Francesco Gallo Mazzeo, 6499milano/Klessidra, 26 II 2025
BEN. ELOGIO. SCRIPTURA.
Ho conosciuto la scrittura a cinque anni, da uditore esterno, nella prima elementare, che frequentavo da non iscritto regolare, in quanto non avevo ancora i sei anni prescritti. Ma ho cominciato a gennaio e quindi con mesi di ritardo dall’inizio delle lezioni e il ritardo si rifletteva in alcune lettere dell’alfabeto che non sapevo scrivere, come la D maiuscola e dato che ogni giorno c’era un Dettato, io scrivevo ettato, senza la D. Cercavo di copiarla dal mio compagno di banco, Trigila Salvatore (prima cognome e poi nome) che faceva scudo con la sua manina, piccola piccola (la ricordo come fosse oggi) e quindi niente da fare, ettato e basta. Non sapevo fare nemmeno il numero otto e facevo due palline, una sopra l’altra e quindi, qui me la cavavo. Non ero bravo in composizione di tema o racconto e scrivevo sempre, poi, poi, poi. Ma poi sono andato meglio e mi sono innamorato della scrittura e dei numeri, anche se tuttora ignoro se la scrittura e i numeri si siano innamorati di me.
Ho conosciuto Ben, negli anni Ottanta, durante la mia frequentazione di Tolosa, di Carcassonne e delle regioni dei Pirenei e della Provenza, con tanti viaggi in macchina da e per Milano, dove allora vivevo stabilmente, con ampie soste a Marsiglia. Ben Vautier, celebre artista di Fluxus, mi era stato indicato da Giuseppe Chiari, lo incontrai a Nizza e rimasi subito impigliato nella sua rete di affermazioni e bella calligrafia, che stabiliva un nesso fra la significazione e la designificazione della scrittura, come codice e come apparato grafico, in una logica non logica, che ambiva all’autosignificanza.
In lui c’era, come anche in Chiari, una volontà dadaista di bagnare la parola, il senso, in un grande Arno, fiume linguistico per eccellenza, di incastri e di liberazioni, che non fossero prendibili da nessuno e segnassero un’anarchia di pensiero, fatta di dolcezza, ma non per questo meno inesorabile e decisa, nella contestazione di un feticismo della parola, da troppi ridotta a un’ancella di automatismi alienanti. C’è un’analogia con le parole libere e con i poemi da gettare, ma essa si ferma alla superficie, in quanto vuole andare più a fondo, fondandosi non sull’aperta fase di contestazione, ma sulla mimesi, sul nascondimento formale. C’è una grande angelicità in tutto questo, ma anche una linea di condotta che si sforza di prevedere la capacità di sembrare ed essere, nello stesso tempo. Fingersi innocua ed essere, in essenza, una forza di trasformazione, ideale e reale, servendosi anche di una metafisica proveniente da Magritte e svolazzante tra di noi, come tutto e il contrario di tutto, come arte dell’arte.
* * * * § * * * *
Note su Ben Vautier estratte da “Exibart” del 5 giugno 2024
Ben Vautier, considerato uno dei capostipiti delle Avanguardie del Secondo Novecento e tra i fondatori del leggendario gruppo Fluxus, è conosciuto per le sue opere al confine tra arte visiva e linguaggio: famosi in particolare i suoi slogan composti con una scrittura rotonda, spesso impressa con inchiostro bianco su sfondo nero. Vautier ha esposto nei musei più importanti al mondo e i suoi lavori sono conservati nelle collezioni del MoMA di New York e del Reina Sofia di Madrid. Nel 2022 il museo MUAC di Città del Messico ha dedicato a Vautier un’ampia retrospettiva, curata da Ferran Barenblit.
Al Centre Pompidou di Parigi è esposta una sua opera ambientale di grande suggestione, Le magasin de Ben, un’installazione che replica il negozio di dischi che Vautier aprì a Nizza nel 1958 e diventato un punto di riferimento per l’ambiente intellettuale e artistico dell’epoca. Il negozio fu smantellato nel 1974 e ricostruito nel museo d’arte contemporanea parigino. Questo accumulo di oggetti testimonia il fascino estetico dei materiali reperiti e quel rigetto della serietà tipico dello spirito Fluxus.
Benjamin Vautier nacque a Napoli il 18 luglio 1935, da una famiglia francese, pronipote dell’apprezzato pittore svizzero omonimo ed è morto a Nizza il 5 giugno 2024. Scoprì Yves Klein e il Nouveau Réalisme negli anni ’50 ma si interessò rapidamente all’arte dadaista di Marcel Duchamp e alla musica di John Cage. Nel 1959 fondò la rivista Ben Dieu e nel 1960 espose per la sua prima mostra personale, al Laboratoire 32. Nel 1962 si unì a George Maciunas nel movimento artistico Fluxus.
Nei primi tempi, Vautier applicò il metodo dell’appropriazione degli oggetti quotidiani teorizzato da Duchamp ma fu attivo anche nella mail art. Iniziò a essere notato per i suoi dipinti basati su testi apodittici, come nel caso di KUNST IST ÜBERFLÜSSIG, l’arte è superflua, opera presentata alla Documenta 5 di Kassel, curata da Harald Szeemann nel 1972. Precedentemente, dal 1962 al 1970, aveva partecipato ai festival internazionali Fluxus, promuovendo diverse azioni in stile dada. In quegli anni, si rese protagonista di alcune performance impattanti, come quando espose se stesso nella vetrina della Gallery One di Londra per due settimane, oppure quando espose la portinaia, nella Galerie Zunini di Parigi. Negli anni ’80 invece fu promotore di una nuova tendenza pittorica, la Figuration libre, il corrispettivo francese del Neoespressionismo statunitense, della Junge Wilde in Germania e della Transvanguardia in Italia.