Repubblica, 31 XII 2016
PAPA: NOI SIAMO IN DEBITO CON I GIOVANI, LI OBBLIGHIAMO A EMIGRARE
Francesco: “Li abbiamo condannati a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati”.
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CITTA’ DEL VATICANO – Papa Francesco ha colto l’occasione del Te Deum del 31 dicembre per una forte denuncia dell’emergenza lavoro e del rischio di tagliare fuori dalla vita produttiva intere generazioni. “Non si può parlare di futuro” senza “assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani”. L’omelia del Papa è stata un forte invito alla società a farsi carico delle istanze delle nuove generazioni. Nella Basilica Vaticana c’era ad ascoltare le parole di Francesco anche la sindaca di Roma Virginia Raggi: al termine della preghiera, il Papa l’ha raggiunta e salutata.
“La parola giusta è debito”. “Più che responsabilità – ha sottolineato il Papa – la parola giusta è debito”. Se da una parte c’è una cultura che “idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna”, dall’altra, “paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati” e costretti “a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono”. “È debito: sì, il debito che abbiamo con loro. Parlare di un anno che finisce è sentirci invitati a pensare a come ci stiamo interessando al posto che i giovani hanno nella nostra società”. “Non priviamoci – ha invocato Bergoglio – della forza delle loro mani, delle loro menti, delle loro capacità di profetizzare i sogni dei loro anziani. Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”.
“Privilegiata la speculazione invece di lavori dignitosi”. “Guardare il presepe – ha detto ancora – ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni. Capaci di crescere e diventare padri e madri del nostro popolo”. “Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li ‘condanniamo’ a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse”, ha aggiunto Bergoglio. Quindi, ha spiegato: “Siamo invitati a non essere come il locandiere di Betlemme che davanti alla giovane coppia diceva: qui non c’è posto. Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”.
“Aiutiamoli a ritrovare un futuro da costruire”. Il Papa ha insistito sulla necessità che si faccia il massimo sforzo per dare un futuro ai giovani e lo si faccia davvero a tutti i livelli. “Ci è chiesto – ha scandito – di prendere ciascuno il proprio impegno, per poco che possa sembrare, di aiutare i nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra, nella loro patria, orizzonti concreti di un futuro da costruire”. E nella sua meditazione il Papa ha evidenziato che “guardando il presepe incontriamo i volti di Giuseppe e di Maria. Volti giovani carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande. Volti giovani che guardano avanti con il compito non facile di aiutare il Dio-Bambino a crescere”. “Non si può parlare di futuro – ha affermato – senza contemplare questi volti giovani”.
“Superare le logiche dei privilegi e favoritismi”. Nell’omelia del Te Deum, il Papa ha detto che “il presepe ci invita a fare nostra” una “logica non centrata sul privilegio, sulle concessioni, sui favoritismi; si tratta della logica dell’incontro, della vicinanza e della prossimità”. “Il presepe – ha aggiunto – ci invita ad abbandonare la logica delle eccezioni per gli uni ed esclusioni per gli altri. Dio viene egli stesso a rompere la catena del privilegio che genera sempre esclusione, per inaugurare la carezza della compassione che genera l’inclusione”.