Annamaria Piacentini, Libero Quotidiano, 26 III 2017.
INTERVISTA AL MAESTRO RENZO MARTINELLI
L’ appuntamento con il Maestro Renzo Martinelli per questa intervista esclusiva è fissato a metà mattinata in un elegante studio romano. Incontrare un regista come lui, capace di girare film di denuncia in un Paese dove la verità è un optional, è un’ esperienza davvero interessante. Ne diventa un narratore attento, senza perdere il suo encomiabile self control. Di lui ti colpisce l’ onestà intellettuale e lo sguardo morale che regala alla sua Italia, quando racconta quelle pagine mai dimenticate di cui nessuno ha avuto il coraggio di parlare. Il suo cinema diventa cronaca vera, dal Vajont, la diga del disonore, a Piazza delle cinque lune, sul caso Moro, un mix tra politica e cronaca fino a Ustica, quando il DC9 della compagnia Itavia il 27 giugno del 1980 scompare dagli schermi dei radar e si inabissa nel Mediterraneo tra Ponza e Ustica. Sono film a rischio di cui era consapevole sin dall’ inizio.
Quanto le è costato in termini morali fare un film su l’ affaire Ustica?
«Me l’ hanno fatta pagare! Il film è andato nei cinema per pochi giorni e poi è sparito. Con il film su Moro è accaduta la stessa cosa. Ma ora lo studiano alle Università e tanta gente lo ha rivalutato».
Ha 3 lauree ed è un ottimo regista. Chi glielo fa fare di parlare di verità taciute in questo Paese?
«Dovrebbe essere necessario perché la nostra società non ha più memoria. Ritengo che il dovere di un intellettuale sia quello di evocare la verità e di comunicarla. Mi piace questo tipo di cinema che recupera le vicende accadute per riproporle sotto un’ altra luce. Ma non sempre c’ è chi le accetta».
Per esempio?
«Due mesi prima dell’ uscita del film volevo anticipare la notizia. Ho contattato il direttore de L’ Espresso che è stato entusiasta dell’ interesse verso il suo giornale, ma il giorno dopo mi ha richiamato dicendomi che la storia non andava bene per la sua linea editoriale. Stessa cosa con Panorama». Come l’ ha presa? «Ho capito. Viviamo in tempi in cui se non vai nei talk show, non esisti. L’ ufficio stampa ha provato anche questo canale, ma nessuno ne ha voluto sapere. Eppure il film l’ ho girato dopo aver approfondito l’ argomento con il giudice Priore».
Cosa le ha detto Priore?
«Che se un magistrato dovesse provare la collisione con un caccia americano sarebbe complicato anche per un problema di giurisdizione».
Omertà?
«In tutto il mondo è così. Ci sono delle ragioni di Stato che lo impediscono. Dopo 30 anni l’ idea di un missile che ha provocato l’ incidente di Ustica, viene ancora rifiutata. Siamo dipendenti dal governo americano. Abbiamo bevuto per anni che Saddam Hussein aveva le armi di distruzione totale. Invece non hanno trovato nulla».
E delle stragi in Italia?
«In 70 anni di storia repubblicana non c’ è un episodio su cui possiamo dire con certezza di sapere la verità: l’ Italicus, il caso Moro, Mussolini, questo fa capire che c’ è una ragion di Stato che ha occultato e costruito».
Deluso?
«No, continuo per la mia strada. È un dovere anche verso i giovani. Solo studiando il passato possiamo guardare al presente. L’ incomprensione nasce dall’ ignoranza del passato».
Un passato che porterà sul grande schermo con due nuovi film.
«Il primo è una storia d’ amore ambientata nel ’66 durante l’ alluvione di Firenze, con Riccardo Scamarcio nel ruolo di un bandito che decide di evadere dal carcere nel giorno sbagliato. L’ antagonista è una bella ragazza francese che fa la restauratrice a Firenze».
Nel secondo si ispira a una storia vera.
«Sono laureato anche in Scienze politiche, la ricerca storica e politica mi interessa. Il film è concentrato sulla morte di Mussolini avvenuta vicino al lago di Como. La porterò sul grande schermo come è realmente accaduta, cambiando la versione dei partigiani comunisti. Solo così il cinema diventa cronaca vera».