia barocca.
Inutile infatti perder tempo a deprimersi perché i ragazzi che scendono dalle “navi della legalità” cantano e ballano in ricordo dei due magistrati uccisi. Meglio andare a chiedere cosa provano agli abitanti delle periferie più miserabili, incassando indifferenza, insulti o minacce. Ma soprattutto, meglio raccontare la risibile Woodstock strapaesana e sotto-sotto-sottoproletaria che Ciccio Mira sta organizzando allo Zen per il venticinquennale di Falcone e Borsellino. Con assurdi balletti country, danzatrici del ventre sovrappeso, cantanti con la chitarra scordata, neomelodici catatonici, tutti impegnati a celebrare i due “eroi” della lotta alla mafia – ma per carità, senza mai dire la parola proibita. Anzi lodandoli per avere «costruito fogne, asili e giardini», fino a quando, testuale, «il Signore non li ha chiamati a sé»…
Capirete che un impresario capace di usare formule di questo tipo è un regalo per Maresco. Di più: una specie di specchio deformante in cui il geniale regista palermitamo ritrova qualcosa del suo stesso cinismo, ma di segno rovesciato, dunque capace di mettersi senza il minimo scrupolo al servizio del miglior offerente. Tanto lo spettacolo deve andare avanti ad ogni costo, e poco importa se andando avanti si scopre che il neomelodico catatonico ha qualche problema psichiatrico, e anche il catacombale produttore di Ciccio Mira, minacciato in diretta da un tipaccio ripreso da lontano, non ci sta nemmeno lui tanto con la testa…
Maresco non si ferma davanti a niente, lo abbiamo già detto, dunque entra nelle case, scopre parenti addolorati e privatissime tragedie, nasconde le macchine da presa per carpire momenti segreti, ma soprattutto ridicolizza a tal punto l’ineffabile Ciccio Mira da costruire con lui una specie di intesa segreta, fino a formare una coppia comica in cui la spalla (Maresco) è solo una voce fuori campo e quello che prende gli schiaffi (o meglio se li dà da sé) domina la scena circondato dal suo incredibile bestiario.
Non senza sparare, in sottofinale, un ricordo d’infanzia-rivelazione che porta fino al presidente Mattarella, nientemeno. Non per coinvolgerlo in storie di mafia o di trattativa, ci mancherebbe. Tutto ciò che veniamo a sapere è che il presidente e la sua famiglia, per una complicata e tragicomica serie di circostanze, sarebbero andati per anni gratis al cinema di un parente di Ciccio Mira. E che già allora il futuro ospite del Quirinale vedeva solo «film impegnati di un certo Imgma Berga» – «Un regista arabo?» chiede pronto Maresco. E Ciccio Mira, rassegnato: «Sì».