Dario Aquaro, Il Sole 24 ore, 15 XI 2018
Gli studi legali esplorano l’esito delle sentenze con l’intelligenza artificiale
*
Le previsioni sono difficili, soprattutto se riguardano il futuro. In questo aforisma sta anche il senso della sfida che, vista dall’Italia, attende lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (Ai) in campo legale. Sia chiaro: la spinta sui sistemi evoluti di Ai si sta già consolidando in diverse funzioni, dalla ricerca giuridica alla consulenza contrattuale; e sta già scardinando il lavoro “routinario” degli avvocati, senza per questo scatenare i temuti effetti di appiattimento della professione.
E intanto si guarda alla frontiera delle applicazioni predittive, pur costellata di molti distinguo e altrettante premesse. Perché quando si parla di intelligenza artificiale, “aumentata”, si parte da un dato di fatto: «Il divario tra i Paesi anglosassoni e il resto del mondo – come spiega Giovanni Lega, managing partner di Lca –. Se il mercato dei grandi studi americani e inglesi è florido di investitori, e vede oltre cento applicazioni di Ai già attive, il mondo della civil law, e dunque anche quello italiano, risente di alcuni freni e viene purtroppo smarcato da differenze linguistiche. L’adattamento di applicativi pensati per l’estero richiede tempo e investimenti». Che però si ripagano in termini di efficienza, come mostra il caso di Luminance, la più diffusa piattaforma di Ai per la due diligence, nata nel Regno Unito e implementata in Italia per primo dallo studio Portolano Cavallo.
Dietro l’insegna del “legal tech” si estende un territorio sempre più vasto (dalla ricerca all’analisi, alla stesura dei documenti), ed è quindi naturale che a tracciare la rotta italiana siano soprattutto le sedi delle law firm internazionali, dotate di risorse e capacità. Dentons, per esempio, si è mossa da tempo creando il fondo di venture capital Nextlaw Ventures e Nextlaw Labs, un acceleratore per start-up focalizzato sullo sviluppo di soluzioni tecnologiche per i servizi legali, che si avvale dell’esperienza di migliaia di avvocati nei vari Paesi coperti per suggerire e testare i nuovi strumenti. La due diligence (per cui in giro ci sono tante piattaforme disponibili) è solo un piccolo esempio.
«Lavoriamo con startup quali Ross e Beagle, su legal research e contract review – racconta Giangiacomo Olivi, partner di Dentons –. Abbiamo sviluppato software che a partire dagli input immessi creano le basi di un contratto, strumenti di project managemente gestione finanziaria a uso interno, per gestire la reportistica con i clienti, o sistemi di giustizia predittiva (Predictice) per prevedere gli esiti del contenzioso facendo leva sullo storico».
Insomma, non c’è attività che non potrà essere svolta da uno strumento di Ai, «fatto salvo il ruolo “metagiuridico” dell’avvocato stesso, che supervisiona e valuta gli elementi di contesto. Chi saprà adattarsi sarà agevolato, perché la misura dei servizi legali non è più nel tempo dedicato ma nei risultati ottenuti. E alcune attività seriali – sottolinea Olivi – diventeranno commodity, per cui sarà difficile far crescere i ricavi con l’aumento dei volumi». Altre conseguenze? Cambierà anche la matrice degli studi: non più verticale ma a rete, come se la struttura a nodi della blockchain si applicasse anche all’organizzazione.
«Al momento gli ostacoli sono culturali, di difesa “conservativa”, più che tecnologici. Anche se in prospettiva scomparirà l’impiego routinario, non la funzione dell’avvocato, che dovrà anzi allargare il campo delle proprie competenze», riassume Giulio Coraggio, partner di Dla Piper. Il più recente sistema di intelligenza artificiale messo a punto da Dla Piper è un chatbot (Prisca) basato su Ibm Watson e disponibile gratuitamente su Telegram messenger, per rispondere ai quesiti in materia di privacy e segreto industriale: uno strumento che supporta e non sostituisce l’assistenza legale.
«Il double check umano c’è sempre, anche nell’altro sistema (Kira) che usiamo per la revisione dei contratti e che aiuta a identificare le clausole più delicate e rischiose. In entrambi i casi – precisa Coraggio – la tecnologia non è nostra, ma tutti i contenuti sono forniti e approvati da nostri avvocati. Mentre un ulteriore sistema riguarda l’autocompilazione dei contratti (non in fase definitiva, ma con una base completa), per assistere i clienti che ne devono stipulare tanti in poco tempo».
Dla Piper sta lavorando anche sulle analisi predittive, per automatizzare il tracciamento del precedente e delineare ai clienti le probabilità (percentuali) di vittoria nei vari contenziosi. Ma se sul fronte della “contrattualistica” in Italia si è già in fase avanzata, quando si parla di “precedente” torna il confronto con il modello di common law. E un interrogativo: quanto la predizione fondata sulle sentenze trascorse potrà davvero essere praticabile in un ambiente giuridico come il nostro?