Alessandro Oppes, Repubblica, 2 III 2016
La Mancia. Nell’anniversario di Cervantes
A quattrocento anni dalla morte dell’autore del Don Chisciotte, un itinerario che comincia nella cella in cui Cervantes, in stato d’arresto, cominciò a scrivere il suo capolavoro.
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Ad Argamasilla de Alba, nella Casa de Medrano, si può scendere alla grotta dove si trova la cella in cui Cervantes, in stato d’arresto, cominciò a scrivere il Chisciotte. Nella vicina Tomelloso, rinomata per la sua eccellente produzione vinicola, caratteristica è la presenza dei “bombos”, gioielli architettonici del XIX secolo. Nei pressi di questa località, passando per il castello e santuario di Peñarroya, si entra nel Parque natural de las Lagunas de Ruidera, uno dei gioielli ambientali della regione. Altra tappa fondamentale è Esquivias. Qui Cervantes sposò nel 1584 Catalina de Salazar y Palacios, nipote dell’hidalgo Alonso Quijada che sarebbe servito allo scrittore da ispirazione del suo eroe letterario. A Ciudad Real si trova l’unico museo d’Europa dedicato interamente a Don Chisciotte. Infine, non si può evitare di far tappa a Toledo (al Museo de Santa Cruz, inaugurazione nei prossimi giorni della mostra “Moda en el Siglo de Oro”), uno dei luoghi fondamentali nella vita del grande Cervantes.
Uno reale, l’altro di fantasia. Ma quando si parla del “principe delle lettere” Miguel de Cervantes e della sua creatura Alonso Quijano, meglio noto come “l’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia”, c’è un filo comune – ambientale, artistico, culturale – che unisce le due figure e fa sì che seguire le tracce dello scrittore ci porti nei luoghi cari al “caballero de la triste figura”. Uno spazio che copre l’intera geografia della Castiglia centrale, la Mancia appunto, che con l’avvio delle celebrazioni per il quarto centenario della morte di Cervantes torna meta privilegiata.
L’immersione negli scenari del Siglo de Oro spagnolo si può affrontare in tanti modi, perché innumerevoli – più di duecento sono le iniziative confezionate per l’anniversario cervantino. A cominciare dall’esposizione che, al Museo del Prado, analizzerà i rapporti tra Velázquez e Cervantes, e una lunga serie di spettacoli, tra cui il “Ballet de Don Quijote”, della Compañía Nacional de Danza, o il musical di Mario Gas “El hombre de la Mancha”, al Nuevo Liceu di Barcellona dal 6 agosto e al Nuevo Teatro Alcalá di Madrid a partire dal 6 ottobre.
Ma il viaggio più appassionante è quello che ci porta nei luoghi del romanzo e della vita dello scrittore. L’itinerario più completo è quello ideato, già anni fa – e ora rilanciato in grande stile – dal governo regionale della Castiglia-La Mancia: 2500 chilometri che attraversano 148 comuni, tra storia, cultura, meraviglie della natura. Un progetto di valore tale che, nel 2007, è stato proclamato dal Consiglio d’Europa Itinerario Culturale Europeo. Inutile pensare di percorrerlo per intero. Sono dieci tappe, e ognuno può scegliere su quali luoghi concentrare l’attenzione. Molto si è discusso su quale sia quel paese della Mancia “che non voglio ricordare come si chiami” del celeberrimo inizio del romanzo. Secondo gli ultimi studi dei ricercatori della Complutense di Madrid, si tratterebbe di Villanueva de lo Infantes, 6000 abitanti in provincia di Ciudad Real. Per ritrovare i celebri mulini a vento della battaglia immaginaria contro i “giganti”, dovremo andare a Campo de Criptana: un tempo ce n’erano una quarantina, ora ne restano dieci, conservati in ottimo stato. Indispensabile anche una visita a El Toboso, dove ancora si può visitare la “Casa de Dulcinea”. Ma qui si trova anche un “Museo Cervantino” che conserva 400 edizioni del Don Chisciotte. Da qui, spostandosi in direzione di Ossa de Montiel, si raggiungono due scenari caratteristici delle avventure del Chisciotte: la grotta di Montesinos e il castello di Rochafrida.
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Gabriele Romagnoli, Repubblica, 7 II 2016
Siamo tutti Don Chisciotte
Cervantes è morto quattrocento anni fa, il suo eroe invece è vivo e si nasconde nella nostra parte migliore.
È colui che, lancia in resta, ogni giorno ha una nuova battaglia da perdere trasformando il quotidiano in epica e crogiolandosi nell’impossibile. Cavalca al confine tra visionarietà e illusione. E spesso trascina con sé nel fango uno scudiero che gli si mette appresso per fede.
Miguel Cervantes è morto quattrocento anni fa, ma Don Chisciotte, la sua creatura, è vivo e lotta insieme a noi, o contro di noi. Lo incontriamo ogni giorno: nei tg che parlano di politica, nelle cronache sportive, in tribunale, in chiesa e, inevitabilmente, allo specchio. È quello che, lancia in resta, ogni giorno ha una nuova battaglia da perdere. Sa definirsi solo attraverso gli avversari, ammassandone quantità e qualità con lussuria da combattimento. Trasforma il quotidiano in epica. Si crogiola nell’impossibile e ambisce, più di ogni altra cosa, alla sconfitta, nella cui nobiltà si riconosce e, seppur per poco, riposa. Cavalca al confine tra visionarietà (prodromo di grandezza) e illusione (sintomo di miseria). Trascina con sé nel fango (che proclama dorato) uno scudiero, anche più. Questo gli si mette appresso per fede, ci resta per pietà e, infine, perché non gli resta altra vita che all’ombra di quel sole spento: almeno di follia bruciò. Don Chisciotte non era un personaggio, ma un prototipo. Ha generato una filiera, gli epigoni sono qui, anche se nessun Cervantes li racconta perché in letteratura vale solo la matrice, il resto sono copie, imitazioni, realtà.
In politica esistono molti esempi, due tra tutti: uno in Italia e l’altro negli Stati Uniti. Il primo è Marco Pannella. Da decenni, armato di sigaretta, si batte per tutto e tutti. Protesta, digiuna, s’imbavaglia. Scioglie e ricostituisce. Battezza e scomunica. Mai che acconsenta o riconosca. Se all’inizio le sue cause erano chiare e condivise, con il tempo il fumo si è alzato anche lì e dai gloriosi referendum che hanno portato a vere conquiste nel campo dei diritti civili si è passati a terreni più friabili, sui quali era difficile seguirlo. È valso anche per gli scudieri che, a differenza di Don Chisciotte, si è divorato uno a uno, disconoscendoli, trasformandoli in nemici, attaccandoli, in attesa del duello finale con la propria ombra.
Il secondo, il fratello americano, è Ralph Nader, quello che si candidava alla Casa bianca per perdere e far perdere. Mister due per cento, felice e contento. Il leader della nicchia e guai se si allarga. Se avessero un inno sarebbe Figlia, la canzone di Roberto Vecchioni che dice: «Vincere significa accettare e questo, lo dovessi mai fare, tu questo non me lo perdonare».
Nudi e senza meta. Forse un po’ profeti di questo tempo rovesciato in cui tra i possibili candidati alla presidenza degli Stati Uniti l’eventuale indipendente (Michael Bloomberg) è un mulino a vento e il vero Don Chisciotte è quel democratico (Bernie Sanders) che pur di assicurarsi la sconfitta si dichiara socialista, come uno che ai controlli dell’aeroporto Kennedy, nell’apposito modulo, alla domanda «Intende svolgere attività terroristiche?» rispondesse barrando la casella del sì.
C’era un Don Chisciotte femmina davanti ai cancelli della Casa Bianca. C’è stata per oltre trent’anni: dal 1981 al gennaio scorso. Si chiamava Concepcion Picciotto, detta Connie. Le avevano portato via la figlia adottiva, almeno così sosteneva. E allora, «in nome di tutti i bimbi del mondo », protestava chiedendo il disarmo nucleare. Con un casco in testa, non ha mai mancato un giorno. Altri si sono uniti: il suo scudiero, tale William Thomas, morì dopo 25 anni di avanti e indietro sul marciapiede. Lei continuò. Alla sua morte un’agenzia di stampa ha scritto: «Molti la consideravano un’eroina, altri dubitavano della sua sanità mentale. La verità probabilmente sta nel mezzo». Esattamente dove cavalca Don Chisciotte.
Se si fosse fermato su una panchina avrebbe assunto le sembianze di Zdenek Zeman e si sarebbe lanciato contro l’invincibile, svelato magagne. Avrebbe comminato uno schema di gioco splendente e perdente, si sarebbe beato del 5 a 4, in favore o a sfavore, senza distinguere. Esattamente quel che ha fatto il boemo, senza mai cambiare una virgola di sé, mai adattarsi, continuando sempre ad attaccare, con o senza palla. Accusando, accusando. Spesso a ragione, ma come si faceva poi a distinguere il torto, l’infondatezza?
Non è un caso che un suo assist sia stato raccolto dal magistrato Raffele Guariniello della procura di Torino, il Don Chisciotte dei procedimenti penali. Dopo essersi dimesso, nel dicembre 2015, ha annunciato “donchisciottescamente” di voler fare l’avvocato «al fianco dei più deboli». Di lui Wikipedia sobriamente scrive: «È spesso comparso sui giornali per eclatanti inchieste». Talora finite con archiviazione, prescrizione o trasferimento del fascicolo, ma lui non si è mai arreso: era già sul prossimo caso, su una nuova prima pagina. I suoi mulini a vento sono stati: la Fiat, le farmacie del calcio, la Sanità, il metodo Di Bella, il metodo Vannoni, la Thyssen, l’Eternit. Alcuni erano veri draghi, qualcuno è riuscito perfino a infilzarlo. Con lo stesso spirito con cui Erin Brokovich, legale dilettante, impersonata sullo schermo da Julia Roberts, infilzò la multinazionale che contaminava con il cromo le acque di una cittadina americana e da allora si dedica a questa battaglia ovunque nel mondo. È uno dei pochi casi in cui Don Chisciotte vince. Un altro è quello di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006 che ha osato sfidare addirittura il sistema bancario internazionale con l’idea del microcredito (manco una lancia, una forchetta). Poi l’hanno trascinato nella polvere ma questo accadde anche al paladino di Cervantes.
Se guardiamo la cronaca recentissima, quella della settimana appena trascorsa, non sarà difficile individuare i due sommi discendenti del cavaliere spagnolo. Uno è Julian Assange, anarchico, libertario, hacker in nome della libertà d’informazione, della trasparenza di tutti i poteri e rifugiato politico, confinato nel perimetro della sua esistenza digitale. L’altro è papa Francesco, il parroco che vuol cambiare la Chiesa di Roma, moralizzare chi parla in suo nome e per conto, diffondere nel mondo, addirittura, la misericordia.
Esempio alto, ma strada facendo non c’è lettore che non si sia identificato, per un tratto, una causa, una romantica disperazione, in Don Chisciotte. Incluso qualche Sancho Panza e molti, moltissimi mulini a vento.