Eleonora Barberi, Il Giornale, 13 I 2019
AVVENTURE NEL MARGINE D’ERRORE
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Siamo tutti un po’ come il coyote dei Looney Tunes, quello che insegue Beep Beep e continua a correre oltre il dirupo, almeno fino a che non guarda in basso e si accorge di non essere un uccellino, e di non saper volare. Il coyote cade, Beep Beep è salvo. Ma – esattamente come noi – fino a che non si rende conto del suo errore, il coyote fila alla grande: perché nei nostri sbagli ci troviamo benissimo, il torto ci fa sentire perfettamente nel giusto, fino al momento in cui si rivela per quello che è. E allora, a quel punto, cadiamo come il coyote: imbarazzo, vergogna, umiliazione. Errore, appunto.
Terreno di indagine di Kathryn Schulz, giornalista del New Yorker, premio Pulitzer, autrice di L’arte di sbagliare. Avventure nel margine d’ errore (Bompiani, pagg. 544, euro 17; in libreria dal 16 gennaio), un saggio di «Errologia» scritto dopo cinque anni trascorsi a «riflettere sull’ avere torto», una situazione che, secondo l’ autrice, dice molto della natura umana, e della nostra intelligenza. Perché tendiamo tutti a essere come quel chirurgo del Beth Israel di Boston – ospedale americano d’ eccellenza – che «sentiva di essere dalla parte giusta» della paziente, solo che le aveva operato (benissimo) la parte sbagliata.
Kathryn Schulz, perché ha deciso di occuparsi proprio di errori?
«È stata… una rivelazione. Stavo lavorando su una serie di storie – un evento politico in Texas, uno scienziato di Yale, un ricordo personale – e un giorno, salendo le scale di casa, all’ improvviso ho capito che tutte riguardavano la stessa cosa: come nascono le nostre convinzioni, perché siamo così attaccati a esse, e come ci sentiamo quando crollano. E mi è stato chiaro che quelle idee sarebbero state parte di un libro sull’errore».
Perché gli errori sono così interessanti rispetto alla verità?
«Come sanno gli studenti di medicina, uno dei modi migliori per imparare qualcosa sulla salute umana è studiare le malattie. E lo stesso vale per gli errori: studiando come le nostre menti sbagliano possiamo capire come funzionano».
Perché l’errore è una «categoria dell’ esperienza umana»?
«Il nostro atteggiamento nei confronti dell’ errore influenza quasi ogni relazione umana, di solito in peggio. Eppure, raramente ci concentriamo su di esso».
Ma perché ci costa tanto ammettere di avere sbagliato?
«La nostra cultura associa l’essere nel torto con l’ essere pigri, stupidi, o perfino cattivi. A peggiorare le cose, la maggior parte di noi non è gentile con coloro che ammettono l’errore: li denigriamo e diciamo cose come Te l’ avevo detto. È un circolo vizioso».
Eppure avere ragione è un piacere enorme, e universale…
«Dà una certa eccitazione perché, appunto, ci hanno insegnato che avere ragione è un segno di intelligenza. E poi c’è una specie di incentivo evoluzionistico: essere nel giusto è importante per la sopravvivenza e la sicurezza».
Dice che, sull’errore, commettiamo un meta-errore colossale.
«Sì: ci sbagliamo su quello che significa sbagliare. Tendiamo appunto a equiparare l’avere ragione con l’essere intelligenti, ma non è affatto vero. Le persone più in gamba non sbagliano meno di frequente. Anzi, sono più veloci nel riconoscere i loro errori e ad adattare le loro convinzioni di conseguenza».
Ha una visione ottimistica?
«Per la visione pessimistica, l’ errore è un fallimento, un peccato perfino; invece, per quella ottimistica, l’ errore è una forza propulsiva dell’ evoluzione intellettuale e personale. E la nostra capacità di sbagliare è del tutto inestricabile dal miracolo della cognizione umana».
Parafrasa Sant’ Agostino con Cartesio: Fallor ergo sum. Sbaglio dunque sono.
«A volte credo che il mio sia un libro sul dubbio: la capacità di mettere in discussione le nostre convinzioni e di essere a proprio agio nell’ incertezza è cruciale per essere delle brave persone e dei bravi cittadini».
Lei dice di più: dice che è fondamentale nel progresso scientifico, nella creatività artistica…
«Nella scienza, la certezza assoluta è la via più rapida per annullare la curiosità e perdere la possibilità di imbattersi in verità inaspettate. E poi, visto che sbagliamo in continuazione, tutti vivremmo più serenamente se ci abituassimo ad accettare un certo margine di errore in tutto ciò che pensiamo e facciamo».
Molti errori non sono dovuti solo alle convinzioni, ma ai sensi che ci tradiscono. Fra queste cantonate della percezione, qual è la sua preferita?
«Amo molto quelle strane illusioni ottiche che le persone sperimentano quando viaggiano ai Poli. Da tempo immemore, gli esploratori artici hanno raccontato di visioni strambe, incredibili: navi appese all’ingiù nel cielo, montagne distinguibili nei minimi dettagli, laddove non esistono montagne, e così via. Oggi, con le nostre conoscenze di ottica e della curvatura terrestre, abbiamo delle ottime spiegazioni sul perché accadano, eppure queste illusioni restano spettacolari».
Gli errori ci trasformano?
«Per me questo è l’aspetto più eccitante nell’ ammettere i nostri errori: nel farlo, cambiamo le nostre convinzioni e, a volte, le nostre vite. Nel libro racconto la storia di un ex leader del Ku Klux Klan il quale, per una serie di circostanze, è costretto a lavorare a stretto contatto con una donna afroamericana della sua città. All’inizio la scredita e la disprezza, poi ne riconosce la grande umanità, capisce quanto abbiano in comune e, alla fine, comprende quanto era enorme e terribile il suo errore. E questo cambia completamente la sua esistenza».
Siamo anche molto sicuri dei nostri ricordi, specialmente se collegati a fatti tragici. E invece…
«Sappiamo da tempo che la memoria umana è straordinariamente fallace. Numerosi studi mostrano che, durante gli esperimenti, le persone che sono testimoni di un crimine riportano fatti errati, inclusi quelli più importanti, con assoluta sicurezza; allo stesso modo, è sorprendentemente facile convincere qualcuno di ricordare qualcosa che non è mai successo».
Saperlo ci aiuta?
«In realtà, sapere quanto i nostri ricordi possano essere ingannevoli non impedisce che ci sembrino estremamente convincenti. Questa fiducia profonda nei nostri ricordi infedeli può avere conseguenze molto gravi, specialmente nell’ ambito della giustizia: il sistema continua a considerare la testimonianza oculare come una delle prove più affidabili, nonostante una quantità di ricerche abbia stabilito che è del tutto inaffidabile».
Che cos’ è l’errore, alla fine?
«È qualcosa di assolutamente positivo. Rispecchia sia la sofisticatezza del cervello umano, sia la meraviglia e i misteri del cosmo. Certo, ci sono errori tragici e inaccettabili, che dovremmo cercare di evitare; ma, anche in quei casi, non ci fa bene l’atteggiamento di chi è orripilato e umiliato da essi. Credo che dobbiamo accettarli come delle realtà e, idealmente, sfruttarli come strumenti per fare progressi, in tutti gli ambiti della vita».