Roberto Sommella, blog in HuffPost, 3 XI 2018
Il vero spread è quello della conoscenza
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C’è uno spread molto più insidioso di quello sui tassi d’interesse: è il divario tra i livelli di conoscenza. Un gap che genera malessere nella nostra società. Se ne è accorto un banchiere di lungo corso come Giuseppe Guzzetti. Nel suo ultimo intervento da presidente dell’Acri, invece di concludere con un monito classico sulla necessità di tutelare il risparmio, ha scritto nero su bianco: ”Nella stagione che stiamo vivendo un veleno sta insinuandosi nella nostra vita quotidiana e colpisce i gangli più delicati della nostra democrazia. È l’odio che spacca il paese. L’odio non viene dal nulla. I bisogni reali non posso essere ignorati, non vanno strumentalizzati ma affrontati e risolti. Anziché percorrere la strada spesso difficile e impervia del confronto democratico, si preferiscono scorciatoie pericolose”.
Che ci siano motivi economici dietro l’astio sociale ormai è rappresentato da molte statistiche che, da tempo, indicano l’ampliarsi delle disuguaglianze tra chi arretra nel territorio della povertà e chi invece accumula sempre più ricchezza. Ma forse stiamo vivendo un cambiamento ancora più profondo nella nostra comunità, una rivoluzione, o forse sarebbe meglio dire un’involuzione, culturale che deve far riflettere.
Si prendano alcune ricerche che recentemente hanno affrontato questo tema su tre fronti: la rivoluzione digitale e i suoi effetti, il livello di spesa in ricerca e sviluppo, il grado di formazione. Sul primo punto, secondo il Censis, in Italia in dieci anni è triplicata la spesa per gli smartphone, raggiungendo i 23 miliardi di euro: qualcosa come due terzi della manovra del governo Conte; nello stesso tempo è aumentata del 33% l’audience sul web, mentre la quota di popolazione che usa stabilmente i social è giunta al 72,5%. Contemporaneamente, i lettori di giornali si sono dimezzati e meno di un abitante su due ha aperto un libro negli ultimi dodici mesi. La lettura, forse non solo essa, ha preso la forma monodimensionale di un tablet o di un device.
Non va meglio nel settore della conoscenza. Il rapporto Istat ha segnalato tre aspetti da brividi: siamo il paese in Europa con meno laureati (20% della popolazione); si sta riducendo la ricerca di posti ad alta specializzazione rispetto a tutti gli altri paesi e anche l’impiego nei settori ad alta tecnologia è agli ultimissimi posti nell’Ue; continua a calare la spesa in ricerca e sviluppo. Da analizzare in particolare questo ultimo punto. La spesa totale R&S sostenuta in Italia è stata pari a circa l’1,3% del Pil contro la media comunitaria di poco superiore al 2% e in Europa è inferiore rispetto ai principali paesi europei, tranne la Spagna. Il divario è particolarmente ampio per le imprese ma sussiste anche per l’Università e i centri di ricerca pubblici.
Ma è tutto l’impianto formativo a perdere colpi. Eurostat ha certificato che l’Italia è il paese che ha il primato negativo persino per i giovani laureati. Tra i 25 e i 34 anni, ha concluso gli studi accademici il 26,4% delle persone contro il 38,8% nell’Unione. Mentre abbiamo purtroppo ancora un’alta percentuale di italiani con al massimo la licenza media: 41,1% tra i 15 e i 64 anni contro il 26,2% europeo. E la percentuale è molto elevata tra i giovani: il 25,6% delle persone tra i 25 e i 34 anni non ha frequentato (o non ha finito) la scuola secondaria, contro il 16,4% medio in Europa.
Insomma in piena rivoluzione digitale, dove ognuno può formarsi ormai una conoscenza fai-da-te in una selva di informazioni e di fake-news, stiamo arretrando dal baluardo che rende unito uno Stato: la scuola, da cui dipende la formazione dell’individuo e in fondo anche l’identità di una nazione. Dello scollamento tra conoscenza e realtà, si è detto preoccupato anche il Presidente della Repubblica, quando ha affermato che ”nel tempo delle comunicazioni immediate e delle connessioni crescenti è inaccettabile che, accanto alle tante informazioni liberamente disponibili, si diffondano anche credenze antiscientifiche e illogiche congetture che inducono a comportamenti autolesionistici”.
Gli allarmi sono ormai tanti, manca forse un dato che dimostri il collegamento tra aumento della conflittualità e bassa formazione, ma non ci sarà mai nessuna agenzia che ci indicherà questo livello di rating. Dipende da tutti noi averne coscienza prima che sia troppo tardi.